Un libro edito da Edizioni Falco, autrice Teodolinda Coltellaro, fa il punto, con metodo scientifico poetico, semiologico e filosofico, sul linguaggio della critica d’arte, senza indulgenze al “critichese”, nel rispetto di una tradizione esegetica che qui trova una originale e avvincente interpretazione.
In principio era il Verbo e il Verbo era l’Arte, e l’Arte era presso il Verbo.
Non è blasfemo né ardito parafrasare l’incipit evangelico per introdurre la mole poderosa di parole e sensi da esse derivati, e infinitamente ricomposti, che Teodolinda Coltellaro dispiega nella sua silloge critico artistica. Più esatto dire “ponderosa”, questa raccolta di saggi brevi, contenuta in poco più di cento pagine, poiché agile nella definizione fisica e tipografica, ma ben spessa e cospicua nel peso dei contenuti, che sono l’esito di studi eccentrici, rispetto alla norma linguistica della critica d’arte (non è assolutamente “critichese” il linguaggio adoperato dall’autrice), e originali nella selezione dei temi e delle relazioni tra essi. Coltellaro attinge dal lessico formale e forbito della ricerca filosofica, semiologica, epistemologica e linguistico letteraria per parlare di arte e di artisti. Un tuffo vertiginoso nelle ugole profonde della lingua, dei segni, delle parole che si fanno verbo preciso, esatto, fattore estetico insomma, un tentativo di racconto critico artistico che non ha né pari, né precedenti, ad avviso nostro. Un bel racconto complesso e complessivo, che risulta agli atti finali del lettore senziente quasi come un cantico poetico. Ha ragione Maurizio Cesarini, artista e sodale, partecipe con opere e didascalie all’opera in Fabula con opere proprie che illustrano il senso, anzi: i sensi del testo, quando parla, in postfazione, di “poetica forma linguistica”.
Il libro narra, ab initio, doverosamente fissando l’attenzione sulla relazione più profonda e diretta tra l’artista e lo spettatore, della faticosa ricerca sulla prospettiva, che ha riguardato l’evoluzione della percezione dello spazio, dagli antichi ai giorni nostri, passando da un Evo Medio sperimentatore e anticipatore della odierna collocazione delle dimensioni, reali e percepite. Si passa dunque a una inedita e originalissima esegesi dell’arte sumerica, emblematicamente rappresentata dalla tradizione dello Stendardo di Ur (nel monosillabo, è da segnalare, vi è la radice stessa di ogni cosa, contenuta come suono primordiale, nella stessa parola “origine”), scena primaria, per così dire, della visione critico analitica dell’autrice, tanto che essa stessa ne riproduce, come artista, una trascrittura in chiave contemporanea.

Sono belle e godibili, pur nell’impegno che impone alla lettura il testo, le pagine che vergano indicazioni sulla verità in Cézanne, anch’egli assimilato alle metafore cristologiche, sull’enigma della pipa che non è una pipa di Magritte, sull’indagine dei “luoghi”, nella rappresentazione artistica: “segni, parole, cose che l’artista-artefice manipola, combina, giustappone, connette in sequenze variabili, in geometrie dense di corrispondenze antiche”, spiega Coltellaro, per capirci.
E sono, altresì, degne di un rispetto che pare oramai tramontato – se non per inciviltà, magari per naturale oblio – i riferimenti e i rimandi vivissimi ai maestri del pensiero semiologico filosofico del ‘900: bello ritrovare Greimas, De Saussure, perfino Lacan, e poi anche, nientemeno, Deleuze, Panofsky, Pierce, Foucault, addirittura citato nella preziosa edizione (introvabile) Serra e Riva Editori, datata 1980.
È un bell’incrocio, ibrido nel senso più alto che oggi è concesso riferire al termine, il risultato narrativo del libro della Coltellaro, una trama fitta e scura, che si illumina passo a passo in un cammino chiaro e lucido.
Tedolinda Coltellaro
Sulle vie della Critica d’arte. Compendio di un cammino nello spessore interpretativo della parola
Ed. Falco, 2022, Euro 15
Immagine di copertina: Tedolinda Coltellaro, Sulle vie della Critica d’arte. Compendio di un cammino nello spessore interpretativo della parola, Ed. Falco, 2022 (dettaglio copertina)
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