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a cura di Paolo Sciortino, Alessandro Riva, Giuditta Elettra Nidiaci (GEL)

Il sistema è morto? E se sopravviverà, cosa cambierà dopo la pandemia? Rispondono quaranta tra artisti, critici e galleristi

 

Tra apocalittici e integrati, positivisti e negazionisti, nostalgici e futuristi, c’è chi vede nero e chi è ottimista a oltranza, chi spera in un ritorno alla normalità e chi intravede un’opportunità per migliorare o per voltare pagina. Il parterre del sistema dell’arte italiano prende la parola sugli effetti del fattore Covid sui meccanismi vitali dell’economia dell’arte. Artisti, critici, galleristi e operatori culturali del sistema sono chiamati ad articolare nuove visioni, inedite strategie, originali punti di vista. La realtà ha cambiato direzione, le conclusioni sono ancora tutte da tirare. Ecco le prime rotte di una mappa nuova, ancora tutta da scrivere.

 

L’immagine è stata realizzata appositamente per la nostra inchiesta da Riccardo Pirrone, CEO e Creativo di KiRweb e Social Media Manager della Taffo Funeral Services. Courtesy Riccardo Pirrone.

 

CREDO NELLA “VARIANTE RACKETE” – Vittorio Sgarbi, critico

L’arte e il suo sistema non muoiono mai. Casomai si possono trasformare, non credo che Il Covid possa fare un danno grave. C’è sempre uno che dipinge, uno che vende e uno che compra, ci saranno sempre personalità imprenditoriali che fanno passare quello che una convenzione critica ha stabilito debba andare. Se ci sei dentro ci sei dentro. Poi, non si capisce la ragione perché uno sia fuori e uno dentro. Il sistema è fatto da circa 50 mila persone, il resto è massa. Il sistema di mercato è una specie di lotteria. Noi siamo interessati a una idea romantica dell’arte. L’artista è un profugo in attesa di una Ong che lo raccolga. Parti da una terra di disperanza e se arriva Carola che ti raccoglie bene, altrimenti muori. Io credo nella “variante Rackete”, del resto il nostro compito, fin da quando siamo partiti, è sempre stato quello di una Ong per profughi dell’arte. Certo, collezionisti meno legati alla moda aiuterebbero. Anche se non riesco a vedere un passaggio storico. Può darsi che la perdita di riferimenti legati ad alcune personalità garantisca maggiore capillarità, maggiori opportunità per artisti di valore.

 

Meme arte covid 1
Meme di Giulio Alvigini, Make Italian Art Great Again. Courtesy Giulio Alvigini.

 

IL SISTEMA NON MUORE. NON ESISTE – Rossana Ciocca, gallerista

Il concetto intrinseco di fare sistema è quello di mettere tutte le risorse in un’unica direzione per arrivare ad ottenere dei risultati,  cosa che negli ultimi trent’anni certamente non è stata fatta. A partire dalle Istituzioni, fino ai più piccoli operatori di settore, al sistema fieristico e a quello museale, ogni energia lavorativa  ed economica ha sempre preso una direzione esterofila, senza mai veramente costruire le fondamenta o le basi di un vero sistema. Per cui la mia risposta è semplice: se non esisteva un vero sistema dell’arte, non può evidentemente essere morto. Mi auguro ovviamente che finalmente si possa fare sistema, sono spesso le grandi crisi economiche e sociali che permettono alla società di cambiare spostandosi da situazioni stagnanti e barocche.

 

Meme di Giulio Alvigini, Make Italian Art Great Again. Courtesy Giulio Alvigini.

 

SIAMO IN AGONIA, NON PERDIAMOCI – Vanni Cuoghi, artista

Il sistema dell’arte italiano, così come l’abbiamo conosciuto, gode di pessima salute ed è agonizzante, per l’incapacità proprio di… fare sistema. Una spinta in senso inverso viene da iniziative come quella di Italics Art and Landscape, consorzio di galleristi che cercano di fare quadrato con lo scopo di valorizzare il patrimonio italiano antico e contemporaneo. Il problema, comunque, risiede nel mutato senso di “valore” che viene attribuito all’arte e che, oramai, ha una valenza solo di ordine economico. Le piattaforme digitali sono diventate uno strumento molto importante a cui far riferimento e lo stesso vale per i social. La tecnologia ci è venuta in soccorso per colmare le distanze imposte dallo stato attuale delle cose, ma non dobbiamo cadere nell’inganno che essa possa sostituire completamente le relazioni vis à vis.

 

SPERO IN UN NUOVO ILLUMINISMO DEI MUSEI – James M. Bradburne, Direttore Brera

Purtroppo non mi sento in grado di rispondere sulla morte del sistema dell’arte. Per il dopo-pandemia, posso soltanto augurarmi di non tornare all’ossessione dei numeri e del turismo, ma di tornare alla missione illuminista del museo come strumento di educazione popolare.

