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Marzia Spatafora

Jorge Fernandez Torres è il Direttore del Museo Nazionale di Belle Arti di Cuba. Personaggio molto conosciuto all’Avana, Jorge è un uomo di cultura che ha portato l’arte cubana per il mondo. Direttore della XI e della XII Biennale dell’Avana, ha dato un’impronta internazionale sia per la folta partecipazione degli Stati mondiali che per l’alto contenuto sociale rivolto alla parità di diritti tra i popoli. Nel 2011, con il Commissario del Padiglione Cuba Miria Vicini, porta l’arte cubana alla Biennale di Venezia nell’isola di San Servolo e nel 2013 al Museo Archeologico Nazionale in Piazza San Marco con la partecipazione di sette artisti cubani e sette internazionali tra cui Hermann Nitsch e Gilberto Zorio. La partecipazione cubana alla Biennale di Venezia è durata fino all’ultima edizione nel 2019. Erano 45 anni che Cuba era assente da Venezia.

In questa intervista esclusiva, Fernandez Torres ripercorre per noi la storia, i progetti e le prospettive per il futuro dell’arte cubana contemporanea e del suo rapporto con l’arte mondiale, compresa quella italiana.

 

Una foto della Habana Vieja, il centro della città. La foto è di ©Desiderio Sanzi. Courtesy Desiderio Sanzi.

 

Per iniziare, ci racconta una breve storia del Museo Nazionale di Belle Arti di cui è Direttore?

Il museo di Belle Arti sorge nel 1913 per opera dell’architetto e scultore Emilio Heredia. Dalle sue origini il museo ha cambiato diversi siti all’interno della città: solo nel 1954 approda infatti nella sua sede definitiva al Palazzo delle Belle Arti, dov’è tuttora. Il primo direttore del Museo Nazionale fu Emilio Heredia che divise il Museo in diverse sezioni, dall’archeologia alla Storia naturale, passando per la gioielleria e, naturalmente, le Belle Arti. Nel 1918 assunse la direzione del museo Antonio Rodriguez Morey, che nonostante si fosse considerato sempre cubano, era un eccellente pittore andaluso e un uomo di prestigio nel mondo dell’arte. Restò in carica fino al 1967. In seguito, nel periodo post-rivoluzionario, giunsero nuove direzioni ma senza dubbio Emilio Heredia e Antonio Rodriguez Morey hanno fatto la storia e creato le basi del Museo. Bisogna anche tener conto di tutte le persone che hanno arricchito le collezioni di cui oggi gode il popolo cubano: da Joaquìn Guzman Herrera, a Conde Lagunilla, a Julio Lobo, a Oscar B. Cinta, a la Marquesa de Pinar del Río, a José Gómez Mena e molti altri che ebbero una visione importante per il collezionismo del museo.

 

Fidel Castro amava molto l’arte. Pensa che il cambiamento di regime da Batista a Castro abbia influito positivamente sul mondo artistico, e in che modo?

Gli apporti di Fidel allo sviluppo dell’arte a Cuba sono indiscutibili e nel caso specifico del Museo Nazionale di Belle Arti si deve ricordare che si preoccupò del lavoro di restauro, di mantenimento e di protezione del patrimonio cubano. Per lui, partecipare allo sviluppo di questo patrimonio fu una priorità: iniziò durante la Rivoluzione ma dopo il 2001 fu costretto ad intraprendere una strada differente data la situazione economica tesa e difficile. Restaurò l’Edificio di Arte Cubana e aggiunse un nuovo spazio, l’antico Centro Asturiano, fondato nel 1927, di alto valore patrimoniale. Quando Fidel decise di trasferire tutto il patrimonio cubano al Museo Nazionale, questo funzionava come Tribunale Supremo. Castro dedicò questo Museo all’arte internazionale inserendo le sezioni europee, l’arte classica e antica, l’arte degli Stati Uniti e l’arte Latina Americana. Questo non significa che durante l’epoca di Batista l’arte e gli artigiani non si siano sviluppati: a Cuba l’arte ha avuto sempre una posizione privilegiata in qualsiasi periodo. Fin da quando fu fondata l’Accademia di San Alejandro nel 1819, si sono susseguiti personaggi che hanno segnato la storia dell’arte di questo paese. E negli anni Cinquanta si assiste alla nascita dell’avanguardia, alla sua consolidazione e all’affermazione dell’arte astratta.

 

Jorge Fernandez Torres
Un ritratto di Jorge Fernandez Torres, direttore del Museo di Belle Arti di Cuba e già direttore della Biennale dell’Avana.

 

L’embargo americano ha un’influenza creativa sulla libertà di espressione degli artisti cubani?

La libertà creativa va ben oltre un embargo. È una condizione dell’arte, dell’artista, non è limitata e non deve essere manipolata dalla situazione politica. Ogni artista dovrebbe esprimere la propria libertà creativa anche in base alla propria individualità, la propria visione del cosmo e la propria soggettività, cosa molto importante.

Lei è stato direttore della XI e XII Biennale dell’Avana. Quale indirizzo artistico ha seguito?

