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Elio Ciol, un classico vivente della fotografia italiana

Elio Ciol e Pasolini_fotoStefanoCiol©
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Elio Ciol è un “classico” vivente della fotografia italiana. L’artista friulano parla della sua vita e del suo incontro con l’arte dello scatto d’autore in questa intervista esclusiva. Una vita per la fotografia, cominciata fin da bambino nella bottega del padre, a cominciare dai ritratti di Pasolini, di Maria Callas, fino alle grandi esposizioni all’estero e in Italia.

Come e quando è cominciato il suo rapporto con la fotografia? 

Mi sono praticamente trovato dentro la fotografia da subito, in quanto mio padre era fotografo, perciò, posso dire che sono nato in camera oscura, lo dico per scherzo anche se c’è del vero in questa affermazione, perché una volta l’artigiano viveva in modo completo della sua attività anche in casa.

E quindi suo padre le ha insegnato e trasmesso l’arte della fotografia?

Ho iniziato ad aiutare mio padre quando avevo quattordici anni, la fotografia è un mestiere dove ci sono tante piccole cose che può fare anche un bambino, perciò fin da ragazzo entravo in camera oscura, poi in sala da posa, a regolare le luci con le tende così piano piano ho appreso. 

Quando si è approcciato alla fotografia autorale? 

Dopo aver partecipato ad un concorso fotografico a Udine dove vinsi il terzo premio, fu la prima volta, e da quel momento decisi proprio di impegnarmi con la fotografia. Ho fatto parte del Cine Club di Udine, e poi ebbi il coraggio di partecipare ad altri concorsi mondiali a New York dove anche in quei contesti vinsi dei premi. Ho incontrato determinate persone nella mia vita che si sono interessate al mio lavoro appassionati del mio modo di fotografare e che hanno promosso le mie fotografie anche in America in diversi musei.

Come è cominciata la relazione con il Museo Archeologico di Cividale del Friuli? 

Ho conosciuto il professore e direttore del museo archeologico di Cividale, Buttinelli, che ogni settimana conduceva a Udine una conferenza d’arte, dove ero solito partecipare. Un giorno consigliai al professore di usare delle diapositive che davano una maggior resa per le proiezioni e da allora mi diede sempre degli incarichi e arrivai così a documentare tutto il museo di Cividale.  Sono stati questi incontri eccezionali che mi hanno aiutato molto nella mia carriera. 

Nel suo percorso ha avuto anche qualche difficoltà? 

Ho imparato strada facendo anche per documentare le opere del museo, c’erano dalle piccole alle grandi cose da fare e, di volta in volta, anche se non avevo l’attrezzatura, cercavo di organizzarmi, e di possedere ciò che mi serviva per ampliare il mio lavoro. É stata una crescita del bagaglio tecnico necessario oltre che un’occasione di miglioramento. Adesso dimentico naturalmente tante cose perché ho 95 anni ma ho avuto grandi soddisfazioni, poi ho anche l’aiuto tecnico di mio figlio Stefano, che è la terza generazione di fotografi Ciol: mio padre, io e lui.  

Pasolini in visita alle zie con la Callas, Casarsa, 1969 – Ph ElioCiol©

Quali sono le sue considerazioni rispetto la fotografia di opere d’arte?

Il mio contributo per l’editoria delle opere d’arte è avvenuto attraverso tutti i servizi che mi hanno commissionato diversi editori. Alcune cose le ho realizzate di mia iniziativa ma la maggior parte sono incarichi di cui sono orgoglioso, su Chagall per esempio ho realizzato già tre libri e poi altri su altri temi e artisti. La fotografia di opere d’arte o di sculture è molto differente dalla fotografia di un soggetto umano o un paesaggio, ma potrebbe essere anche la stessa cosa. Però il saper vedere, interpretare l’immagine, il modo di selezionare anche determinati particolari sono una cosa eccezionale, scovarli dentro l’opera si rivive un po’ l’opera dell’autore stesso che l’ha realizzata. Specialmente nella pittura che non è come la fotografia, che la fai in un colpo, hai tutto quanto creato con le pennellate per questo l’arte è un mondo fantastico. Ho cercato di avvicinarmi anche alla scultura, vedere un po’ tutte le forme, le dimensioni le cose. É una questione di attenzione che necessita di avvicinarsi al più possibile al sentire dell’autore stesso. 

Attualmente lei lavora con la macchina digitale, come ha vissuto il passaggio del cambio di utilizzo da analogico a digitale? 

Adesso scatto con la macchina fotografica digitale, ma quando uscirono nel mercato le prime macchine abbiamo aspettato, perché all’inizio non era abbastanza forte da poter dare delle indicazioni. Adesso è superiore alla pellicola. La pellicola ad un certo momento si blocca nei toni scuri, non va al di là, non penetra, non ha tutta la gamma dei toni dei grigi.  Invece col digitale si ottiene molto in questo senso. Quindi il passaggio dalla pellicola al digitale l’ho vissuto molto bene, ha portato dei benefici. Ho sempre sperimentato senza staccarmi dal mio modo di lavorare, l’importante è avere sensibilità e accortezza.