 

SOLO CHI POTRÀ, RIUSCIRÀ A SOPRAVVIVERE – Luca Beatrice, critico 

Periodicamente voci autorevoli preconizzano, con dati certi, la morte del romanzo, della pittura, della politica, del cinema. Tutto si trasforma invece, e toccherà anche al sistema dell’arte, un termine che mi fa venire l’orticaria perché da decenni ha sostituito quello più onesto di “arte”. Chissà però che non si torni a parlare di arte e cultura, al posto di ipotizzare soluzioni su come andrà il mercato, che spazio avranno le gallerie, cosa comprare, se hanno senso le centinaia di fiere sparse in Europa. Auspico nuovi linguaggi, nuove forme, visioni inedite. In quanto al sistema, sopravvivrà chi riuscirà e chi potrà.

 

IL SISTEMA REGGERA’, MA L’ARTE SARA’ “FLAT” – Bros, artista

A essere a repentaglio è l’opera d’arte. Il sistema, per assurdo, reggerà ugualmente attraverso proposte alternative di fruizione e di vendita. Lo testimoniano, anche nella stagione di una pandemia mondiale, le aste svolte in rete (di egual successo rispetto a quelle fisiche) o le fiere virtuali. Si rischia però di banalizzare tutto l’apparato artistico,
facendolo scadere in una serie di immagini “flat”. L’opera d’arte è un dono, lontana dallo scambio economico, fatto di una richiesta implicita e soddisfatta.
È un’espressione, visiva e non, che si basa sulla libertà intenzionale dell’artista: egli ha il dovere etico di restare nell’occasionale, nell’incoscienza e nel disordine, così da trasformare un gesto spassionato nel miracolo del bello.

 

GLI ARTISTI, LA PAURA E LE REGOLE – Francesco Cascino, Art Consultant

Il sistema dell’arte è morto? Non credo, certo da moltissimo tempo alcuni artisti e alcuni operatori, io tra questi, sosteniamo con pensieri e azioni che l’arte, oltre che vivere e prosperare nel sistema, cosa che sta facendo anche in tempi di pandemia, per fortuna, debba tornare per strada, tra le persone.
Come dispositivo identitario di aggregazione, accoglienza, incontro e convivenza, come è stato per le città d’arte per millenni. Si può intravedere un diverso modo di relazionarsi alla paura e alle regole, e gli artisti possono aiutare a superare le narrazioni dei governi, totalmente impreparati ad affrontare le sfide culturali che una pandemia impone. Inoltre si può chiedere all’arte di diffondere informazioni corrette e intellegibili, che portino l’intelligenza collettiva a una sempre maggiore autonomia dal sistema prevalente.

 

EVOLVIAMOCI E TORNIAMO UMANI – Alberto Di Fabio, artista

L’arte e il suo sistema sono in continua evoluzione, come un’onda magnetica viaggia e viene recepita da noi, a diverse frequenze. Negli ultimi mesi il computer e la rete internet sono diventati il palcoscenico e il protagonista del mondo dell’arte, forse la vera opera è proprio il mondo del web con le sue performance e noi tutti inghiottiti nelle sue capillari e neuronali emozioni.
Questo periodo è molto difficile. Siamo tutti un po’ più soli! Spero che dopo la pandemia si ritorni al sistema di prima. Evolviamoci a tornare umani. Personalmente, in questa solitudine relativa, cerco di concentrarmi, lavoro attraverso la meditazione e preghiere di pitture universali, che trovano nel gesto creativo catarsi e risoluzione. Cerco di convertire la stasi, l’inquietudine e la tensione in una fase propedeutica di sublimazione con l’essenza dell’anima, necessaria al nostro humus artistico. Nonostante tutto l’arte, come l’universo, non possono e non devono avere confini.

 

 

GALLERIE E MUSEI, NON SOLO SUPERMARKET – Barbara Paci, gallerista

Ho sentito dire più volte in questi lunghi mesi di “reclusione forzata” e di contrazione di molti mercati, che ormai sarebbe stato necessario ripensare anche il mercato dell’arte.
Agli occhi di una rivoluzione informatica necessaria questo avrebbe dovuto tramutarsi radicalmente in piattaforme
digitali, e-commerce, fiere virtuali e molto altro tutto rigorosamente online. Ma esempi eclatanti, come la rinuncia
dell’importante fiera di Miami di apparire come fiera digitale la dice lunga.
Credo che queste osservazioni riconfermino il ruolo fondamentale di noi galleristi come punti di riferimento in carne e ossa per affidabilità, riflessione e impegno verso il mondo dell’arte e del suo mercato, soprattutto da parte di collezionisti seri e attenti.