Nella XII edizione, nel 2015, ricordo ad esempio, tra gli italiani, la presenza di Gino Marotta e di Renato Mambor.

Con quale criterio ha compiuto queste scelte?

Per quanto riguarda Marotta e Mambor, stiamo parlando di due artisti che hanno fatto la storia dell’arte italiana e dell’arte universale, e in quanto tali li ho scelti per partecipare alla Biennale. In particolare, il tema centrale della rassegna riguardava le pratiche artistiche e gli immaginari sociali, e la cosa che mi interessò era che entrambi questi artisti ebbero un ruolo importante nella loro epoca. Marotta, ad esempio, fu un artista poliedrico e interdisciplinare: lavorò nel teatro, nel cinema, fu un vero pioniere nei linguaggi e nelle nuove tecnologie e fu inviato a partecipare a numerosi progetti di Germano Celant, uno dei curatori più importanti della nostra epoca. Marotta fu insomma un grande innovatore: utilizzò linguaggi e materiali molto differenti, dal metallo, all’acero fino al metacrilato e persino al laser. Anche il lavoro di Renato Mambor mi sembrava importante per la sua originalità e la continua innovazione. La sua relazione con Fabio Mauri, Alighiero Boetti e con tutti i maestri della sua generazione ci aiuta a comprendere il suo interesse per gli scambi culturali e il desiderio di condividere con altri idee e progetti. Mambor fu anche un grande innovatore nella scultura, nell’installazione ma anche nella performance e nel teatro, e in questo senso mi interessava il suo approccio relazionale e partecipativo, rivelando un universo che va ben oltre i linguaggi tradizionali dell’arte, investendo anche la filosofia e l’antropologia. Mambor e Marotta sono due artisti che possono dialogare bene con artisti contemporanei del Terzo Mondo e con coloro che sono interessati alla relazione che scaturisce tra la funzione e la morfologia dell’arte, tra l’oggetto e l’idea. Le loro opere, infatti, cercano una connessione diretta con l’intangibile, con la conoscenza e il pensiero: per questo li ho selezionati per la Biennale.

Cuba da qualche anno è approdata anche alla Biennale di Venezia con grande successo. Quali sono le differenze tra le due rassegne?

La differenza fondamentale tra la Biennale di Venezia e la Biennale dell’Avana è che quest’ultima ha sempre cercato di esaltare l’arte del Terzo Mondo, supportando il Sud e dando voce e spazio ad artisti appartenenti ad aree geografiche poco considerate. Uno degli scopi principali della Biennale dell’Avana è sempre stato quello di portare alla luce quelle nazioni dimenticate, quegli artisti che creano quotidianamente in luoghi sfavoriti della geopolitica internazionale. La Biennale dell’Avana non è mai stata strutturata con padiglioni rappresentanti diversi Paesi, bensì ha creato piattaforme che potessero esprimere sensibilità universali. Venezia nasce invece con un approccio “fieristico”. Negli anni Ottanta nacque il progetto di Harald Szeemann e Achille Bonito Oliva chiamato “Aperto”: l’idea era cercare giovani artisti di latitudini differenti. Fu il tentativo di dare a Venezia una relazione più connessa a quella parte di mondo poco considerata: Szeemann e Bonito Oliva tentarono di cambiare questa dinamica, cercando di dare a Venezia una connotazione meno elitaria. Con il tempo, Venezia iniziò a invitare curatori che promuovessero progetti d’autore, però fu mantenuta la struttura a padiglioni per i differenti Paesi. Un modello che funziona più come “ambasciata” che come autentico spazio per l’arte. Nonostante ciò bisogna ammettere che non perde di attrazione e anzi è molto interessante vedere quello che succede in altri paesi. Non tutto è negativo, questa formula apporta un’aria un po’ più globale, una cosmovisione senz’altro più internazionale e va rispettata.

 

Renato Mambor, Separè.

 

Come è organizzato il Museo dell’Avana: oltre agli artisti cubani c’è una sezione dedicata agli artisti europei?

Nel museo c’è un edificio dedicato all’arte cubana che rappresenta il periodo della Colonia fino agli anni Novanta del XX secolo. In realtà abbiamo una carenza dell’arte aborigena, è un nostro debito pendente, così come tutta la produzione di artisti giovani post anni Novanta. Il museo mantiene una collezione di arte contemporanea che si è nel tempo via via arricchita, il problema è che spesso manca lo spazio per esporre tutte le opere. La nostra collezione è disposta in maniera cronologica e questo crea difficoltà per l’esposizione delle opere più recenti. Dal 2001 disponiamo di un edificio dedicato all’arte universale: al primo piano è presente una sala dedicata all’America Latina insieme a opere degli Stati Uniti del XIX secolo e una grande sala dedicata alla Spagna. Al quarto piano abbiamo invece opere di arte antica con, ad esempio, una collezione dei ritratti del Fayyum. Molte opere in realtà non sono esposte per un problema di spazio, tra cui alcune di scuole europee, asiatiche e una collezione del XX secolo di artisti di diverse nazionalità. Interessante è il Gabinetto delle stampe e disegni che vanta circa 39 mila esemplari e comprende opere di carta di arte cubana e internazionale.

 

 

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