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A cura di Paolo Sciortino, Micaela Bonetti, Chiara Canali, Chiara Gatti

I collezionisti italiani alla vera svolta del millennio. La pandemia genererà un nuovo gusto e nuovo mercato?

 

ANDREA BARTOLI – FAVARA FARM CULTURAL PARK
“OLTRE LA PANDEMIA, UNA MEMBERSHIP TECNOLOGICA”collezionare il futuro

“La maggior parte delle opere della Farm sono ormai effimere o immateriali, talvolta intangibili, sono dei processi. Non c’è possibilità di possederle, ma solo di fruirne, sono a disposizione della collettività. Un processo, quello in corso, che ci ha fatto maturare. Da una parte ci auguriamo che questa situazione finisca il prima possibile perché immaginare una vita di relazioni solo tecnologica e senza fisicità è agghiacciante.
D’altra parte riscontriamo aspetti positivi, come i risparmi sugli spostamenti inutili, per esempio. Questo periodo ci ha fatto capire quanto avevamo già chiaro: occorre immaginare dispositivi nuovi per la fruizione a distanza a prescindere dalla pandemia.
Ogni anno venivano 15 mila persone a Favara, ma sono tre volte tanti coloro che ci visitano da remoto. Si pensa di stabilire una quota di dieci euro per stare con noi anche non fisicamente. Occorre pensare anche a nuovi contenuti per i nuovi media.
È impreparato tutto il mondo culturale, non solo noi. Il modello può essere Netflix ma non c’è ancora una esperienza strutturata di fruizione della cultura nel nuovo modo e nel nuovo mondo. Stiamo continuando ad allestire gli spazi, per esempio con la prossima edizione di Countless cities ci stiamo attrezzando per capire nuove soluzioni al di là del coinvolgimento fisico. Facebook ci ha consentito di costituire una membership di Farm, il back stage di Farm, insomma. In questo ci riteniamo antesignani, raccontiamo il day by day dell’evoluzione dei nostri progetti.

 

GIULIANO GORI – FATTORIA DI CELLE, PISTOIA
“ARTE E SCIENZA SEMPRE PIÙ VICINE, L’ARTE DAL VIVO TORNERÀ”

La nostra collezione è nata da un’idea che risale ad aprile del 1961, nasceva dalla convinzione di volere recuperare il contatto di una volta tra artista e committente attorno a una chiave di concezione e realizzazione delle opere: l’arte ambientale. Molte volte le opere contemporanee non sono ambientate nel posto giusto. Per noi l’artista deve avere la possibilità di scegliere lo spazio e lo spazio deve diventare parte integrante dell’opera. Abbiamo poi aperto al pubblico nel giugno 1982 gratuitamente, su prenotazione, con guida. Mi ero reso conto che le opere che stavano nascendo qui erano opere da condividere, non più solo per me. Il parco di Celle conta 80 opere di arte ambientale di grandi dimensioni, la cui durata di realizzazione, a volte, può arrivare anche a due anni. Gli artisti hanno il mandato di non toccare la natura che accoglie le loro opere e noi, dal canto nostro, ci impegniamo a garantire che l’opera resti come lui l’ha lasciata. La natura cambia, e anche il mondo è cambiato.
Credo che l’arte contemporanea si sta avvicinando sempre più alla scienza. La scienza sta vivendo momenti favolosi. L’arte ne risente. Il tecnicismo è preponderante. Vi è una relazione sempre più stretta tra ricerca artistica e i mondi scientifico e tecnologico. Noi abbiamo visite organizzate che abbiamo sospeso per il Covid ma sono quarant’anni che apriamo al pubblico, e sono certo che presto si tornerà a visitare i luoghi della cultura.

 

GIACOMO PORETTI (ATTORE) – MILANO
LE ASTE? SOLO BENEFICHE, COME QUELLA VOLTA CON GIOVANNI…

Sono un piccolo collezionista col pallino per l’Italia. Perché il nostro patrimonio, la storia passata e quella presente meritano di essere valorizzate. Il mondo anglosassone lo fa da sempre. Noi siamo più esterofili. Ma io voto per l’arte italiana. Non importa di quale tendenza. Dal figurativo all’astratto, da Giuseppe Santomaso a Gianfranco Ferroni seguo tutto. Cominciai anni fa proprio con Ferroni e un pezzo uscito dalla celebre raccolta di Giorgio Soavi. Mia moglie se lo aggiudicò in asta a suon di rilanci. Ci siamo innamorati entrambi della ricerca italiana, dal secondo dopoguerra in avanti. Con nomi da manuale e altri da sdoganare.
Abbiamo acquistato alcune cartoline di Salvo, iniziando a frequentare il Miart, la fiera d’arte moderna e contemporanea di Milano. Mi divertivo a scoprire artisti emergenti che avrebbero conquistato il pubblico. La pittura di Marzio Tamer è unica, lui è uno splendido maestro del figurativo. Al Premio giovani del San Fedele presi due acquerelli di Alessandro Sanna. Adesso sogno un pezzo di Giovanni Frangi, che ha lo studio vicino a casa mia. A proposito di aste, ho fatto pure il battitore per una iniziativa benefica di Cometa, il centro di educazione e accoglienza per ragazzi e famiglie alle porte di Como. Con Giovanni ci siamo inventati uno sketch: lui faceva il valletto e, portando una scultura scomponibile, finse di cadere, mandandola in pezzi. Abbiamo venduto un sacco.

 

Anche il mercato oggi è online.
Finito il lockdown, il mondo dell’arte
uscirà profondamente trasformato.

 

collezionare il futuro
DotPigeon, A Symphonic Fuck You, 2020.

