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Gianluca Marziani

Erano gli anni Novanta quando la cultura digitale iniziò ad integrarsi al moto ciclico dell’umana specie. Erano giorni di euforia economica e slancio informatico, di startup che avrebbero cambiato il mondo, di aziende che sarebbero diventate le protesi comunicative del nostro corpo esteso.

Nei primi Novanta emersero i pionieri di un nuovo quadro digitale, rivelando formule in cui la pittura e la fotografia, linguaggi senzienti dell’espressione visiva, evolvevano attraverso i primi software di manipolazione liquida.

Matteo Basilé (Roma, 1974) si distinse da subito tra quanti tessevano le trame del quadro digitale. Mise al centro il soggetto umano, mappando il volto nei suoi scatti in bianconero, usando l’acciaio come tela sublimata, manipolando
il file con spostamenti minimi ma significanti, taggando il telaio con sciabolate in rosso, evocando facce generazionali, portando la vecchia serigrafia nel multiplo digitale a bassa tiratura.

 

Matteo Basilé
Matteo Basilé, Imago Mundi, Chapter I, 2021, stampa con pigmenti su carta Braita, cm 220×150. Courtesy Galleria Giampaolo Abbondio.

 

Matteo Basilé integra la cultura digitale ai linguaggi analogici, codificando una grammatica che si contamina con le altre grammatiche espressive, sottolineando una sincronia tra potenza e atto tecnologico.

La sua fotodigigrafia è la sintesi virtuosa tra meccanica ed elettronica, tradizione e innovazione, setting reale e virtuale, manualità minuziosa e tecnologia esemplare. Dal 2007 la sua natura digitale si sta dissolvendo nel processo elaborativo, nascondendosi sotto l’impulso del set scenografico, degli accessori connotati, dei paesaggi narrativi, dei corpi che incidono lo spazio come i segni rossi degli esordi.

È una dimensione che rende organico il set e la post-produzione, assorbendo ogni modifica (aggiunta, sottrazione, trasformazione, ritocco) dentro la natura realistica del risultato. Il software esiste ma si mette al servizio dell’edificio, ne diviene biologia accrescitiva; nel frattempo, anno dopo anno, Matteo Basilé ha inserito alcuni interventi sulla stampa, dalle verniciature su zone parziali alle sezioni tagliate del telaio, dai riquadri interni agli assemblaggi dentro complementi antichi. Nel nuovissimo lavoro ci sono tavole coraniche incastonate nella stessa foto, così da trasformare il telaio in una sorta di reliquiario alieno, un oggetto misterioso che ingloba echi lontani dentro gli immaginari di un futuro “selvaggio”.

 

Matteo Basilé, Mnemosyne IV, 2021, stampa a pigmenti su carta braita + bassorilievo, cm 150×100. Courtesy Galleria Giampaolo Abbondio.

 

Matteo Basilé crea paesaggi onirici attorno al potere energetico di Terra (passato, memoria, fondamenta) e Acqua (futuro, téchne, nuovi spazi). Nei luoghi così connotati scopriamo le sue presenze filiali, i corpi del margine sociale, della diversità apparente, di un’eccezione che ricrea lo straordinario. Le opere dal 2007 al 2010 (“Thisumanity”) affrontano la crosta terrestre con un impatto che aveva previsto la catastrofe, la fine del ciclo capitalistico, il ritorno al presente selvaggio.

Nel ciclo “Pietrasanta” (2016) è, invece, il mondo acquatico al centro di scenari dal sapore ballardiano. Cave di marmo che sembrano ghiacciai, riti arcaici nel futuro indistinto, un costante ritorno alle origini polari, tra megattere come navi spaziali, silenzi che echeggiano nei luoghi rinascenti, archetipi femminili come guardiani di un pianeta alieno.

L’acqua del ciclo “Memento” (2019) inonda l’archeologia di epoca romana, entrando sopra la terra della memoria, rimettendo in circolo una resilienza fuori dalla Storia, dentro la metafisica degli umani senza passaporto. “Viaggio al centro della Terra” (2018) si dispone sul valore geologico dello spazio, sulla roccia sedimentata nei millenni, sulle montagne come seni e pance del pianeta.

I protagonisti di questi cicli sono materiale umano da antropologia poetica, volti e corpi che ci riportano alle grandi migrazioni sul Pianeta, ai prodromi linguistici, agli incroci meticci della specie umana, ai riti di sopravvivenza e funzione domestica, all’essenza di una rinascita che l’ecosistema chiede oggi con voce tellurica.

 

Matteo Basilé
Matteo Basilé, Disclosure, 2021, stampa a pigmenti su carta braita + bassorilievo, cm 90×60. Courtesy Galleria Giampaolo Abbondio.

 

Oggi, il suo ultimo ciclo, “Mnemosyne” (da poco esposto a Todi alla Galleria Giampaolo Abbondio, ndr). Mnemosyne come figura mitologica che ha generato le Muse; Mnemosyne come il Bilderatlas di Aby Warburg, il primo atlante illustrato che ordinava le antiche immagini di divinità antiche e moderne nella cultura europea; Mnemosyne come luogo interiore tra memoria e creazione al presente, secondo codici d’ispirazione che Matteo Basilé ha usato per indagare il suo ciclo di metamorfosi post-umane.

Le opere a Todi confermano il DNA iconografico dell’artista, la sua frontalità umanistica, il suo climax dionisiaco; al contempo, aumentano le complessità semantiche del ritratto, come se l’artista evocasse un mondo dopo la Finanza in cui crescono popolazioni migranti, nuovi pellegrini senza monoteismi, famiglie sempre più meticce, individui oltre il codice delle uniformi.

Il domani secondo Matteo Basilé è il primo luogo dove il futuro somiglia ad un lontano passato che diventa presente mentre assembla nature e culture.

 

 

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