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Ivan Quaroni

Paesaggi stranianti e visioni da un presente sospeso

Stimmung, termine tedesco che designa una disposizione d’animo che si estende allo spazio, quasi una tonalità affettiva che coinvolge il luogo e il paesaggio, è un vocabolo ricorrente negli scritti di Giorgio De Chirico, almeno quanto il termine Metafisica, che non indicava affatto ciò che esiste oltre l’apparenza sensibile, in una ipotetica dimensione invisibile, ma l’enigma e il mistero che sta dentro le cose, negli oggetti comuni e perfino banali.

“Ora io nella parola ‘metafisica’ non ci vedo nulla di tenebroso:”, scriveva il Pictor Optimus nel 1919, “è la stessa tranquillità ed insensata bellezza della materia che mi appare ‘metafisica’ e tanto più metafisici mi appaiono quegli oggetti che per chiarezza di colore ed esattezza di misure sono agli antipodi di ogni confusione e di ogni nebulosità”.

 

neo metafisica
Paolo De Biasi, Padiglione, 2020, acrilico su tela, cm 100×70.

 

Una Stimmung odierna, un’eventuale Neue Stimmung, non può certo avere le sembianze di quella originale. Viviamo in un’epoca diversa da quella che si preparava ad affrontare la tragedia del primo conflitto mondiale, un mondo segnato ora da una terribile crisi climatica, conseguenza di quell’accelerazione antropica cominciata, secondo alcuni, il 16 luglio 1945, con i test nucleari in New Mexico del famigerato Progetto Manhattan.

Eppure, tracce spurie o degradate di Stimmung sopravvivono ancora nel frasario pittorico di alcuni artisti italiani, magari con significati nuovi, in un ventaglio di accezioni che spaziano dal concettuale all’ironico, dal nostalgico al citazionista, dal magico al surreale.

 

Ilaria del Monte, Leaves and roots, olio su tela, 40×35 cm, 2021.

 

Ilaria Del Monte dipinge con esattezza e precisione plastica un universo mentale che fonde l’ordinario con il fantastico mescolandoli in un racconto d’impressionante coerenza visiva. Elemento centrale del suo immaginario è il concetto heideggeriano di Lichtung, traducibile con la parola “chiaroscuro”, ma in un’accezione che designa l’apparizione di un’entità, il suo venire alla luce da un’oscurità irriducibile.

I suoi dipinti sono nella calda e malinconica luce crepuscolare della Stimmung dechirichiana, ma il luogo delle sue visioni, popolate di figure femminili e curiose apparizioni è la casa, che l’artista traspone in uno spazio di transizione delle forme naturali, metaforico teatro di conflitti interiori. Ciò che è metafisica nei lavori di Ilaria Del Monte è la qualità arcana e misteriosa delle immagini, nitide e cristalline come quelle degli artisti del Realismo Magico.

 

Paolo Pibi, Metapsychologie 2, 2020, acrilico su tela, cm 50×50.

 

La pittura di Paolo De Biasi si configura, invece, come una forma di scrittura che indaga le possibilità espressive di una pratica millenaria, potenzialmente capace di produrre significati diversi rispetto a quelli di qualsiasi altra forma di narrazione lineare.

Per lui “il quadro è uno spazio finito nel reale ma infinito nel possibile”, cioè un luogo di rivelazioni che la pittura può plasmare in immagini intellegibili. Un linguaggio che tradisce la sua formazione di architetto, sensibile alla costruzione dello spazio e della forma degli oggetti.

Per De Biasi la pittura è una disciplina che riguarda le relazioni tra il “vedere” e il “pensare” e che consiste nella creazione di uno spazio ideale, costellato di oggetti riconoscibili e perfino di frammenti di opere del passato. L’elemento citazionistico è parte di un alfabeto ricostruttivo che recupera lemmi classici e moderni in una sorta di regesto di forme ricorsive, eternamente ritornanti, ma che possono contribuire a rinnovare la pittura.

 

“Per il padre della psicanalisi se esiste una Metafisica che studia le cause prime della realtà, deve esistere una Metapsicologia che analizza i processi psichici di elaborazione della realtà”

 

Paolo Pibi usa il paesaggio come pretesto iconografico per indagare la percezione della realtà. Le sue immagini ambigue suggeriscono l’idea di un landscape modificato, artefatto, per certi versi simile a un costrutto mentale. La sua è una riflessione sull’origine della visione ispirata alla teoria della Metapsicologia di Freud.

Per il padre della psicanalisi se esiste una Metafisica che studia le cause prime della realtà, deve esistere una Metapsicologia che analizza i processi psichici di elaborazione della realtà. Attraverso la pittura, Pibi scopre che il mondo fisico e quello virtuale dell’arte sono entrambi frutto di una proiezione mentale.

 

Olinsky, Un attimo prima, 1930, olio su tavola, cm 60×37.

 

I suoi dipinti mostrano, infatti, ciò che sottende, e insieme prescinde, la morfologia paesaggistica, cioè la meta-realtà finzionale dell’immaginazione, che obbliga l’osservatore ad ampliare i limiti della propria percezione sensibile.

Nicola Caredda trasferisce l’atmosfera sospesa degli Enigmi dechirichiani in un universo distopico fatto di macerie e detriti dell’era postmoderna. I suoi paesaggi mostrano ciò che rimane dopo l’ecatombe ecologica, un globo disabitato e silente, costellato di rovine industriali, architetture scheletriche e malinconici reperti della società dei consumi.