 

GIORGIO FASOL – VERONA
LE CHIUSURE HANNO DIGITALIZZATO ANCHE GLI ARTISTI
Colleziono opere di giovani artisti, nella maggior parte dei casi alla prima mostra. La mia collezione quindi non si caratterizza per la predominanza di un media o di uno stile su un altro, né per filoni tematici, ma si connota per il continuo rinnovamento e la tensione verso il nuovo.
Credo che uno dei ruoli fondamentali che un collezionista deve assolvere sia quello di supportare gli artisti del proprio tempo, i giovani, che più di tutti hanno bisogno di fiducia e dei mezzi per portare avanti la propria ricerca. In questa particolare situazione, gran parte del collezionismo si rivolge a internet: molto oggi passa per l’online, mostre, fiere, aste, studio visit in videochiamata, talk, conferenze, dibattiti. Alcune di queste nuove soluzioni si sono rivelate particolarmente virtuose e per ciò credo che, anche quando sarà passato questo momento, il mondo dell’arte, come tutti gli altri settori, ne uscirà profondamente trasformato: pur tornando anche a modalità più classiche di operare, auspicabilmente in presenza, certe modalità e certi strumenti, certi canali attivati durante la pandemia potranno continuare a vivere.
Questo legame forte con internet e con l’online, in particolare, sarà ancora molto forte, non solo come mezzo operativo ma come argomento di riflessione per gli artisti. Alcuni di loro stanno cominciando a produrre proprio nell’ottica di questo nuovo modo di fruire l’arte esplorando le possibilità dei media digitali.

 

GIANNI MAIMERI – MILANO
MERCATO ADDIO, E IL GUSTO DEL BELLO TORNERÀ
Era già nell’aria ma il Covid ha contribuito ad accelerare una mutazione, quella del rapporto tra gli artisti e i collezionisti, una sorta di disintermediazione. Lockdown e globalizzazione hanno aggiunto criticità in questi rapporti: gli artisti, con Instagram, raggiungono immediatamente i collezionisti e non disdegnano di negoziare direttamente la vendita delle opere con loro. Da una parte il collezionista ha l’impressione di comprare a condizioni  migliori e dall’altra parte l’artista gestisce direttamente i propri ricavi. Da moltissimi anni i galleristi hanno avuto un ruolo di riferimento.
Oggi siamo a una transizione. Come si evolverà? il gallerista che saprà ridisegnare il proprio ruolo con la propria  funzione, anche curatoriale, di vera promozione di valore aggiunto per gli artisti, manterrà una propria posizione. Se
i galleristi non avranno questa capacità saranno messi all’angolo.
Anche il gusto del collezionismo probabilmente cambierà, almeno in gran parte.
La mia sensazione è che tornerà ad avere importanza la bellezza di un’opera d’arte. Si torna a preferire opere che migliorano la qualità della vita, che non rappresentino disagi, follie, scarti o criticità. Il gusto per il bello tornerà centrale, io senz’altro mi ero avvicinato all’arte solo per un impulso di ordine estetico e invece molti collezionisti con la pecora sgozzata in casa lo hanno fatto conformemente a una imposizione del mercato. Da oggi, forse, il mercato sarà meno influente, in una relazione nuova, meno condizionata, tra l’artista e il committente.

 

ERNESTO ESPOSITO – NAPOLI
TUTTO È CAMBIATO, MA MENO MALE. ANCHE L’ARTE CAMBIERÀ
Tutto è cambiato, ma meno male. Anche l’arte, e il collezionismo cambieranno, e meno male, altrimenti che noia.
Si sta più a casa e io, per esempio, ho avuto più tempo per guardare meglio quello che succede nell’arte. Oggi il mezzo di comunicazione provilegiato non sono più le gallerie, sono i computer. Possiamo andare ovunque. In questo cambiamento c’è stato un approfondimento diverso rispetto all’arte. Ma l’arte ci sarà sempre, solo che sarà diversa.
Se ami l’arte accetterai pure il cambiamento. Io intanto, ora possiedo 1580 opere e vado avanti a fare cose. Ho montato una mostra a villa Campolieto, per quando riapriranno il polo museale. La mostra si intitolerà Così fan tutti, sarà un omaggio a Lucio Amelio con 40 opere. Poi rifarò una mostra a piazza Navona, a Roma, all’ambasciata
brasiliana, con una selezione di pezzi miei sul tema black. Io amo molto il Brasile, vivo tre mesi l’anno lì. Riproporrò
un’esposizione già presentata in precedenza, e la gente la vedrà in remoto.
Per me la tecnologia di oggi è una gran comodità. Io disegno scarpe e lavoro nella moda, ho visto le sfilate al computer stupendamente, prima andavo a Milano, mi mettevano in quinta fila e non vedevo assolutamente niente. I cambiamenti sono questi ma è solo un modo diverso di vivere le cose.
Io vedo mezzo pieno, seguo le onde. Per me è un momento positivo. La crisi? A livello alto non c’è. La crisi è per quelli che erano già in crisi e lo saranno ancora di più. Occorre adeguarsi, al cambiamento.

