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Marzia Spatafora

Una saga di famiglia alle foci del Po.
Elisabetta racconta storie di vita e arte, dal libro del padre al film di Pupi Avati

 

Elisabetta Sgarbi è editrice di successo della Nave di Teseo, Presidente della Baldini-Castoldi, regista cinematografica, direttrice artistica della Rassegna Culturale La Milanesiana, Direttore Responsabile della rivista “Linus”, creatrice di Extraliscio presentato alla 77. Biennale d’Arte Cinematografica di Venezia, ideatrice della Betty Wrong Edizioni Musicali che ha presentato al Festival di Sanremo il brano Bianca Luce Nera. E, dulcis in fundo, da quest’anno è anche Presidente dell’Ente dei Sacri Monti.

Una donna piena di energia e dai mille volti, che ama affrontare esperienze molteplici e differenti nella loro identità andando in profondità per capire l’essenza delle cose, impegnandosi fino allo stremo per credere di essere vivi. Un personaggio quindi, come il celebre fratello Vittorio. In famiglia Sgarbi non ci si accontenta, si vive sopra le righe!

Proprio questo aspetto familiare mi incuriosisce: la mamma Rina, vivace e autorevole, l’abbiamo vista spesso sui giornali e in Tv vicino a Vittorio. Il papà, invece, più riservato, è stato un farmacista e anche uno scrittore che fino all’ultimo ha voluto raccontare il suo grande amore per la moglie. Di fronte a un curriculum così denso e a una personalità tanto effervescente mi chiedo quanto per Elisabetta la famiglia sia stata determinante. Lo spunto per parlare di questo ce lo dà l’emozionante film di Pupi Avati Lei mi parla ancora, tratto dal romanzo scritto da Giuseppe Sgarbi edito da Skyra.

 

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Elisabetta Sgarbi

 

Elisabetta, quale peso ha avuto la sua famiglia nella sua formazione culturale?
Fondamentale. Mio padre era un grande lettore. Mia madre non ammetteva si parlasse il dialetto, curava la nostra educazione in modo molto rigoroso.

Si è laureata in Farmacia ma voleva studiare Lettere, è stato un volere paterno o materno?
Di entrambi. Ero la secondogenita in una famiglia di farmacisti. Era l’unica possibilità per non disperdere la titolarità della farmacia che, peraltro, è dentro la nostra casa.

Che tipo di infanzia avete avuto lei e suo fratello? Avevate avuto molta attenzione dai genitori? Giocavate spesso insieme? Andavate d’accordo?
Un’educazione molto rigorosa fino a quando hanno potuto. Poi ci hanno lasciato liberi di sbagliare. Mio fratello e mia mamma, tuttavia, sono stati una coppia professionale straordinaria: la Rina ha fatto per e con mio fratello cose pazzesche.
Giocavamo agli indiani e mio fratello faceva il capo indiano ed io l’indiano semplice. Dinamiche normali.

Mi racconta un ricordo familiare speciale?
La domenica mattina quando si doveva andare a trovare mio fratello nel Collegio di Este. Tutte le domeniche. Io stavo sui sedili posteriori della macchina dei miei genitori e fantasticavo.

 

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Chiara Caselli in una scena del film Lei mi parla ancora, in cui interpreta il ruolo di Elisabetta Sgarbi.

 

Ho sentito che lei assomiglia più a suo padre, che aveva un carattere mite ma autorevole, invece Vittorio avrebbe ereditato l’irruenza materna. E’ così?
Non so. Ho forse un po’ della capacità intuitiva e rabdomantica di mia madre e la sua concretezza. Mio padre era più “aereo”, un po’ come Vittorio. Col tempo mi sembra gli assomigli sempre di più.

Come mai ha spronato suo padre a scrivere un romanzo solamente così tardi, all’età di 93 anni? È un’esigenza che ha sentito dopo la scomparsa di sua madre?
Mio padre ha scritto il primo libro nel 2011, il secondo nel 2013 quando mia madre era con lui. L’ho spinto a scrivere perché aveva racconti straordinari che poteva e doveva condividere con gli altri. E anche perché stava attraversando un momento difficile. La scrittura gli ha dato nuovi stimoli.

Forse con il suo fiuto di editrice sospettava che suo padre fosse uno scrittore di talento e che potesse avere successo?
Ne ero certa. Per questo non l’ho pubblicato io. Ho voluto per lui una trafila simile a quella di un qualsiasi scrittore: trovare un agente, poi un editore, fare l’editing, correggere le bozze e promuovere i libri. Con La Nave di Teseo ho pubblicato soltanto la sua opera omnia con alcuni inediti.

Nel film l’interpretazione di Renato Pozzetto è magistrale, lei pensa che la personalità di suo padre sia aderente al personaggio del film? Ha veramente rivisto suo padre in Pozzetto?
Ci sono degli istanti di coincidenza impressionanti. Delle sospensioni, delle pause, dei tempi. Bravissimo Renato.

Nel film oltre “la Rina” la protagonista è la casa. Cosa ha significato per lei vivere la sua infanzia e l’adolescenza in questa casa museale?
Non era un museo. Era una casa di campagna. Ha iniziato ad essere una quadreria solo negli anni Ottanta e Novanta. Dove ora ci sono i quadri e i libri, c’era la sala dei giochi con un tavolo da ping pong. Da questo punto di vista la costruzione della collezione da parte di mio fratello è ancora più miracolosa.

Come e a chi è nata questa passione per le opere d’arte?
È nata da Vittorio senza dubbio. Anche se mia madre aveva cominciato a comprare quadri negli anni Sessanta di artisti contemporanei. Ma è nata da mio fratello, senza dubbio, con il conforto di nostro zio Bruno Cavallini, grande umanista.

Quanto tempo c’è voluto per raccogliere una collezione così importante e imponente?
Poco più di quarant’anni.

Il quadro che più vi ha entusiasmato è stato veramente il Guercino, come nel film, o ce ne sono stati altri?
Un busto in terracotta: il San Domenico di Nicolò dell’Arca, 1474 circa. Una delle opere più importanti della collezione, ora in mostra al Louvre.

Dopo il primo libro che ha scritto suo padre Lungo l’Argine del Tempo, lei non voleva che continuasse a scrivere di avvenimenti più recenti. Perché? Cosa invece lo ha fatto poi continuare?
Poi è stato mio padre a volere continuare. Era uno scrittore, decideva lui.

Continua ancora a frequentare la casa dei suoi genitori?
Sempre. La curo e in tutto questo anno ci ho vissuto.

La casa è talmente affascinante che meriterebbe di diventare un museo. È un pensiero che avete valutato?
È un progetto. Ma non vedo intorno a me che questo accada. Comunque la casa è nella Fondazione Elisabetta Sgarbi, è vincolata, come è vincolata la casa che fu di mia madre, a Ferrara, dove visse Ariosto; come vincolata è l’intera collezione di opere. In futuro penso che questa sia la strada.

La vostra è una famiglia particolare dove il successo è di casa per tutti. Quale è il vostro segreto?
Non pensare mai al successo, ma lavorare e seguire sempre le passioni.

 

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