 

IL LOCKDOWN NATURALE DEGLI ARTISTI – Giovanni Albanese, artista

Il sistema dell’arte è dato per morto ogni due anni da almeno 40 anni, ma va differenziato certamente il sistema dell’arte dalla produzione dell’arte. Il primo lo danno per morto ad anni alterni anche se poi le aste rimangono l’ago della bilancia delle quotazioni nostrane ed internazionali. La produzione artistica invece non è mai morta. Sono invece morti molti artisti.
Morti per droga, per solitudine, per rabbia. Se è vero che gli artisti sono i sacerdoti dell’immagine, i loro studi sono le cattedrali.
Siamo in guerra! Il virus ha spappolato il 2020, anno di isolamento drammatico per tutti. Ma siamo sicuri che sia così proprio per tutti? Mi consta che molti artisti, compreso il sottoscritto, vivano in lockdown naturale da almeno uno o due decenni. Il mercato è fermo? Forse sì. Quindi il popolo dell’arte non è più centrale come prima? Chissà… Io non l’ho mai creduto.
Ma c’è anche un altro potente virus che spesso ci coglie impreparati. “È lo spettatore che si espone all’opera d’arte”, come diceva Gino De Dominicis.

 

 

L’ERA DEL MUSEO “METABOLICO” – Gianluca Marziani, critico

Il sistema dell’arte non è morto e ci regalerà sorprese importanti. La pandemia ha solo accelerato un cambiamento che era già in atto da un decennio: la precedente creazione di un continuo presente “iper” (rapido, finanziario, globale, ipertrofico) si scontra oggi con la forma di un presente “localizzato” (maggior attenzione alle realtà contestuali), “ergonomico” (una tecnologia digitale che si innesta nel virtuosismo dell’umanesimo), “elastico” (maggior rispetto per il passato e una fiducia più olistica verso il nuovo futuro), “inclusivo” (il vecchio sistema creava
cloud chiusi) e “partecipativo” (finisce l’era del solipsismo narcisistico). La filiera muta, le pedine si trasformano, i rapporti tra le parti cambiano regole d’ingaggio: saranno anni in cui tutto verrà ripensato, a partire dal museo che sarà un organismo più ricettivo e metabolico, meno dogmatico e più orchestrale, un luogo in cui l’arte, anche quella più complessa, parlerà per avvicinare.

 

DOPO IL COVID L’ARTE SARÀ “LOCALE” – Gianpaolo Abbondio, gallerista

Gli eventi di questo infausto anno hanno inferto un colpo durissimo al mondo dell’arte tutto: fiere e mostre azzerate, inevitabilmente le uniche a prosperare sono state le case d’asta, le quali trattando opere per lo più note, hanno sofferto meno la mancanza di incontro fisico. Prevedo per il dopo Covid-19 un periodo in cui ci sarà un fortissimo desiderio di muoversi e vedere di persona, di novità, di vita, ritengo comunque che un po’ di difficoltà persisteranno, legate soprattutto ai viaggi, per cui sarà meno internazionale e più locale.

 

LA PANDEMIA UMANIZZERA’ L’ARTE – Susanna Orlando, gallerista

Il sistema dell’arte non è morto e non può morire finché ci sarà vita sulla terra. È un insieme di meccanismi necessari finché ci saranno vita e arte. Ma andrebbe certamente rivisto. Come? Umanizzandolo.
Il sistema non dovrebbe permettere di spettacolarizzare l’arte perché arte è già spettacolo di per sé ed è capace di attrarre le persone senza nessun artifizio. Facciamo sentire il profumo dell’arte e non il profumo dei soldi. Accertiamoci che il collezionista senta una scossa quando trova la “sua” scultura, guardiamola insieme a lui e vendiamola al giusto prezzo in un sistema corretto. L’idea che l’arte sia non più per pochi ma per pochissimi non aiuta. Forse la pandemia può aiutare a recuperare questo spirito dell’arte.

 

 

SONO OTTIMISTA, CHI LA DURA LA VINCE – Giorgio Gaburro, gallerista

Una recente inchiesta sulle gallerie italiane ha segnalato una situazione allarmante, si parla del 75 % di fatturato in meno nel 2020 e del 43 % delle realtà a rischio chiusura. Eppure, io sono e resto ottimista, e penso che, alla fine di questa pandemia, chi avrà avuto la forza di resistere ne uscirà vincente. Certo, per sopravvivere si dovrà rilanciare, essere coerenti e coraggiosi, e non limitarsi a giocare di rimessa: si dovrà tener duro, alzare il livello qualitativo delle proposte, non limitarsi a fare mercato spicciolo, collaborare con altre realtà come i musei, diversificare, mantenere la barra dritta senza farsi spaventare. Insomma investire sul futuro. Quando tutto questo sarà finito, chi avrà saputo resistere sarà più forte di prima, e si conoscerà un momento di nuova vitalità e di nuovo entusiasmo.