 

MAURO DE IORIO – VERONA
BASTA FIERE, LAVORIAMO TUTTI INSIEME PER UNA RETE DI ARTE SOCIALE
La mia collezione conta circa 600 opere ed è molto legata, tematicamente, ai temi del corpo, dell’identità, della malattia e della morte, certamente in relazione alla mia attività di medico. Per me questo periodo di pandemia è stato occasione di ripensamento sulla vita in genere, sui rapporti con le persone, su quali sono le cose davvero fondamentali e quelle superflue. È stato anche un momento di riflessione sul mondo dell’arte e sui miei rapporti con esso sulla fruizione di essa. All’inizio ho sentito l’assenza delle fiere e delle relazioni di cui queste erano occasione, per esempio, ma mi sono accorto che un collezionista bombardato da stimoli perde concentrazione sul senso della sua collezione.
Credo che si dovrebbe ridurre il numero delle fiere ed aumentarne la qualità. In questo periodo, rivedendo le opere della mia collezione mi sono accorto che le reinterpretavo con occhio diverso. Ho voluto estendere le mie riflessioni sui rapporti tra arte e pandemia anche ad altri collezionisti, soci del club Collective, e ne è venuta fuori una mostra virtuale curata da Denis Isaia del Mart dal titolo “Il quadrante sdrucciolevole”. Sto lavorando ora a due progetti di socializzazione dell’arte: una allo studio di Trento, dove ho affittato un open space ed esposto 70 opere della collezione a beneficio di pazienti e visitatori. Una sorta di simbiosi tra medicina e arte. Poi, sto allestendo una parte della collezione a Verona in una vecchia segheria ristrutturata a fianco del mio nuovo centro medico. È per me sempre più importante la condivisione delle opere della mia collezione così si è fatta strada la soluzione di creare degli spazi aperti al pubblico. Credo sia importante che i collezionisti mettano a disposizione le loro opere, creando una rete che possa integrare quella degli spazi pubblici.

 

CRISTIANO NIDIACI – FIRENZE
FUTURO COLLEZIONISMO ON LINE: COMODO, PER CHI SA GIÀ COSA VUOLE
Ho iniziato a collezionare verso i trent’anni, quando sono andato a vivere con la mia nuova famiglia. Mio padre, Andrea Nidiaci, pittore allievo di Giuseppe Tempestini, ruotava attorno al circolo delle Giubbe Rosse, a Firenze, e avevo in casa, oltre ovviamente ai quadri di mio padre e di Tempestini, quelli di altri maestri toscani o comunque trapiantati in Toscana, come Jules Maidoff o Lorenzo Viani. Ho quindi iniziato a collezionare arte contemporanea per avere qualcosa di diverso da guardare rispetto a tutti quei quadri che avevo respirato sin da piccolo. A me piacciono le collezioni tematiche: pitture, fotografie, sculture di artisti vari raccolte secondo alcuni temi, come quelli, ad esempio, della rappresentazione della figura femminile (Matteo Basilé, Nobuyoshi Araki e Han Yajuan), oppure del rapporto uomo-natura (Hernan Bas e Ryan McGinley), o, senza la presenza dell’uomo, della natura (Piero Gilardi e Giovanni Frangi), del paesaggio urbano (Velasco Vitali) e della superficie astratta (Riccardo Guarneri e Umberto Mariani). Andiamo verso un futuro del collezionismo che sarà quello delle aste online (aste con una bella selezione di lotti, s’intende). Certi collezionisti, quelli che sanno già cosa comprare e a cui non puoi consigliare quasi niente (come me), comprano molto bene nelle aste, comodamente da casa, perché sanno cercare e trovare le opere che già desiderano. Lo spirito giusto con cui affrontare il mercato odierno è pensare che l’opera più bella della tua collezione sia quella che ancora devi comprare.

 

ANTONIO MENON – BASSANO DEL GRAPPA
IL PERICOLO SOCIAL: UN’ARTE CONSUMATA TROPPO VELOCEMENTE
La mia è una collezione vivente, perché impregnata di sentimento e di emozioni. Sui generis, in quanto esclusivamente di pittura figurativa contemporanea italiana, con qualche cameo internazionale. Più che una collezione, è la fotografia di un movimento pittorico degli ultimi 30 anni.
Non mi considero un collezionista nel senso classico del termine. The Bank si è sempre mossa con dinamiche diverse, non ha mai scelto un’opera con criteri diversi da ciò che l’opera sa trasmettere, non ha mai scelto un artista se non per la verità che esprime nella tela. Quanto alla pandemia, non credo cambi il modo di fruire l’arte, sicuramente ne amplifica gli strumenti per renderla fruibile, ma il “contatto” rimarrà una necessità. Probabilmente si amplificherà ancora di più il fenomeno della disintermediazione del sistema arte, tendenza nata ben prima dei tempi del colera.
Il pericolo che vedo è la velocità con cui tutto si esprime, i social che fagocitano avidamente, quasi banalizzano l’opera, che dopo un’ora di like e commenti è già vecchia e destinata all’oblio. Il collezionismo, nel senso classico del termine, sarà sempre più elitario; ma qui parliamo di finanza, niente a che vedere con la passione.

 

ROBERTO GRAMICCIA – ROMA
SE TUTTO È ARTE SI RISCHIA CHE NULLA LO SIA
Ho iniziato a collezionare opere d’arte negli anni Ottanta, dopo l’esplosione di un profondo interesse culturale per le arti visive, che ha inaugurato una stagione di vera e propria “furia autodidattica” relativa alla storia dell’arte e a una mia modalità personale di apprendimento: l’amicizia con gli artisti. La mia professione di medico è stata sicuramente di grande aiuto in questo senso. Nel corso degli anni, dopo aver acquisito conoscenze teoriche e essermi formato alla scuola del contatto diretto con gli artisti, ho acquisito competenze che mi hanno formato come critico e curatore indipendente.
Ho realizzato moltissime mostre, scritto dodici libri e collaborato per dieci anni con un quotidiano nazionale. La mia collezione è centrata sulle Scuole Romane: dalla Scuola di via Cavour fino a quella di San Lorenzo. È stato per me un grande onore vederla esposta per intero presso il Museo Bilotti nel 2016, per la cura prestigiosa di Alberto Dambruoso. Colgo l’occasione per segnalare infine che la pandemia ha assestato un colpo ulteriore a un sistema già fortemente compromesso da un fenomeno spiegato benissimo dal compianto Mario Perniola nel suo Arte espansa e che, si parva licet, ho provato a indagare anche io nel mio ultimo libro (Se tutto è arte, Mimesis). L’attuale sistema, infatti, si interessa molto poco della qualità. L’importante è che il prodotto sia riconosciuto come tale dal mercato, sia cioè “artistizzato”, come dice Perniola. In questo modo: tutto può essere arte e “se tutto è arte” allora si rischia veramente che nulla lo sia. E questo per un collezionista è veramente un guaio.