Sono visioni notturne che raccontano la fine dell’antropocene, l’attuale epoca geologica dominata dalle attività umane che, secondo le previsioni del biologo Eugene Stoemer, sono la principale causa delle modificazioni ambientali, strutturali e climatiche del nostro ecosistema. Caredda ce ne fornisce un’immagine oleografica, la convincente prefigurazione di un’apocalisse compiuta.

Nei paesaggi feriali di Zaffino, dove l’umanità è impegnata in attività di svago e di relax, l’irrompere di inaspettati effetti climatici e atmosferici – eruzioni vulcaniche, distorsioni magnetiche, bizzarri fenomeni di rifrazione della luce, vortici fluidi e prodigiose levitazioni – non ha nulla di apocalittico.

 

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Ciro Palumbo, La casa magica, 2020, olio su tela, cm 40×50.

 

La destabilizzazione metafisica della realtà sembra, infatti, abituale, quasi consuetudinaria. Caos e disequilibrio fanno parte della quotidianità, sono, cioè, fenomeni naturali come gli Iperoggetti teorizzati dal filosofo ecologista Timothy Morton: cose viscose, di singolare grandezza, che esistono su scale temporali che l’uomo non può comprendere, ma di cui subisce comunque gli effetti.

Oggetti, insomma, come il riscaldamento globale o le scorie nucleari, il petrolio o la biosfera, le radiazioni solari o i buchi neri, i quali inaugurano una sorta di nuova dimensione masochistica dell’esperienza estetica. “Svegliarsi all’ombra degli iperoggetti”, scrive Morton, “è come trovarsi in un film di David Lynch in cui diventa sempre più difficile distinguere il sonno dalla veglia”, proprio come negli enigmi di Giorgio De Chirico.

Nei lavori di Vanni Cuoghi del ciclo “La messa in scena della pittura”, il paesaggio ricavato dal montaggio di frammenti di realtà è evidentemente una congerie di oggetti fuori posto, come pezzi di legno, schermi di PC portatili o archi a tutto sesto spuntati dal nulla.

 

Vanni Cuoghi, Love letters in the Sand (La messa in scena della Pittura 07), 2019, acrilico e olio su tela, cm 45×45.

 

Tuttavia, tale paesaggio è anche una morfologia dissestata, in cui gli elementi naturali non obbediscono più né alle leggi gravitazionali né a quelle climatiche e dove, ad esempio, deserti e montagne innevate coesistono con alberi mostruosamente fioriti. La forma artistica che è forse più appropriata al concetto di weirdness (di stranezza), come scrive Mark Fisher, “è quella del montaggio – la combinazione di due o più elementi che non appartengono allo stesso luogo”.

Da qui deriverebbe, secondo il critico inglese, la fascinazione per il weird da parte del Surrealismo “che interpretava l’inconscio come una macchina per il montaggio cinematografico, un generatore di accostamenti bizzarri”. Non è tanto la smaccata natura di “artefatti” delle opere di Cuoghi a produrre la strisciante sensazione che qualcosa non torni, ma la loro pretesa simulazione del mondo, inteso come luogo intellegibile per l’uomo.

Cuoghi attribuisce all’uomo un posto tra le cose, trasformandolo in un ente tra altri enti che non ha più alcuna preminenza. In queste sue mise en scène diventa, infatti, una presenza aliena ed enigmatica in un universo altrettanto straniante e misterioso.

La pittura di Ciro Palumbo, invece, influenzata dai giacimenti nostalgici e immaginifici di certo Novecento, attraverso i filtri del simbolismo, è evidente nella scelta di recuperare frammenti dell’armamentario iconografico metafisico. Quel che affiora prepotentemente dalla sua arte, pervasa da una rêverie di gusto classicista, è l’immaginazione mitopoietica, una potente spinta fantastica a creare nuovi miti e nuove narrazioni in cui affiorano, accanto a iconografie inedite, forme e figure della metafisica.

 

Massimiliano Zaffino, Intrattenimento campestre fatto di ricordi con il ponte luminoso spaziale, 2020, olio su tela, cm 85×105.

 

Palumbo insiste sul tema dell’interno metafisico, inteso come scatola metafisica prospettica costellata di oggetti enigmatici, giocattoli e ninnoli che citano l’immaginario di Savinio, traslandolo in una grammatica di forme mobili e instabili, più adatte a rappresentare la precarietà contemporanea.

Olinsky, alias del progetto pittorico di Paolo Sandano, è artista innamorato della storia, che affida le sue fantasie a un personaggio fittizio, un oscuro pittore originario della Slavonia Occidentale, che attraversa le vicende dell’arte del Novecento alla ricerca di un’improbabile illuminazione.

 

Nicola Caredda, Y.P.J. Woman vs long Beards, 2021, acrilico su tela, cm 70×100.

 

Nella sua pittura, affetta da un compulsivo nomadismo tra i codici avanguardisti e i linguaggi classici, Olinsky include anche l’influsso di Walt Disney, che considera il più grande artista del XX secolo. Tutta la sua produzione è abitata da una figura di Topo stilizzato, un alter ego che incarna i sogni, le aspirazioni e le delusioni dell’artista. L’incontro di Olinsky con la Metafisica passa attraverso gli esempi di Carlo Carrà e del giovane Mario Sironi.

Da un lato il recupero giottesco di Valori Plastici, dall’altro il malinconico incanto delle periferie urbane, ma con il filtro disneyano a mutare la Stimmung in una esilarante catarsi tragicomica.

 

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