 

NON C’È FUTURO SE NON CI SI UNISCE – Atomo, artista

Il sistema non cambia, non cambia mai nessun sistema. Secoli di rivolte, sedizioni, rivoluzioni presunte non hanno cambiato il sistema, che è uno solo e il Sistema dell’arte ne fa parte. È dentro di esso. E il sistema è sempre più forte, sgominando antagonismi, tentativi di costruzione di sistemi “altri”. Il Covid, in ciò, al contrario della nota poesia di Totò, non ha livellato nulla, anzi ha esasperato le distanze sociali tra chi è dentro e chi pelucca le briciole. L’arte è proprietà intellettuale e materiale di pochi eletti, che hanno creato il sistema e lo gestiscono. Gli artisti producono emozioni e sensazioni, non merce, come vuole il sistema. Che fare? Difficile in tempi di egotismo come questi, ma gli artisti possono fare cartello, unirsi in correnti, creare nuovi movimenti, ma la spinta alla competizione sfrenata che ha imposto il sistema ha seminato solitudine. Gli artisti sono monadi disperate. In conclusione, riprendendo l’urlo disperato della generazione punk: no future, come diceva Sid Vicious.

 

Francesco De Molfetta, Mosche sulla merda, 2006, tecnica mista.

 

L’ARTE NON MUORE, SI RIGENERA – Giuseppe Veneziano, artista

Il mondo dell’arte morirà con la vita stessa. Si nasce con la voglia di creare qualcosa, è una necessità esistenziale. Per alcuni diventa un lavoro, per altri un hobby, per altri è solo un mondo strano frequentato da gente strana. Ma è impossibile farne a meno. Dell’arte ho una visione inclusiva e non esclusiva. Nutrendosi e contaminandosi con altri mondi, è impossibile che muoia. Non credo che esistano strategie o formule matematiche che possano rigenerarlo. L’arte utilizza un linguaggio universale, parla con tutti noi, e si rigenera automaticamente. Necessita, semplicemente, della nostra attenzione per continuare a vivere.

 

OCCASIONE PER ABBATTERE IL SISTEMA – Laboratorio Saccardi, artisti

Il Covid può essere un’occasione per ripartire abbattendo ogni sistema educativo sull’arte, perché l’arte si fa, non si insegna, la si vive semplicemente se fa parte della tua vita, è soffrire, cantare e portare la croce, e non serve a raccontare se sei frocio o etero o leccare il culo, e che presidente ti piace, cioè anche…
Ma è davvero una cosa omnicomprensiva ed umana, se il mondo sarà ancora umano avremo arte in futuro, se sarà transumano o artificiale, a dire il vero non lo so. De Dominicis diceva che se ci saranno le astronavi, in futuro, noi metteremo i quadri anche lì, e speriamo di levarci la zavorra dei curatori, che si curassero loro.

 

L’ARTE È VIVA E VITALE – Aldo Damioli, artista

Perché muoia il sistema deve morire l’arte. Argan aveva parlato della morte dell’arte, forse lui intendeva l’arte in senso positivista, direi che invece è viva e vitale. L’artista, nonostante qualcuno pensi il contrario, rimane al centro del sistema: è lui che dà luce ai pianeti, ovvero i critici, galleristi e curatori, e finché qualcuno vorrà fare arte il sistema vivrà. Cambiamenti? Mi raccontava un amico mobiliere che nei periodi floridi la gente vuole i divani strani dai colori pazzi, quando invece c’è la crisi, la gente trona alle linee classiche. Forse anche nell’arte accadrà
questo: meno idee bislacche e più arte in senso classico.

 

 

A CAMBIARCI NON SARÀ UN VIRUS – Max Papeschi, artista

Non credo proprio che il sistema dell’arte sia morto, penso piuttosto che stiano morendo una serie di players che non possono o non vogliono adattarsi ai cambiamenti, ma questo è sempre successo, anche quando nel cinema si è passati dal muto al sonoro un sacco di persone hanno cambiato lavoro, non per questo si è smesso di fare film, anzi. Non penso cambierà nulla sul lungo termine che non sarebbe cambiato in ogni caso per altri motivi.
Certamente ci saranno meno soldi da investire per qualche anno e molte gallerie chiuderanno, ma a cambiare il mondo dell’arte non sarà certo un cazzo di virus, almeno non questo.

