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Alessandra Redaelli

Lo avevano scritto chiaro e tondo nel loro Manifesto, del resto, che il Surrealismo avrebbe espresso “il funzionamento reale del pensiero, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale”. E va detto che quando poi si è trattato di applicare questa regola alla vita, ce l’hanno messa tutta.

Innanzitutto, che cosa sarà mai questa panzana borghese della fedeltà e del matrimonio? Sposiamoci pure, se mamma e papà ci tengono tanto, ma poi divorziamo, trasgrediamo allegramente, facciamo piedino alla moglie del nostro migliore amico proprio mentre stiamo decidendo con lui come rivoluzionare l’arte.

Succede proprio così a casa Éluard, quando Paul e Gala – per il momento ancora una coppia quasi normale – cominciano a frequentare i fondatori di “Littérature” e a partecipare alle loro discussioni nei caffè di Parigi. Il magico trio legato alla nuova rivista è formato da Philippe Soupault, Louis Aragon e dallo smagliante André Breton.

“È il Surrealismo, bellezza, e le cose si fanno sul serio. Talmente sul serio che l’amicizia molto molto stretta tra Ernst e Eluard diventa presto un ménage à trois”

Siamo ancora agli albori del Surrealismo, immersi nelle atmosfere un po’ torbide – ma piene di elettricità – di Dada. Breton è di un’antipatia rara, e per giunta è un maschilista, e dunque Gala si annoia non poco, fino a quando, per l’appunto, Soupault non comincia a palpeggiarla sotto al tavolo. Paul, tutt’altro che geloso, scoprirà in questa tresca un nuovo divertimento, che porterà al parossismo poco tempo dopo, quando Max Ernst entrerà nella loro vita.

Adesso i giochetti Dada – tra bistecche in faccia, travestimenti e pubblico inferocito – sono finiti. È il Surrealismo, bellezza, e le cose si fanno sul serio. Talmente sul serio che l’amicizia molto molto stretta tra Ernst e Eluard – il quale un giorno confesserà a un giornalista di amare il pittore tedesco più di quanto non ami sua moglie Gala – diventa presto un ménage à trois.

L’allegra combriccola va a vivere a Eaubonne, nell’Ile-de-France, in una villa pagata dal papà di Paul. Un idillio che se per Ernst è una costante fonte di ispirazione (muri e porte faranno da sfondo a foreste impenetrabili e a svariati ritratti di Gala nuda), per Paul si trasforma in una prigione.

Il poveretto – che nel frattempo sta diventando il più grande poeta di Francia, ma la cosa non sembra lasciare traccia nella sua vita privata – ha un esaurimento nervoso e scappa nei mari del Sud. Ma fa appena in tempo a rientrare che irrompe nella sua vita Salvador Dalí.

 

Surrealismo
Due protagonisti del Surrealismo: Salvador Dalí e Gala.

 

Il ragazzino spagnolo con la brillantina, gli occhi stralunati, il garofano sull’orecchio e i suoi poco più che vent’anni acchiappa il cuore di Gala (ultratrentenne e madre) con una velocità strabiliante. Nel giro di una manciata di giorni lei lo svergina, lo fa impazzire d’amore, molla marito e figlia e ricomincia da zero una vita con lui: dalla povertà al lusso più sfrenato.

Éluard, a sua volta schiavo d’amore, continuerà per tutta la vita – anche una volta sposato con la dolce Nusch – a mandare all’ex moglie lettere bollenti in cui racconta delle sue carezze solitarie pensando a lei, mentre Dalí, dopo un esordio di grande attività sessuale, si dedicherà accanto a Gala alle sue vere grandi passioni: il voyerismo e l’onanismo; e lei, per rendere la cosa più piccante – mica perché le piaceva, suvvia – si accompagnerà ad amanti sempre più giovani, fino al vero colpo da fuoriclasse di portarsi nel letto, a ottant’anni, il venticinquenne Jeff Fenholt (il Jesus Christ Superstar della versione teatrale).

