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Luca Tommasi

Salire le scale che conducono allo studio di Pietro Ruffo è un autentico tuffo nella storia artistica romana. Il suo atelier si trova infatti nello stabile che dell’ex Pastificio Cerere, nel quartiere di San Lorenzo, che all’inizio degli anni Ottanta fu il rifugio di quegli artisti che passarono alle cronache con l’appellativo di “seconda scuola romana” o “Gruppo di San Lorenzo” che annoverò personalità del calibro di Nunzio, Ceccobelli, Tirelli, Gallo, Pizzi Cannella, Dessì, alcuni dei quali ancora vi mantengono lo studio.

 

Pietro Ruffo
Pietro Ruffo, Antropocene 36, 2022, inchiostro, olio e collage su carta intelata / ink, oil and cutouts on paper laid on canvas

 

Quegli anfratti industriali dismessi furono resi celebri da Achille Bonito Oliva nel 1984 con la nota mostra “Ateliers”, che accese un faro su quel gruppo di giovani artisti. Pietro Ruffo ci è giunto quasi per caso, circa vent’anni fa, quando ancora fresco di laurea in Architettura, gli fu offerto uno studio dal proprietario dell’immobile, in cambio della disponibilità a rivestire un ruolo, che scherzosamente lui definisce di “manutentore”, che consisteva nel sovrintendere alle piccole problematiche edilizie che si presentavano di sovente in una struttura così attempata.

In punta di piedi si è inserito in quello straordinario contesto, divenendo amico e sodale dei più maturi colleghi, mutuandone la professionalità e il rigore per una pratica artistica che, come tiene a precisare, si fortifica con il lavoro quotidiano. Come entro nello studio, posto a un luminosissimo terzo piano, mi trovo circondato dalle opere del nuovo ciclo in lavorazione dal titolo “Antropocene”, ordinatamente disposte alle pareti, ciascuna inserita in una teca di plexiglas, necessaria per proteggere lavori aggettanti, fatti di collage di carte, tele e forme estruse che emergono dalla superficie bidimensionale della tela.

 

Pietro Ruffo
Pietro Ruffo, Antropocene 38, 2022, inchiostro, olio e collage su carta intelata / ink, oil and cutouts on paper laid on canvas

 

Il linguaggio è quello riconoscibile delle opere dell’ultimo decennio, il contenuto è nuovo e ci viene raccontato con grande dedizione dall’artista stesso. Antropocene significa letteralmente un’era geologica influenzata dalla presenza dell’uomo, un concetto peraltro su cui gli scienziati si stanno ancora interrogando, se questo impatto sia effettivamente così determinante per definire l’inizio di un’era geologica, che normalmente coincide con eccezionali cambiamenti climatici e morfologici del pianeta.

Se la risposta fosse affermativa, la questione conseguente sarebbe da quando far partire questa era, se dalla comparsa dell’homo sapiens coincidente con la sparizione dell’ottanta per cento dei mammiferi, l’inizio della coltivazione dei campi e un cambiamento della chimica dell’aria; oppure se dall’avvento della società industriale con le sue ingenti emissioni in atmosfera o addirittura se dalla seconda guerra mondiale con i test nucleari.

Questo ciclo di lavori prende in considerazione un lasso di tempo di circa 200.000 anni, da quando cioè si datano i primi teschi di Sapiens, e si concentrano su come sia cambiato il clima, la vegetazione e come l’uomo abbia partecipato a questi cambiamenti.

 

Pietro Ruffo
Pietro Ruffo, ph. Luis da Rosario

 

Ogni lavoro quindi è specifico su come si sia evoluto il paesaggio di una determinata area del pianeta, può essere uno stato come il Texas o una città come Roma, e viene definito in primis dalla mappa geografica del luogo (topos caro anche alle produzioni precedenti dell’artista) sulla quale si affastellano immagini che si riferiscono alla sua evoluzione climatologica, morfologica e culturale. Può così capitare che dove ora sorgono città e Stati, prima ci fosse il mare, e quindi le immagini che si alternano sulla superficie illustrano teschi, pesci, resti di mammiferi estinti e tutto ciò che in quella determinata zona si è succeduto nell’arco di tempo considerato.

 

“Pietro Ruffo insiste più volte sulla parola “disegno”, che dai suoi studi alla facoltà di Architettura alla pratica artistica odierna ha costituito l’architrave del proprio lavoro”.

 

Lo studio che Pietro Ruffo fa non lascia nulla alla fantasia ma si basa rigorosamente sugli esiti degli scavi effettuati ora con nuove tecnologie della Paleoclimatologia che hanno permesso di repertare con precisione la flora e la fauna susseguitesi in quel determinato luogo, dando vita a un lavoro di ricerca per ciascuna opera incredibilmente accurato e circostanziato. Alla fine lo si potrebbe definire un lavoro sul paesaggio, interpretato non come un’istantanea del momento in cui viviamo, ma in una chiave temporale dinamica inglobando la storia plurimillenaria di quel luogo, evidenziandone le stratificazioni, non solo quelle naturalistiche ma anche quelle architettoniche, avvenute per mano dell’uomo.

 

Pietro Ruffo
Pietro Ruffo, Fuori, 2022, inchiostro su voile / ink on veil, Credit Cariverona

 

 

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