 

SERVE UNA NUOVA ARTE DI RICERCA – Filippo Riniolo, artista

Se per sistema dell’arte intendiamo la rete di istituzioni e gallerie, curatori e artisti, fiere e aste la risposta è: no.
Il sistema non è morto, ma sta indubbiamente attraversando un momento di difficoltà. Le gallerie e i musei più piccoli, gli artisti non ancora sopra una certa soglia, le fiere più piccole, avranno delle difficoltà. Come cambierà?
Digitalizzazione e chiusura degli spazi e artisti di ricerca. Le grandi fiere hanno fatto la loro edizione digitale, ma nessuno crede che le fiere diventeranno totalmente digitali. Poi c’è il rischio che una generazione di artisti molto giovane venga bruciata. Dei giovani che fanno le stesse cose dei grandi, non sappiamo che farne.
Le fondazioni, le istituzioni, le gallerie se vogliono determinare un futuro di qualità devono immettere denaro
e scommettere, azzardare, rischiare, proprio sull’arte di ricerca.

 

L’ARTE MUTERÀ, COME IL VIRUS – Marco Lodola, artista

L’arte è eterna, il sistema muterà e si adatterà a questa ondata di virus che ha coinvolto tutti i settori, non solo quello artistico.
Perciò lo ritroveremo, spero, migliorato nei suoi meccanismi. Ci sarà poi una selezione naturale di artisti, gallerie, collezionisti mercanti e case d’aste come avviene negli ecosistemi e nella deriva dei continenti. Dopodiché, come i ricorsi storici ci insegnano, arriverà un nuovo rinascimento.

 

IL SISTEMA RISCOPRE LA SUA ESSENZA – Lorenzo Poggiali, gallerista

Credo che, contrariamente ad una sorta di auto-procurata euforia iniziale, per la nuova dimensione on-line cui siamo stati costretti ci si sia resi conto che il sistema è evoluto riscoprendo la propria essenza. Ossia: vedere le opere, toccarle, conoscere i galleristi seri, addentrarsi negli aneddoti il più possibile, allontanarsi dai maitrês à pensée citazionisti e ignari. Questo periodo di pandemia ci ha fatto capire quanto sia necessario approfondire e non accontentarsi. L’evoluzione consisterà nel considerare ancora più centrali gli strumenti virtuali, e soprattutto nel valutare come capitale l’emozione dell’esperienza. Ci sarà un ritorno alla normalità, la cui essenza sarà il godere ancora di più esperienze che prima ritenevamo scontate.

 

L’ARTISTA VUOLE CONTATTI UMANI – Demetrio Paparoni, critico

La comunità artistica e l’oggetto d’arte sono due cose distinte. La prima trova il suo senso nel dialogo, il secondo è autonomo. In alte parole: l’opera ha bisogno di chi la guarda, l’artista e il mondo che gravita attorno all’opera ha bisogno di contatti umani. Non è tanto sulla realizzazione dell’opera intesa come oggetto autonomo che incide
la pandemia, ma sulla possibilità che sia fruita correttamente. Le mostre, le conferenze e i dibattiti on line altro non sono che blandi anticorpi messi in circolo dal sistema dell’arte.
Il mercato degli artisti già noti ha risentito relativamente della pandemia: le gallerie hanno i loro database con schede dettagliate degli interessi dei propri collezionisti e le grandi case d’aste hanno sempre trovato nella rete il miglior strumento di comunicazione. Le case editrici specializzate in arte stanno continuando a lavorare. Si stampano meno cataloghi, ma le monografie si continuano a pubblicare.

 

UN’OPPORTUNITÀ CHE NON SARÀ COLTA – Gianni Maimeri, imprenditore

Certamente manca, e qui forse andrebbe creato, un Sistema dell’arte, un coordinamento e una strategia comune tra diversi ambiti. La pandemia potrebbe determinare l’opportunità per ridisegnare strategie, pratiche e comportamenti, anche se nutro molti dubbi circa la volontà e, ahimè, anche la capacità di tutti i protagonisti di misurarsi su una simile sfida. Prevedo quindi che, terminata la pandemia, senza grandi cambiamenti tutto rimarrà circa come era prima: separazione dei diversi ambiti, mancanza di fondi destinati alla cultura, mancanza di meritocrazia nel settore pubblico, mancanza di facilitazioni nel rapporto tra pubblico e privato, cecità degli operatori di mercato non orientati a iniziative di respiro, ma a curare i propri limitati interessi.

 

sistema dell'arte
Giuseppe Veneziano, Merda d’artista, 2017, acrilico su tela, cm 60×80. Courtesy Giuseppe Veneziano.