E ovviamente il suo lavoro è riconosciuto anche per la collaborazione con Pierpaolo Pasolini, che tra l’altro ha ritratto diverse volte. Qual è il suo ricordo? 

Pierpaolo Pasolini é stato un incontro avvenuto da ragazzo, perché era amico di Nico Naldini, che era una mia coetanea, abbiamo un mese di differenza, giocavo con lei, così vidi arrivare Pierpaolo che veniva durante l’estate in vacanza. Il mio primo incontro con lui fu – l’ho ancora presente – nel cortile, si era messo a disegnare col suo cavalletto un San Sebastiano con una sanguigna, io mi avvicinai a lui ed iniziò subito a spiegarmi l’immagine. Io avevo dieci anni, era nel ‘39 circa, all’inizio della guerra, e lui iniziò con la sua famiglia a venire qui a Casarsa della Delizia, e dopo si fermò qui a causa della guerra, perciò l’amicizia nacque così. Successivamente quando volle fondare l’Accademiùte di Lenga Furlana, frequentava anche i ragazzi a cui già faceva scuola, e un giorno disse: “domenica vi voglio avere tutti qua che voglio spiegarvi una bella idea, Elio porti la macchina fotografica. E lì ho fatto quelle prime fotografie del gruppo dell’Accademiùte di lenga Friulana, nella chiesetta di Versuta, avevo quattordici anni. 

Quindi lei è cresciuto anche con Pier Paolo Pasolini ?

Sì, certo, è stato un amico e un riferimento, come quando creò il teatro coi ragazzi, e il coro di cui ho seguito un po’ tutto. E dopo lo rincontrai anche ad Assisi. Frequentavo Assisi, dove facevano dei convegni d’arte. Un giorno lo vidi e mi disse: “che cosa fai qua tu?”. Risposi: “Che cosa fai tu qui?”. Scherzammo. E poi in quelle occasioni realizzai quel bel ritratto all’eremo delle carceri. È uno scatto abbastanza noto, è un bel ritratto, perché Pier Paolo sembra avvolto in un momento di grazia, in questa sensazione di spiritualità che emanava l’ambiente. E anche quando venne con Maria Callas per presentarla alle sue zie ero presente e scattai alcune fotografie. Sono questi momenti che poi ho raccolto anche in una cartella che ho regalato al comune di Casarsa della Delizia. Pierpaolo era eccezionale, ma queste sono anche cose così normali, visto che era cresciuto un po’ qui in Friuli. 

Pasolini ad Assisi – ph ElioCiol©

Com’è diventato fotografo di scena?

Durante l’incontro con padre David Maria Turoldo per il film “Gli ultimi”. Anche quella fu un’occasione, quelle cose che capitano nella vita che ti fanno progredire. Padre Turoldo quando venne in Friuli per le riprese del film “Gli ultimi” chiese al Cine Club di Udine di indicargli un fotografo che conoscesse bene il Friuli e lo direzionarono subito a me.  Così avvenne la presentazione e lo portai in giro a visionare i vari luoghi, perché lui era partito da ragazzo per andare in monastero e pertanto non conosceva granché del Friuli. Successivamente accompagnai anche il regista Vito Pandolfi che mi propose di lavorare come fotografo di scena per il suo film.

Cosa ci racconta del suo periodo a Milano? 

Durante la mia permanenza a Milano ho realizzato una bellissima e grande mostra sull’attività della gioventù studentesca. La mostra fu inaugurata dal Cardinal Montini che alla sera stessa partí per Roma perché stava morendo Papa Giovanni, che poi lo susseguì, diventando egli stesso Papa. 

Che cosa ha sempre voluto trasmettere attraverso la fotografia? 

Direi che non sapevo nemmeno che cosa volessi trasmettere, ma penso però, rivedendo e rivalutando il mio lavoro, un certo senso di serenità, anche se nel periodo del neorealismo ho documentato la povertà, ma è sempre una povertà vissuta in modo dignitoso, ma anche allegro, spensierato, leggero. Non ci pesava la povertà, perché eravamo tutti poveri a quei tempi. Se uno ha vissuto un po’ capisce subito queste cose. Per i miei 80 anni sono state fatte tre mostre: una a Villa Manin sul Neorealismo, una a Casarsa della Delizia al centro studio Pasolini, sul paesaggio Friulano, e una a Pordenone, al convento di San Francesco sugli affreschi di San Francesco, “Tutto sul volto della parola” era il titolo. Certo, il risultato è il lavoro che ti salva, non le parole, si può dire che il lavoro parla da sé e il mio tipo di lavoro, penso che può andar bene.


www.eliociol.it


Immagine di copertina: Elio e Pasolini, ph StefanoCiol©


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