 

GIUSEPPE IANNACCONE – MILANO
NESSUNA PANDEMIA POTRÀ FERMARE L’ARTE
Collezionare è un percorso fatto di piccole e grandi tappe personali in cui a crescere non è il numero di opere, ma la capacità di lasciarsi stupire e bruciare da una passione che continua, giorno dopo giorno, a suggerirmi nuove prospettive.
Nei primi anni Novanta ero un avvocato alle prime armi ed ero sommerso dal lavoro, con conseguenze negative sul mio umore. Iniziare a dedicare un tempo prestabilito all’arte ha salvato il mio equilibrio. Quella mattina ogni due settimane dedicata all’arte, riusciva a compensare tutti gli sforzi che il lavoro assorbiva; l’arte è divenuta la mia cura, la stampella della mia anima, come mi piace definirla. Così, affascinato dal potere umano e salvifico dell’arte, sono iniziate le mie prime acquisizioni che, ad oggi, continuano con attenzione ed entusiasmo.
La mia collezione è composta da due membra appartenenti a un unico corpo, l’indagine dell’arte tra le due guerre, con tutti quegli artisti che, rispetto al contesto italiano di regime, si vollero distaccare, e l’indagine sul mondo contemporaneo, italiano quanto internazionale. C’è l’uomo al centro della mia collezione e io ne voglio indagare ogni sentimento e sensazione. Ritengo che il collezionismo di qualità non si sia mai fermato, si è dovuto ricalibrare e ripensare, nelle modalità di fruizione delle opere così come nel contatto diretto, con gli artisti, i galleristi e gli esperti del settore. Così come i miei cari artisti del periodo tra le due guerre, credo che un periodo come questo non vada sprecato; gli artisti, che da sempre sono riusciti a cogliere, nei modi più intimi o plateali, le emozioni dell’uomo, sono e saranno in grado di trascrivere a loro modo ciò che sta accadendo. Dobbiamo essere in grado di recepire questo cambiamento e di fare tesoro di questa produzione; credo che il collezionismo sia ora più consapevole rispetto ad alcuni anni fa, si compra con meno superficialità e più attenzione nei confronti dell’artista, cercando un rapporto con i galleristi. La situazione generale ha sì allungato le distanze, ma non ha di certo fermato l’unica cosa che nessuna pandemia potrà mai fermare: la passione, la ricerca e lo studio dell’arte come dell’uomo.

 

STEFANO CECCHI – GENOVA
IL VIRTUALE AIUTA, MA IL REALE È INSOSTITUIBILE

La mia è una collezione eclettica-eterogenea. Non ho mai pensato che una collezione debba avere uno schema costruttivo rigido. L’arte mi piace tutta e in tutte le sue forme.
Quando vedo un artista o un’opera che mi trasmette qualcosa, approfondisco e poi seguo il mio sentire. Ho iniziato con il figurativo come, penso, chiunque si approcci al mondo dell’arte. Poi, è iniziato il vero “viaggio” nell’arte: astrattismo, informale, land art, nouveau realisme, pop art, arte povera, fotografia, scultura, digitale. Sono contrario alle etichette nell’arte. Vanno bene per gli accademici. Per chi la ama è solo la bellezza che conta. Non credo che il futuro del collezionismo cambierà radicalmente. Con la pandemia gli operatori obtorto collo hanno dovuto  attrezzarsi ed adeguarsi ai nuovi scenari per mantenere attivo il settore. La digitalizzazione, le fiere virtuali hanno aiutato molto, tuttavia la visione diretta dell’opera non è, allo stato attuale e in un futuro prossimo, sostituibile. Il futuro del collezionismo dipende dai collezionisti e da quanto le nuove generazione abbiano voglia di apprendere e alimentarsi di arte: una passione ma anche un impegno. I galleristi, da parte loro, devono tornare a essere anche un’occasione di cultura e di approfondimento e non solo di vendita. Purtroppo vedo che la corrente della speculazione e il miraggio dei facili guadagni ha incominciato ad attecchire sui giovani collezionisti. Occorre un ritorno all’osservazione e all’approfondimento per entrare nel linguaggio dell’artista.
Solo così sarà possibile fare pulizia delle ascese estemporanee di alcuni artisti.

OSCAR DAMIANI (CALCIATORE) MILANO
CREDO NELLE EMOZIONI DAL VIVO, NON A QUELLE VIRTUALI
Nell’arte, come nel calcio, ho sempre messo il cuore. A vent’anni, quando giocavo nel glorioso Lanerossi Vicenza, comprai un Sironi del 1932.
Mi costò un mese di stipendio, ma lo vidi in una mostra e sentii l’impulso di acquistarlo. Da allora, ho sempre fatto acquisti seguendo la passione e ho deciso di dare un taglio alla mia raccolta scegliendo il colore rosso come nota eccentrica. Ho frequentato molti autori della mia generazione.
Penso a Gino De Dominicis con cui si discuteva fino a notte fonda e poi si usciva a giocare a pallone in piazza Navona. Dietro la scrivania ho un quadro di Spalletti intitolato Rosso Napoli; mi ricorda i miei anni nel Napoli e i colori dei tramonti sul golfo. Col tempo ho abbandonato la linea rossa per acquistare altri pezzi, come il grande Paradiso in terra di Anselm Kiefer che conobbi quando installò i Sette Palazzi Celesti all’Hangar Bicocca e tornai a trovare a Lione, mentre lavorava negli spazi progettati da Le Corbusier a la Tourette. Fra i giovani, guardo ai figurativi italiani: alla pittura intensa di Alessandro Busci o ai neon e alle ceramiche di Fabrizio Dusi. Al momento, ho nostalgia delle mostre da ammirare dal vivo. Sono riuscito a visitare i Dormienti di Paladino da Cardi nei pochi giorni di apertura.
Superba. Credo nelle emozioni reali e non virtuali.
Nell’amore e non nel mercato.