 

L’ARTISTA, ELEMOSINIERE DEL SISTEMA- Pino Deodato, artista

I flussi del sistema dell’arte in questo periodo pandemico si sono come interrotti. In particolare si è inceppato il rapporto vitale tra artista, galleria e pubblico. Il più danneggiato penso sia l’artista, che senza mostre e visibilità, soffre in tutti i sensi: da quello economico a quello più intimo, personale. In tutti gli altri ambiti culturali ho visto una mobilitazione importante, in quello delle arti visive ho visto invece più difficoltà a farsi sentire. A questo proposito ho ultimato due lavori che parlano proprio di questo, dell’artista costretto a chiedere l’elemosina per sopravvivere. Il problema si risolverà, spero, solo con la fine della pandemia: perché poche persone, credo, si possono emozionare davanti ad uno schermo, a un telefonino, ora che tutta l’arte visiva si è trasferita in una dimensione virtuale.

 

CESSERÀ LA PARALISI, RIMARREMO PRECARI – Fernando De Filippi, artista

La condizione dell’artista è una specie di malattia melanconica, una distorsione della natura. L’artista lavora all’opera per una necessità primaria, interna. L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a non godere di una legge-quadro sulle arti visive.
In un paese attento alla difesa della produzione teatrale, cinematografica e persino dei circhi equestri l’Italia è sprovvista a tutt’oggi di una legge sul finanziamento della ricerca per le Arti Visive. In tutta Europa esistono forme di finanziamento dell’arte Contemporanea. L’arte italiana è stata salvata dal collezionismo privato, piccolo e grande, spesso addirittura minuscolo. Le ragioni dell’assoluta libertà dell’artista non rispondono quindi a connotazioni romantiche, bensì a problemi socioeconomici. La paralisi inevitabilmente passerà, ma persisterà la precarietà dell’intero settore della ricerca visiva sia per quanto riguarda sia la produzione che la distribuzione e la conservazione.

 

L’ARTE PRESCINDE DAL SISTEMA – Andrea Zucchi, artista

Non riesco a vedere il “sistema” come un blocco unico ma come una rete di aggregati che può mutare nel tempo, alcuni acquisiscono influenza e potere, altri lo perdono e quindi è un pluri-soggetto in continua mutazione. Certo molte modalità di questo sistema, anche sempre più alterato da logiche finanziarie e di facile entertainment, sono divenute sempre più vacue e irritanti.
Un grande packaging con dentro molta merce scadente.
Forse, e direi me lo auguro, la difficoltà e la durezza dei tempi che verranno porteranno artisti e pubblico a ricercare maggiore sobrietà, bellezza, armonia, verità, poesia, profondità, pienezza di contenuto e perfezione di forma. Insomma a ricordarsi che l’arte esiste a prescindere dal suo sistema.

 

L’ARTE: TECNOLOGICA E DECENTRATA – Matteo Basilè, artista

Il Sistema dell’arte che conoscevamo è finito. E questa esperienza è un’opportunità per svilupparne di nuovi e più efficaci.
Le nuove gallerie saranno piattaforme digitali e per vedere le opere si entrerà direttamente negli studi degli artisti. Le grandi mostre si realizzeranno in temporary museum, in luoghi meravigliosi ai più sconosciuti. Il pubblico finalmente dedicherà dei giorni interi per vivere l’arte. La sacralità, la ritualità del creare arte, sarà ricambiata dal pubblico con un approccio non più da fast food. La provincia, i piccoli borghi, gli spazi pubblici non usati, per non parlare degli studi degli artisti, connessi tra loro attraverso una fitta programmazione e una connessione ‘veloce’, diverranno ufficialmente i nuovi palcoscenici per una nuova economia dell’arte. Il compito di noi artisti sarà quello di rielaborare queste nuove coordinate per scoprire una nuova mappa umana e terrestre che possa permetterci di vivere in questo secolo, bruscamente interrotto dalla pandemia.

 

AUSPICO IL RITORNO ALL’OPERA – Federico Rui, gallerista

Il sistema dell’arte è più che mai vivo, ma nel senso distorto del termine. Oggi ci troviamo di fronte a un sistema drogato, fatto di pochi adepti che pretendono il controllo della produzione e della vendita. Il rischio è quello di non avere più interesse nei confronti dei valori artistici di un’opera, che rimangono subordinati agli interessi economici e di moda che la circondano. In questo momento, avendo capito che il mercato dell’arte è marginale, soprattutto quello italiano non supportato da politiche economiche e museali adeguati, servirebbe un sistema dell’arte “sano”, una collaborazione a trecentosessanta gradi tra gli operatori di settore. Qualcuno non ce la farà, qualcuno si rafforzerà, come è logico in tutte le crisi. Quello che mi auguro, però, è un ritorno a un rapporto umano, ad avere tempo di approfondire, di guardare, di osservare, di recuperare un proprio gusto che non sia dettato dalla moda (o dal consulente) del momento.

