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La bellezza? È sentirsi bene con noi stessi

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In molti si chiedono cosa sia la Bellezza. È forse come il Santo Graal, una reliquia inarrivabile a cui tutti tendiamo e che pochi ritengono di aver conquistato nella vita. Ma la bellezza, nella società, prima ancora che nella moda, ha da sempre avuto due anime: una più effimera, legata a un periodo storico e a dei diktat dell’epoca, e una più aulica, intellettuale, legata a un pensiero, a un background – come direbbero gli inglesi – che crea uno stile. Ed è forse proprio grazie al pensiero, fuori da ogni canone, che magicamente si crea bellezza; lì dove apparentemente sembrava
non esserci, dove il corpo diventa un mero ‘dettaglio’ ed è la personalità a decretare la nuova Marylin dell’era post moderna.
Ma la moda si sa, per anni ha imposto nella società dei modelli (giusti o sbagliati) di forme, silhouette, sia per lui che per lei, che se da una parte erano sì lo specchio di una società, dall’altra imponevano, in quella stessa società, modelli di perfezione a cui ambire che spesso generavano frustrazione e impotenza. E così una donna androgina di gran ‘moda’ negli anni Sessanta, solo dieci anni prima sarebbe stata vista come poco attraente, o un uomo muscoloso considerato sexy negli anni Ottanta non lo sarebbe stato altrettanto negli anni Settanta, in cui fisici tonici ma decisamente più longilinei costituivano l’apoteosi della bellezza al maschile.
Oggi la moda sembra stanca di rientrare in modelli prestabiliti e così il vero canone di bellezza diventa quello di scardinarli tutti e far parlare la personalità dell’individuo. Ce lo insegna Alessandro Michele che nella passerella primavera/estate 2020 ideata per Gucci fa sfilare Armine Harutyunyan – modella di 23 anni di origine Armena
che si pone come Nuovo manifesto e che di fatto dichiara la caduta di ogni punto di riferimento finora promosso, celebrando personalità e unicità dell’individuo.
Sulla stessa direzione sembra essere anche la direttrice creativa di Dior, Madame Mariagrazia Chiuri, che tra le ambassador della Maison Christian Dior (che non dimentichiamo è stato il padre della donna ‘a clessidra’) sceglie Beatrice (in arte Bebe) Vio, per testimoniare come sia la forza personale e la propria storia straordinaria ad animare il corpo, altrimenti privo di valore.

 

Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, gesso, 1796-1800, Museo Ermitage, San Pietroburgo

Fin qui sembra una storia di rinascita, di svolta; ma se da una parte ci sono brand che come Dior o Gucci promuovono l’identità, dall’altra ci pensa Instagram a complicare le cose e i concetti, promuovendo immagini di uomini muscolosissimi o donne estremamente sexy e dai lineamenti perfetti che conquistano ogni secondo migliaia di nuovi like. Tali immagini, spesso non corrispondono al vero – Photoshop docet –, ma ancora una volta creano frustrazione e impotenza, per tutti quelli che non rientrano il quel canone fortemente condiviso in rete.
Cosa resta allora da fare? Proviamo a chiedere soccorso al mondo dell’arte. Come vedevano le donne gli artisti? Pensiamo all’impressionista Renoir che dipingeva le sue bagnanti con forme sinuose e arrotondate, o Modigliani che le rendeva filiformi con colli lunghissimi ed eleganti.
Forse la soluzione al nostro dubbio dovremmo chiederla a Picasso, vedendo i suoi lavori del periodo cubista. Dove,
dopo aver appreso i ‘canoni classici’ per l’appunto, Picasso decide che è tempo di scomporre tutto e ci insegna che il vero modello è avere il proprio.
Forse il segreto è qui. Essere maker di sé stessi e non victim del sistema, perché ogni essere umano è un unicum che ha diritto a sentirsi bellissimo.

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