Fino al 14 luglio 2025, la Fondazione Prada di Milano ospita la mostra Typologien: Photography in 20th-century Germany.
Con oltre 600 scatti, che vanno dalla fine degli anni Venti fino alle ricerche più recenti, l’esposizione a cura di Susanne Pfeffer ripercorre la storia della fotografia tedesca seguendo il principio della “tipologia”.
Fra i tanti sviluppi estetici che caratterizzano il Novecento, quello tedesco è forse il più affascinante. Drammatico in se stesso, romantico per sua natura, se con tale termine possiamo indicare non il raggiungimento gentile dell’oggetto amato, ma, al contrario, la distanza che si pone tra questo e chi ne esprime il desiderio. Il tema della classificazione e, nella sua prerogativa fondamentale, della classificazione in fotografia, diventa in un tale contesto oggetto di studio quanto mai necessario.
La mostra Typologien: Photography in 20th-century Germany, curata dalla direttrice del Museum MMK Für Moderne Kunst di Francoforte, e proposta da Fondazione Prada, muove da questi passi. Dall’invenzione che nel pieno della Nuova Oggettività degli anni Venti (Neue Sachlichkeit) comincia a generare una più o meno lunga storia che arriva fino a noi. Non si può, dunque, che confermare la sua rilevanza e ammettere l’esistenza, nella vicenda tedesca, di una corrispondenza secolare della fotografia fondata sulle “tipologie”. Scelta che sia, l’Atlas tragicissimo di Gerhard Richter, iniziato nel 1961, chiude l’esposizione. Avvalora il tema e, più che spingere verso la nostra contemporaneità, sembra confermare l’attività originaria di Karl Blossfeldt e August Sander, in un periodo in cui si promuoveva la capacità della fotografia di constatare l’oggetto ritratto per tipologia. Un impeto che già all’epoca era visto in maniera trasversale: meticoloso negli studi di botanica avanzati dove Blossfeldt ricerca modelli formali archetipici (Urformen der Kunst, 1928), confluisce, di li a poco, nel più noto progetto di Sander, Antlitz Der Zeit (Il volto del tempo), pubblicato nel 1929 come estratto del suo Menschen des 20. Jahrhunderts (Uomini del Ventesimo secolo). Motivi, questi, per via dei quali la mappatura estetica non deve essere percepita come meramente evolutiva, ma ritmata dall’andatura irregolare di un atlante.
Di Richter abbiamo detto, ed è qui che la linea del tempo si rompe generando la sua “costellazione”, tanto per citare Walter Benjamin. Ciò che succede tra i maestri più antichi e il noto pittore è di fatto ricostruito meticolosamente; non secondo una successione cronologica (che comunque non manca), ma seguendo invece la misura degli accostamenti. Non per nulla lo stesso Benjamin aveva definito il progetto di Sander “atlante di formazione”, in cui la percezione fisiognomica era ritratta usando categorie distinte come la classe, il genere, l’età e il contesto sociale. Un inventario, insomma, rigido e neutrale tanto da attrarre i coniugi Bernd e Hilla Becher nella loro maniacale documentazione dell’architettura industriale (iniziata alla fine degli anni Cinquanta e già intitolata Typologien). Quanto risultava differente era ripreso alla stessa maniera, sempre e comunque, come reperti fermi sotto un cielo grigio, ora traslati da “oggetti” partecipi di una società a così dette “sculture anonime”.
L’esposizione nella sua ampiezza gioca dunque a partire dalla sua radice e vede sotto la medesima stella sia le orecchie di donne catturate da Isa Genzken nelle strade di New York (Ohr (Ear), 1980), sia le ironiche composizioni di palme realizzate da Sigmar Polke con i più svariati oggetti, dai bottoni a un righello pieghevole (Knopfpalme; Zollstockpalme, 1966). Variazioni talvolta nitide e all’apparenza vuote, come le vogliono, ad esempio, Candida Höfer e Andreas Gursky, ma che non staccano affatto dalla genuinità degli atteggiamenti. Da quel pensiero implicito che risplende quotidiano nei ritratti di gente in ascensore di Heinrich Riebesehl (Menschen Im Fahrstuhl, 20.11.1969, 1969), e che si fa movimento nel portamento rapido e sfocato nei tipi umani di Thomas Struth che passeggiano sul marciapiede.
Di cosa è specchio, cosa si nasconde, cosa rivela, quindi, la fotografia portata alla sua estrema oggettività? Gli animali di Ursula Böhmer (All Ladies – Cows in Europe, 1998 – 2011) accentuano il confronto. Servono nella stampa la chiarezza meravigliosa di ciò che è atteso e ricercato, nel tentativo della memoria di riconoscerlo e di eludere la sua distanza.
TYPOLOGIEN: PHOTOGRAPHY IN 20TH-CENTURY GERMANY
a cura di Susanne Pfeffer
03 aprile 2025 – 14 luglio 2025
Fondazione Prada, Milano
www.fondazioneprada.org
@fondazioneprada
Immagine di copertina: Heinrich Riebesehl, Menschen Im Fahrstuhl, 20.11.1969, 1969, Kicken Berlin © Heinrich Riebesehl, by SIAE 2025 – Courtesy Fondazione Prada
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