 

MAI PIÙ CENERENTOLE – Chiara Dynys, artista

Quando in Italia l’arte ha potuto iscriversi e strutturarsi in un vero sistema? Certamente ci sono stati dei momenti “felici” in cui speravamo, soprattutto a Milano, di poter assistere alla crescita di una piccola New York. Noi artisti degli anni Novanta abbiamo molto sperato in questa ipotesi, per poi accorgerci che il lavoro si sarebbe trasformato in un concetto più individuale e meno corale. Come dare oggi nuova vita a un sistema? Io credo che si debba partire dall’energia dei singoli, sia che fondino o rifondino riviste come state facendo voi o seguano progetti pubblici
e privati, collaborando con gli artisti.
Credo che questo sia fondamentale per restituire energia a un sistema che ne ha estremamente bisogno. E si deve fare relazionandosi ai sistemi più evoluti, come quello tedesco, inglese e statunitense, che, al contrario di noi, godono di molti aiuti e finanziamenti pubblici. L’arte contemporanea italiana dovrebbe smettere di essere la cenerentola degli investimenti governativi e iniziare ad essere considerata un propellente per la nazione.

 

FORSE RIVEDREMO ARTE SENSATA – Angelo Crespi, giornalista

Il sistema è agonizzante. Per i musei sono state pensate politiche di sostegno pubbliche, mentre per le gallerie private e per gli artisti non è stato fatto nulla. Questo ovviamente mette a repentaglio la tenuta del sistema, considerando che uno dei motori, le fiere, è stato azzerato con il relativo fatturato, circa 16 miliardi di dollari all’anno. Innanzitutto, credo che per un po’ di tempo non vedremo più la transumanza dei ricchi collezionisti da una fiera internazionale all’altra per comprare opere incomprensibili a prezzi stellari e dimostrare il proprio status, tra un aperitivo e una cena, weekendino obbligato a Londra, Parigi, Miami, Basilea, Torino. E forse è un bene. Magari torneremo a preferire l’arte comprensibile e a volere cose belle che diano senso al nostro esistere in tempi bui. Chissà?

 

VERSO UN MERCATO MENO ELITARIO – Giuseppe Lezzi, gallerista

Inutile negarlo, il mondo dell’arte sta affrontando gravose e crescenti pressioni. La crisi economica portata dal Covid-19 sta continuando a seminare incertezza e a far vacillare, o soccombere le realtà meno capaci di implementare nuovi sistemi e strategie. Detto questo, ci tengo a portare l’attenzione verso la straordinaria resilienza che l’intero ecosistema culturale e artistico ha sempre dimostrato. C’è da tenere duro. È proprio dalla cultura che bisogna ripartire. Per quanto in tempi di crisi tendiamo a risparmiare, spendiamo invece di più nelle cose che hanno davvero un valore per noi e l’arte è la prima di queste. Gli artisti e le opere sopravvalutati da un mercato in parte viziato saranno infatti riconosciuti come tali e i loro prezzi si adegueranno a livelli più congrui e reali, in un mercato più inclusivo e meno elitario da tutti i punti di vista.

 

VERSO UN COLLEZIONISMO GIOVANE – Maurizio Galimberti, artista

Il problema è comunicare l’arte contemporanea e poterla fruire correttamente. Si è spostato tutto sul digital e questo ha penalizzato maggiormente i galleristi: alcuni artisti usano Instagram come una vetrina e vengono contattati dai clienti in modo diretto, senza l’intermediazione del gallerista; trovo invece che sia importante che i galleristi sopravvivano perché sono quelli che sostengono il sistema investendo in pubblicazioni e mostre.
Credo che i galleristi dovrebbero cercare d’incentivare i collezionisti giovani, magari permettendo loro di dilazionare il pagamento delle opere: da artista mi gratifica molto sapere che una coppia di ragazzi giovani decida di mettersi in casa un mio lavoro.

 

IL DIGITALE FUNZIONA SE DIVENTA ARTE – Ozmo, artista

Se per sistema intendiamo un’interazione di elementi e entità che in ogni stadio accompagnano l’artista dall’accademia alla morte, allora credo che il sistema dell’arte in Italia non sia mai stato bene. Sono sempre esistite grandi lacune in questo percorso, principalmente per un problema di potere economico che a cascata forma e fa funzionare tutti questi singoli elementi. Dopo l’onda lunga della crisi mi pare che la pandemia, in questo contesto come in qualsiasi altro, abbia privilegiato le interazioni digitali. Personalmente trovo molto frustrante fruire un’opera riadattata in un contesto multimediale che non sia stato appositamente pensato in origine dall’artista.
Non potremo fruire digitalmente di esposizioni e goderne come per un’opera materiale. Non credo di poter fare previsioni, non sapendo ancora quanto durerà l’emergenza.