Proseguendo nella sua collezione di amanti e di mogli sempre più giovani, intanto, Max Ernst inciampa in una serie di protagoniste del Surrealismo particolarmente interessanti. Una è Leonor Fini, splendida pittrice bisessuale che dopo aver dichiarato che “una donna dovrebbe vivere con due uomini: uno l’amante, l’altro un po’ più di un amico”, mette in pratica la massima in una lunga convivenza con il pittore Stanislao Lepri e con lo scrittore Costantin Jelenski.

Poi arriva Leonora Carrington, che delusa dalle suore presso le quali stava studiando – che pretendevano di vedere una malattia nella sua capacità di scrivere con entrambe le mani – decide fin da ragazzina che la religione non fa per lei e a quattordici anni mette in scena la sua prima performance anticlericale, alzandosi la gonna (senza addosso le mutandine) davanti a un allibito prete e chiedendogli: “Cosa ne pensa di questa?”.

E infine c’è Peggy Guggenheim, che artista non è, ma che dei surrealisti è stata una delle più grandi sostenitrici, e che avendo lanciato a sua sorella la sfida a chi si sarebbe portata a letto per prima mille uomini, in Ernst non poteva non inciampare.

 

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Leonor Fini

 

In questa gaudente compagnia, però, c’è anche qualcuno a cui la situazione scappa un po’ di mano. Si tratta di Hans Bellmer, che sarà pure un artista, non voglio metterlo in dubbio, ma possiede anche diversi tratti del pazzo psicopatico. La sua idea del rapporto con l’altro sesso.

E quando all’inizio degli anni Trenta trova la sua vocazione artistica, cominciando a realizzare bambole a grandezza naturale dalle posture inquietanti, anche i colleghi più smaliziati iniziano a preoccuparsi. Le sue sculture sono sostanzialmente manichini femminili con le giunture a sfera che a volte hanno quattro gambe e due sessi e altre volte appaiono mutilati; e, come se non bastasse, indossano pure calzine e scarpette da bambina.

Figurarsi se il maschilista Breton davanti a queste sculture non sarebbe andato in brodo di giuggiole! Bellmer, invece di finire in una stanza imbottita, entra nel gruppo di artisti più “in” del momento, e per giunta trova una donna – l’artista depressa e in seguito schizofrenica Unica Zürn – che si lascia seviziare e legare fino ad assomigliare alle sue terrificanti bambole.

Insomma, il vero outsider, l’unico che sappia davvero che cosa sia la trasgressione, nel gruppo, finisce per essere Henry Moore, che nel 1929, a trentun anni, sposa la ventiduenne Irina Radetsky ed è così perverso da restarle accanto per tutta la vita, rimanendole addirittura fedele, si sussurra.

Intanto André Breton rosica. Lui che non sarebbe stato nemmeno malaccio, con quegli occhi profondi e la bella bocca sensuale, faceva una fatica enorme a entrare in relazione con l’altro sesso. Forse per via di una madre troppo dominante. Fatto sta che quando, diciassettenne, con gli ormoni che dovrebbero essere a mille, riceve le avances della cugina Manon – chiaramente decisa a tutto – i due passano la notte sul balcone a guardare le stelle.

E poi, quando lei gli fa capire che è proprio un bidone, piccato ribalta la storia. Racconterà a un amico: “L’ho stupita, negando l’onnipotenza del suo fascino”. Contento tu, André. Nonostante qualche amante piuttosto infuocata – come Georgina Dubreuil, che in un attacco di gelosia distrugge la sua collezione di dipinti tra cui opere di Modigliani, Derain e Laurencin – la vita sessuale del padre del Surrealismo è talmente moscia che anche Sigmund Freud, conosciuto a Vienna, lo snobberà, facendosi bollare dal permaloso Breton come “un vecchietto privo di stile”.

 

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