 

DEMETRIO ALBERTINI (CALCIATORE) – MILANO
SCOMMETTERÒ SULL’ARTE, CON L’EMOZIONE DI UN GOL PERFETTO
Dopo un esordio (artistico) super classico, con l’acquisto di un Salvatore Fiume da libro di scuola, mi sono spostato sul contemporaneo. Mi piace vestire i panni del talent scout.
Così ho sostenuto, un po’ da appassionato, un po’ da mecenate, il duo pop Blue and Joy, Daniele Sigalot e Fabio La Fauci. Siamo diventati amici. Mi hanno seguito anche in Spagna, quando giocavo nel Barcellona pre Messi. Oggi, nel mio ufficio in Federazione, conservo un loro quadrone con 18 mila monetine da 1 centesimo, della serie esposta anche alla Banca Centrale Europea. A casa, amo molto uno dei famosi aeroplanini di carta fusi nel metallo da Sigalot, che è stato protagonista da poco di una installazione alla Porta di Milano dell’aeroporto di Malpensa, dove ha presentato grandi specchi coi profili delle città del mondo, da New York a Sydney, da Istanbul a Barcellona; un inno alla bellezza del viaggio nei giorni peggiori della reclusione.
Guardando al futuro, continuerò a scommettere su artisti come loro, seguendo il mio intuito e anche l’emozione che, nell’arte, è la stessa di un gol perfetto.

 

DAVIDE BLEI – MILANO
CONTINUERÒ A INVESTIRE SUI GIOVANI CHE ANTICIPANO IL FUTURO
Il collezionista è un bambino cresciuto, e come dicono gli inglesi, the difference between man and boys is the cost of the toys. Fino a che si gioca non si invecchia, e noi collezionisti, se ci divertiamo, non invecchiamo mai. Io ho iniziato coi francobolli, poi con gli argenti, i vetri di Lalique, i bastoni, gli orologi. Infine sono approdato all’arte contemporanea dalla fine degli anni Novanta. A me interessa l’artista che possiede un suo segno, che sia riconoscibile. Ho sempre puntato sugli artisti giovani o comunque non ancora storicizzati, scommettendo sempre sugli artisti di domani, e non su quelli di ieri: gli artisti per me devono rappresentare il presente e anticipare il futuro. Io non prendo quello che “fa tendenza”, ma quello che mi mette in moto delle emozioni e che ritengo possa intercettare il futuro. Se ne prendo tanti, molti li sbaglierò, però quando ne imbrocco uno me li ripago tutti, così mi è capitato per esempio con Damien Hirst o con Anish Kapoor quando ancora erano accessibili. Anche in futuro, continuerò ad acquistare i giovani e a cercare di intercettare i talenti che anticipano il futuro e che avranno saputo fare meglio di altri la sintesi del loro tempo. L’arte è come una bella donna, la sua bellezza è universale. Per capirla, occorre soprattutto avere gusto, e il gusto è come il coraggio di don Abbondio: se non ce l’hai, non te lo puoi dare.

 

ANTONIO COPPOLA – VICENZA
COLLEZIONARE? UN PASSAPORTO PER L’IMMORTALITÀ

Tutto muta, proprio come succede con la ricorrente immagine del fiume di Eraclito.
Oggi abbiamo l’ennesima conferma che essere sollecitati sta nella natura delle cose. La condizione naturale della nostra umanità è di sottostare e possibilmente reagire alle interferenze degli elementi esteriori e interiori. La nostra civiltà conosce fin troppo bene questa regola. Nonostante le numerose traversie, i valori millenari sono però rimasti uguali. Cambiano le modalità espressive di fare arte e di collezionarla.
Alla base dell’arte c’è il bisogno e il desiderio di esorcizzare la paura di morire, di varcare i cancelli del dolore e guadagnare una sorta d’immortalità.
L’essenza dell’arte non è però recuperabile né nella trascendenza della vita né in un modo di escogitare il cosiddetto piano b dall’altra parte della valle.
L’arte visiva è una modalità estrema – non l’unica –, di conoscere i firmamenti nascosti e collegarli agli universi esteriori di cui non abbiamo le chiavi.
Sono collezionista perché l’arte è una chiave da inserire nel chiavistello del cancello pur sapendo che non esistono soluzioni.
Sono collezionista perché amo muovermi nell’umanità che mi segna, il che vuol dire niente e tutto allo stesso tempo.
La conoscenza non è niente se non si tiene conto delle paure, della fragilità dell’essere umano, delle illusioni e dei pregiudizi di cui è colmo il diario personale di ognuno. Non ci sono verità, solo stati indeterminati di conoscenza.
L’arte ci illude che è possibile andare oltre e trovare l’ultima parola, l’ultima cifra, l’ultima immagine.
Sono collezionista perché m’illudo di trovare l’estrema finzione al di là di un confine che io per primo so che non esiste. La ricerca nella sostanza (i.e., nell’immagine) è per me l’intero che pulsa nel punto. Proprio come il tutto è il riflesso dei punti.