 

E DOPO, SOLO STORIE BELLE – Deodato Salafia, gallerista

Nel settore arte andrebbe fatto un distinguo: o si parla di soldi (che non implica l’assenza di cultura) o si parla di analisi culturale (intesa come fenomeno indipendente e trasversale a quello economico). Se invece parliamo del sistema dell’arte come filiera di mercato e come filiera di persone che si impegnano a valorizzare la produzione degli artisti e a creare economia grazie a questa loro capacità, allora il sistema è in crescita esponenziale.
I curatori fino ad oggi sono stati una figura bistrattata ma il futuro per chi sa davvero fare questo mestiere sarà estremamente roseo, perché oggi le persone non acquistano beni, ma piuttosto acquistano storie. La pandemia  fungerà da acceleratore ad un processo che è iniziato lentamente nel 2001 ed in modo più accelerato dal 2011, la spingerà ad una digitalizzazione importante.
I galleristi potenti e le case d’asta avranno bisogno di curatori capaci, perché per vendere le opere sarà necessario
raccontare i contenuti più che uscire a cena o offrire le inutili e piuttosto patetiche VIP card.

 

AVREMO UN SISTEMA PIÙ INTELLIGENTE – Antonia Jannone, gallerista

Il sistema è fermo, ma non morto. È talmente in evoluzione e in cambiamento che è difficile fare previsioni, non sappiamo neanche cosa faremo domani. Certo cambieranno molte cose.
Quali? Sicuramente l’on line avrà un forte sviluppo, già ora i siti delle gallerie vengono visitati molto più di prima. Avremo meno grandi eventi, mostre più lunghe, quindi anche necessariamente più qualità: il sistema sarà più selettivo, più intelligente, più culturale, più pulito.

 

L’ARTE TORNI ALLE ORIGINI – Yuval Avital, artista

Il termine Sistema dell’arte implica oggi un equilibrio di poteri, fortemente condizionati dalla promozione e dal mercato. Il Covid ha bloccato il Sistema dell’arte che si basava su accadimenti quali fiere, aste, mostre e esposizioni, forzandolo a trasformarsi in eventi online abbastanza tristi e non molto amati. Si sblocca così una verità sommersa: se l’arte si appoggia principalmente su valori economici e di apparenza allora è estremamente vulnerabile.
Deve trovare un significato e un ruolo più profondo e intrinseco nella società. Una sfida che ho cercato di affrontare
con il mio progetto “Human Signs”, mosaico di testimonianze d’arte raccolte in un archivio digitale vivente (https://www.human-signs.com).

 

NON PERDIAMO CONTATTO CON ARTISTI – Luca Tommasi, gallerista

Da quando la pandemia è entrata nelle nostre vite il sistema dell’arte è entrato in una sorta di letargia da cui non sembra essere ancora uscito. Ciò è ampiamente giustificato dal fatto che l’arte, quella vissuta e respirata nelle gallerie di primo mercato, non può non nutrirsi del contatto con gli artisti e della frequentazione fisica delle opere da parte dei collezionisti. Non mi sono mai piaciute le stanze virtuali per la loro freddezza e bidimensionalità.
Penso che la ripresa sarà vivace perché la fame dei collezionisti dovrà essere placata e questa forzata astinenza non potrà che corroborarla ulteriormente.

 

OCCORRONO LEGAMI TRA I SAPERI – Annalisa Zanni, direttrice Poldi Pezzoli

Il sistema dell’arte non è morto e mai morirà. La sostenibilità del nostro pianeta è fondamentale e deve essere garantita: l’arte è in grado di esserne garante e motore progettuale, e il sistema dell’arte si sta già misurando con il digitale, ora anche quale un mezzo di incontro con l’opera d’arte, di promozione e valorizzazione oltre che, come già avviene nell’arte contemporanea, spesso quale soggetto protagonista delle opere. Ma la vera innovazione dovrà essere capace di rendere insostituibile la fisicità, il contatto diretto, l’esperienza emotiva e personale con l’opera, e dovrà esaltarne l’unicità (ove vi sia) e la capacità progettuale che il prodotto artistico è in grado maieuticamente di far nascere nelle nostre menti. Sistemi, reti, piattaforme non dovranno essere business ma far capire il legame  trasversale che unisce arte, scienza, letteratura, filosofia. Ogni specialista dovrà essere capace e sufficientemente curioso per accogliere altri punti di vista ben documentati, condividendo il proprio.
La circolarità dei saperi messi in dialogo penso possa essere la strada per procedere insieme.

 

 

 

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