“Qui stiamo assistendo a un’operazione artistica completamente pura, grezza, reinventata in tutte le sue fasi dall’autore, fondata esclusivamente sui propri impulsi.” Con queste parole Jean Dubuffet descriveva l’Art Brut, quella forma d’arte spontanea e antiaccademica che ha rivoluzionato il panorama artistico del Novecento.
Il MUDEC di Milano ospita una mostra che esplora questo fenomeno attraverso opere emblematiche della Collection de l’Art Brut di Losanna.
L’esposizione ripercorre la genesi dell’Art Brut, termine coniato da Jean Dubuffet nel 1945 per definire le produzioni artistiche realizzate da autodidatti, emarginati, pazienti psichiatrici e visionari che operavano al di fuori dei circuiti culturali ufficiali. Opere create senza preoccupazioni di riconoscimento o successo commerciale, espressioni pure di una creatività incontaminata dalle convenzioni artistiche.
Il percorso espositivo si apre con i primi incontri di Dubuffet con queste forme d’arte marginale, durante i suoi viaggi in Svizzera nel dopoguerra. Qui scoprì gli straordinari disegni di Adolf Wölfli, paziente dell’ospedale psichiatrico di Waldau, e le sculture visionarie di Heinrich Anton Müller. Questi artisti outsider utilizzavano materiali poveri e tecniche non convenzionali per dare forma a universi personali di straordinaria potenza espressiva.
La mostra prosegue esplorando l’influenza dell’Art Brut sull’opera dello stesso Dubuffet. Le sue “Texturologies” e “Matériologies” degli anni Cinquanta rivelano un approccio alla materia pittorica che deve molto alla libertà espressiva degli artisti outsider. La sua serie “L’Hourloupe”, iniziata nel 1962, mostra invece come il linguaggio dell’Art Brut possa evolversi in un sistema formale complesso e strutturato.
Un’intera sezione è dedicata alla Collection de l’Art Brut, fondata da Dubuffet a Losanna nel 1976. Qui troviamo opere di artisti come Aloïse Corbaz, con i suoi rotoli di disegni realizzati durante il ricovero in clinica psichiatrica, e August Walla, che trasformò la casa materna in un’opera d’arte totale. Le loro creazioni testimoniano come l’urgenza espressiva possa superare ogni barriera tecnica e culturale.
La mostra dedica particolare attenzione al rapporto tra Art Brut e primitivismo. Dubuffet vedeva nelle espressioni artistiche dei “primitivi” e degli outsider una fonte di rinnovamento per l’arte occidentale. La sua collezione include opere di artisti autodidatti che, come Henri Rousseau, hanno sviluppato linguaggi personali al di fuori di ogni scuola o tradizione.
Il tema della marginalità sociale emerge con forza nelle opere di artisti come Carlo Zinelli e Augustin Lesage. Il primo, ricoverato in manicomio per vent’anni, creò un corpus di opere dove figure umane e animali si moltiplicano in composizioni ossessive. Il secondo, ex minatore divenuto medium, realizzò grandi tele simmetriche guidato da presunte “voci spirituali”.
L’esposizione si conclude con uno sguardo all’eredità contemporanea del movimento. Il concetto di outsider art si è evoluto, includendo nuove forme di creatività marginale: dalle produzioni di artisti autistici alle creazioni digitali di hacker e programmatori autodidatti. L’idea di un’arte “bruta”, libera da condizionamenti culturali, continua a influenzare artisti e curatori contemporanei.
La mostra meneghina non si limita a celebrare l’aspetto estetico dell’Art Brut, ma ne evidenzia anche le implicazioni sociali e politiche. L’interesse di Dubuffet per l’arte degli emarginati rappresentava una critica radicale alla cultura dominante e alle istituzioni artistiche tradizionali. La sua visione di un’arte “anti-culturale” resta attuale in un’epoca in cui il sistema dell’arte è sempre più integrato nelle logiche del mercato.
Dubuffet e l’Art Brut
A cura di Michel Thévoz e Sarah Lombardi
5 marzo 2024 – 28 luglio 2025
MUDEC, Milano
Immagine di copertina: Jean Dubuffet, La Vie pastorale II, 1964, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, dono di Lorenza Trucchi
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