 

GEMMA TESTA – TORINO
BENE IL DIGITALE, MA TORNIAMO ALLA NORMALITÀ
La mia passione per l’arte nasce fin da bambina: ero incantata dalla pittura del Rinascimento e adoravo guardare i cataloghi di grandi artisti quali Modigliani, Morandi e Van Gogh. Questo mio interesse non mi ha mai abbandonata, anzi si è consolidato sempre più quando nel 1970 ho incontrato mio marito Armando Testa, uno dei più grandi creativi italiani del Novecento.
Armando non amava collezionare, ma assieme abbiamo preso parte a tutti i più grandi eventi internazionali, creando solidi legami con artisti, galleristi, direttori, critici e curatori. A parte un paio di acquisti fatti in quegli anni, come Gino De Dominicis e Cy Twombly, la mia collezione inizia dopo la scomparsa di Armando nel 1992.
In quel periodo mi avvicinai al Castello di Rivoli e decisi di acquisire opere museali di artisti come Tony Cragg, Anselm Kierer, Jan Vercruysse, Ettore Spalletti, Marlene Dumas, Francesco Vezzoli e molti altri, spinta dal desiderio di condividere la mia passione per l’arte con un pubblico più vasto, dandole in comodato a lungo temine al Castello, all’epoca carente di una collezione permanente. Proprio in questi mesi ho deciso di raccontare tutte le tappe della mia vita e del mio rapporto con l’arte in un libro autobiografico intitolato Gemma De Angelis. Con l’arte… in Testa, edito da Allemandi. Oggi la mia collezione, pensata in termini museali, raccoglie opere di artisti internazionali: ritengo che il collezionista debba impegnarsi attivamente per supportare gli artisti e contribuire alla loro crescita.
È difficile dire come si evolverà il collezionismo, soprattutto in seguito a questo ultimo anno di pandemia, che ha causato una forte battuta d’arresto del mercato, dovuto anche alla cancellazione di tutti i più grandi appuntamenti internazionali. L’uso del digitale e dell’online sono stati sicuramente un grande aiuto e hanno permesso a molte realtà di poter continuare a lavorare. Credo che questa metodologia continuerà ad essere utilizzata ancora a lungo. Io personalmente mi auguro che si possa tornare alla normalità pre Covid e di poter tornare ad abbracciare dal vivo non solo le opere ma anche i galleristi.

 

DotPigeon, Envy, 2021.

 

La Crypto Art alla conquista del mercato digitale

di Chiara Canali

Con la pandemia è decollato il fenomeno NFT: nuovi collezionisti alla ribalta.
Christie’s registra quasi il 60% di millennials, attuali protagonisti delle aste

Il 2020 e l’inizio del 2021 hanno determinato una rivoluzione nelle possibilità di compravendita di opere di arte digitale grazie all’introduzione degli NFT (Not Fungible Token), che si basano sulla tecnologia blockchain, tramite i quali è oggi possibile assegnare un valore di unicità e autenticità alle opere digitali. I collezionisti oggi possono quindi acquistare Digital o Crypto Art ricevendo, contestualmente al file con l’opera, anche informazioni quali dimensioni, tiratura, data di creazione e storia di eventuali passaggi proprietari, a garanzia del suo valore.
Punto d’arrivo di questo processo è stato il record registrato per l’opera Everydays -The First 5000 Days, realizzata da Beeple, all’anagrafe Mike Winkelmann, venduta da Christie’s in un’asta svoltasi dal 25 febbraio all’11 marzo 2021. Con i suoi 69,3 milioni di dollari, la sua opera digitale si posiziona al terzo posto degli artisti viventi più pagati al mondo in un’asta, dopo il Coniglio di Jeff Koons e il Ritratto di un artista di David Hockney.
Il sito web di Christie’s ha visto sintonizzarsi 22 milioni di visitatori durante gli ultimi minuti della vendita.
La maggior parte degli offerenti erano Millennial (58%), mentre la Generazione X comprendeva il 33%. Pochi gli offerenti della Generazione Z (6%) e Boomer (3%). La stragrande maggioranza (91%) erano nuovi acquirenti per Christie’s.
Assieme alla figura del Crypto Artist si sta dunque sempre di più affermando il nuovo identikit del collezionista
Millennial, che acquista opere d’arte online e che paga in criptovaluta.

 

BILL LEE: ARTE E MUSEI NELLE TERRE VIRTUALI, ATTENDO CON ANSIA QUEL GIORNO
Negli ultimi dieci anni sono stato un avido collezionista di arte e sport, quindi è stato naturale iniziare a collezionare NFT. Dopo aver venduto la mia carta di Lebron James per la cifra record di 1,8 milioni di dollari la scorsa estate, mi sono buttato a capofitto nelle NFT. Hackatao, Fewocious e Superplastic sono alcuni dei miei preferiti. Ho avuto la fortuna di collezionare diversi pezzi di Hackatao, e tra i lavori che preferisco c’è il ritratto di Walter Hartwell White Sr., noto anche come Heisenberg, protagonista della serie cult Breaking Bad. Ho diversi altri pezzi su Nifty Gateway e su SuperRare.
Durante il giorno il mio lavoro è il venture capital (fin dall’inizio ho investito in aziende come SpaceX, Tesla, Coinbase, OpenSea), ma il mio lavoro notturno è la raccolta di NFT e la costruzione di un portafoglio di terreni attraverso il mondo virtuale. Continuerò a comprare la migliore arte da cripto-artisti come Hackatao, ma nel frattempo sto anche investendo pesantemente su realtà virtuali come Somnium Space, The Sand-Box, e Cryptovoxels. Credo che le persone ad un certo punto capiranno che vorranno mostrare le loro opere realizzate in NFT in qualche luogo, quindi si vedrà una fusione di NFT e musei nelle terre virtuali.

 

PHILIP COLLECTOR: LA NUOVA ARTE È NFT
Colleziono principalmente opere con le quali posso identificarmi immediatamente e con le quali mi connetto. Di solito mi piace informarmi sull’artista, a volte connettermi e fare domande (la bellezza della comunità NFT, le persone sono così amichevoli). È importante per me che un artista non stia sputando fuori nuovi lavori ogni due giorni.
Stiamo vedendo un’ondata di nuove entrate a causa del recente clamore intorno agli NFT, questo fenomeno sta diluendo la scena con grandi compagnie di produzione e nomi celebri, il che rende ancora più importante rimanere fedeli a se stessi e al proprio istinto. Solo un anno fa, a causa della mia leggera ossessione per i bitcoin, sono stato incanalato nel mondo dell’arte digitale che mi ha completamente spiazzato. La trasparenza e l’equità del nuovo mondo dell’arte digitale rispetto al vecchio mondo e il fatto che tutti i talenti, giovani o vecchi, ricchi o poveri possono essere rappresentati purché abbiano una connessione internet, mi ha davvero convinto. Il mio collezionismo si è evoluto dall’essere molto ampio all’essere più specifico.
Mi piacerebbe un giorno avere un singolo pezzo di tutti i “grandi” dello spazio NFT. Beeple, Hackatao, Maddogjones, Pak, Fewocious e molti altri. Penso che ci sia una forte possibilità che tra 20 anni guarderemo a questi artisti di nuova generazione che saranno considerati alla pari di Basquiat, Rothko, Hirst, Pollock e simili.

 

TOKEN ANGELS: SIAMO GLI ARTISTI DEL FUTURO
Ho imparato ad avvicinarmi all’arte già da piccolo, quando i miei genitori mi portavano con loro a visitare mostre
e fiere di antiquariato in giro per l’ Italia. Poi, verso i 16 anni, ho iniziato a viaggiare da solo e in ogni città mi  divertivo a frequentare le zone più hipster e underground e lì ho iniziato a collezionare le prime fotografie e dipinti contemporanei. Adesso colleziono soprattutto NFT. Sono particolarmente interessato ai precursori della Crypto Art che grazie alla loro curiosità, intuizione e dedizione hanno messo le basi di questo nuovo modo di creare e condividere opere digitali. Mi interessano anche primi progetti, cosiddetti OG, sui Non Fungible Tokens ovvero RarePepe, Cryptopunks e Autoglyphs. Credo che gli NFT abbiamo valorizzato non solo gli artisti ma anche i collezionisti.
Questi ultimi, anche se alle prime esperienze, si sentono importanti, sanno che possono veramente supportare direttamente degli artisti, creano con loro un contatto diretto, interagiscono e diventano dei partner degli artisti stessi. In un futuro credo che i collezionisti diventeranno dei brand e probabilmente si trasformeranno loro stessi in
una nuova forma di artisti.
Magari un giorno ci sarà una Token Angels collection
Stay Tuned!

 

WHALESHARK: LA CRYPTO ART, UN’ESPERIENZA MERAVIGLIOSA NELLO SPAZIO VIRTUALE
Mi è piaciuto collezionare nel corso della mia vita e questo include sia il collezionismo sportivo, che le trading cards. Sono sempre stato affascinato in particolare dal mercato del collezionismo e accu- mulo, vendo e commercio dall’età di sette anni. Ho iniziato a collezionare NFT nel luglio 2019 quando sono entrato in Gods Unchained (un gioco blockchain simile a Magic The Gathering e Hearthstone) e da lì, sono passato a realizzare il mio sogno di essere un collezionista di Crypto art.
Colleziono ciò che amo. L’arte autentica con una firma forte e una ricerca della perfezione chiaramente definita. Colleziono attraverso una varietà di generi e stili, ma i criteri di cui sopra sono quelli su cui baso le mie decisioni di raccolta. Il mio gusto per l’arte continua a evolversi quotidianamente, nella mia ricerca sono esposto a suggestioni diverse e imparo molto dalle meravigliose discussioni e comunicazioni che ho con artisti e collezionisti nello spazio. Questa meravigliosa esperienza di successo nello spazio della Crypto Art mi ha trasformato in un collezionista a vita e in futuro collezionerò sempre di più ciò che amo.

Max Papeschi, Sold Out, 2008

Chi ha paura degli avvoltoi?

di Pietro Quattriglia Venneri

Il trauma delle depredazioni napoleoniche è ancora vivonelle coscienze dei contemporanei. La potenza di ogni impero
si fonda su due forze: l’esercito e il patrimonio artistico

Nella mia personalissima playlist da viaggio esiste un gruppo che ai più sarà sconosciuto, come quasi tutte le cose che per me rivestono un interesse particolare. Sono i Daughter, band indie della scena londinese degli ultimi dieci anni con una grande abilità negli arrangiamenti e un’importante attenzione alle liriche, intimamente illuminanti, a dispetto di quanto facciano gran parte dei componenti di questa ennesima costola, a loro dire indipendente (da qui indie), del rock. Una loro canzone intitolata Youth, che peraltro consiglio di ascoltare a tutti quelli che, come me, sono nati nella prima metà degli anni Ottanta, conserva al suo interno un passaggio che ha largamente rappresentato la mia incapacità relazionale degli scorsi vent’anni: “collecting names of the lovers that went wrong, the lovers that went wrong”.
A un tratto, la prospettiva di poter nobilitare miei fallimenti sentimentali dando loro l’accezione di collezionismo mi ha profondamente rinfrancato. Del resto, collezionare ed amare sono due delle più evidenti follie del genere umano, per amore qualcuno si è anche tolto la vita… e per collezionare?
Forse molti di noi non immaginano nemmeno ciò che si consuma nel corso dei secoli in nome dell’arte e – soprattutto – del suo possesso. La questione ci viene presentata, credo per la prima volta, da un gigante come Orazio nelle seconda delle sue Epistulae, con la consueta pregnanza lapidaria dei grandi letterati latini: “La Grecia conquistata, conquistò il selvaggio vincitore e portò le arti nel Lazio agreste”.
È quanto meno affascinante notare come il poeta, secondo un classico costume romano, cerchi di rendere meraviglioso ed organico questo trasferimento di conoscenze, di capacità creative e di opere d’arte dalla penisola greca ai confini laziali. Peccato che fu tutto il contrario.
L’importazione dell’arte greca in Italia si sostanzia in una pura e selvaggia spoliazione da parte degli eserciti romani, che si abitueranno a questo genere di pratica reiterandola nelle loro secolari campagne di conquista. La potenza di un impero passa soprattutto da due elementi: due in particolare, gli eserciti e il patrimonio artistico.
Un concetto, questo, che viene ripreso in maniera spaventosamente identica qualche secolo più tardi, quando sulla scena europea irrompe Napoleone che in materia di depredazioni è un master inavvicinabile. Un documento del 1796 dice testualmente “Cittadino generale, il Direttorio esecutivo è convinto che per voi la gloria delle belle arti e quella dell’armata ai vostri ordini siano inscindibili […] Il Museo Nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti
artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell’armata d’Italia e da quelle che il futuro le riserva […] Il Direttorio esecutivo vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere, e a dare ordini precisi per l’illuminata esecuzione di tali disposizioni”.

 

Il ritrovamento della Madonna di Bruges di Michelangelo nella miniera di Altaussee, 9 luglio 1945.

 

Tutti noi sappiamo quanto il Bonaparte prenda a cuore quell’ordine e con quanta transalpina abnegazione si adopera per raggiungere un risultato soddisfacente: basterebbe ricordare che con la soppressione degli ordini monastici e la spoliazione delle chiese italiane si arriva ad allestire una buona parte della Grande Galerie del Louvre. In questo caso le predazioni transnazionali creano non poche grane al buon Metternich che, durante il Congresso di Vienna, tra le altre cose dovette occuparsi della restituzione delle opere d’arte trafugate. Per la prima volta, al tavolo delle trattative si parlò di restituzioni, di comitati nazionali di riappropriazione e di guerra moderna. Il trauma delle spoliazioni napoleoniche è ancora vivo nelle parole di Eva Tea, storica dell’arte ed intellettuale, che nel 1919 con l’articolo Le rivendicazioni d’arte italiana, certo non immune da una forte vena nazionalistica, risveglia nell’ambiente culturale della penisola il problema delle restituzioni.
Neanche due decenni più tardi e la follia della guerra nazista non manca di dare il proprio contributo alla storia delle depredazioni, questa volta nella forma più becera e gretta: è di questi giorni la notizia della restituzione da parte del Musée d’Orsay di un Klimt trafugato ad una famiglia ebrea in Austria nel 1938, vittima della Shoah. Solo uno degli infiniti casi di odiose depredazioni ai danni delle famiglie ebree. Per comprendere la portata di questi avvenimenti, basti pensare che fu addirittura necessaria la formazione di uno speciale reparto dell’esercito americano per contrastare le razzie di Goering & Co. Sembra quasi che una parte fondamentale nell’esercizio del potere sia rappresentata proprio dal collezionare, possedere e accumulare ricchezze artistiche ad ogni costo, con qualsiasi mezzo.
Vi metto in guardia sul tema: non è mai semplice ricordare quanto il genere umano possa perdere la propria dignità in maniera cosi sconfortante.
È forse a causa degli esempi poco edificanti fin qui citati che, ancora oggi, gran parte degli organi statali che agiscono in materia di cultura e beni culturali (e buona parte dell’opinione pubblica) considerano con non poche riserve i grandi collezionisti privati, perseverando così in un gravissimo errore di valutazione.
Perché se è vero che un oggetto d’arte estirpato dal suo contesto naturale diventa parzialmente “mancante”, è altrettanto lecito ricordare ciò che disse sua maestà, Roberto Longhi, che rimarca lo stato di secolare abbandono in cui versavano i marmi del Partenone fino “alla rapina di Lord Elgin, che fu finalmente un atto critico rilevante” (Lord Thomas Bruce, VII conte di Elgin, fu un diplomatico britannico, noto per avere asportato le sculture di marmo dal Partenone, per portarle in Inghilterra. Tali sculture sono perciò note come “marmi di Elgin”, ndr).

 

Archibald Archer, Allestimento provvisorio della Elgin Room nel 1819, Londra, British Museum.

È rileggendo uno dei miei romanzi preferiti che ho deciso di scrivere di “collezionisti predatori”. Ne Il Re dei  Confessori, Thomas Hoving, direttore del Met dal 1967 al 1977 e decano dei Cloisters del museo americano, racconta una serie incredibile di esportazioni al limite dell’illusionistico, come nel caso dell’Annunciazione del Pulpito di San Leonardo a Firenze, rocambolescamente rinvenuta sulla carcassa di un vecchio furgoncino a Genova.
Ma è nelle parole di uno dei più grandi conservatori museali del mondo, riportate sempre da Hoving nel Re dei Confessori, che si trova la migliore definizione della questione: “Vedi, Hoving”, gli dice infatti un collega, “il collezionismo d’arte è principalmente un gioco d’attesa. Per la maggior parte del tempo devi solo lasciare che il gioco passi a te, come gli avvoltoi. Accettalo, molti curatori in realtà non sono altro che mangiacarcasse”.
Avvoltoi, che animali adorabili.

 

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