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Dall’Africa al Medio Oriente, un’ondata rosa

I più maliziosi l’hanno già definita la Biennale del “MeToo”: di certo la manifestazione curata da Cecilia Alemani, prima donna italiana a ricoprire questo ruolo, si distingue dalle precedenti edizioni soprattutto per l’abbondante presenza femminile.

E non poteva essere altrimenti visto che il fil rouge della più importante mostra d’arte planetaria è la messa in discussione dell’antropocentrismo e dell’idea dell’uomo rinascimentale, per convergere verso una pluralità di visioni. Dunque su 213 artisti partecipanti, di cui 180 alla loro prima apparizione in laguna, ben 191 sono donne.

Un dato che non può che far piacere, soprattutto se si guarda ai padiglioni delle nazioni extra-europee della Biennale. Come dimenticare lo schiaffo morale gratuitamente servito dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen e di converso a tutte le donne? Era l’aprile di un anno fa quando, durante una visita ufficiale, il controverso leader del paese porta d’oriente fece accomodare il presidente del Consiglio europeo Charles Michel al suo fianco, relegando la più alta in grado su un divano laterale.

Suona dunque come una sorta di piccola rivincita morale che il Padiglione turco all’Arsenale presenti un solo show di un’artista donna: Füsun Onur, nata nel 1938 ad Istanbul e tra gli artisti più rappresentativi della scena contemporanea del paese.

Una figura discreta, che da oltre quarant’anni si muove a cavallo tra pittura e scultura portando avanti un discorso creativo che si può accomunare a molte autrici nostrane entrate a far parte della cosiddetta arte femminista.

“Once upon a time…”, questo il titolo scelto per l’installazione in cui, con l’approccio minimalista che caratterizza la sua arte, Onur illustra l’arroganza dell’essere umano nei confronti del pianeta che lo ospita, utilizzando la metafora della lotta tra gatti e topi. Le sottili figure di filo metallico danzeranno sulla scena come in uno spettacolo teatrale.

Ma la Turchia non è la sola nazione ad aver guardato all’altra metà del cielo. Se ampliamo il nostro sguardo sostituendo il generico termine “Medio Oriente” con quello più corretto di “MENA region”, ovvero l’estensione territoriale dall’Africa Nord-Occidentale fino all’Asia Sud-Occidentale (Iran) e vi aggiungiamo anche alcune nazioni dell’Africa Subsahariana, altri padiglioni della Biennale meritano la nostra attenzione. Vediamoli assieme.

Biennale
Laetitia Ky, African Kitchen, 2022, c-print su plexiglass, cm 75×50.

AZERBAIJAN. Per la quinta partecipazione della nazione alla Biennale il curatore Emin Mammadov ha scelto di affidarsi a sette artiste contemporanee che hanno esplorato il tema dell’universo, della nascita del nostro pianeta e delle forme di vita.

Il progetto “Born to Love”, dal nome di una delle opere esposte, presenterà nello specifico i lavori di:

  • Narmin Israfilova Zhuk la cui produzione creativa ruota attorno alla pittura figurativa classica presentata in chiave contemporanea;
  • Infinity, artista multimediale che indaga principalmente l’essenza della natura;
  • Ramina Saadatkhan, che spazia dalla pittura alla fotografia mixando elementi pop ad altri derivanti dall’espressionismo astratto;
  • Fidan Novruzova Kim, giovane creativa di stanza negli Stati Uniti a cavallo tra pittura e new media;
  • Fidan Akhundova, illustratrice, grafica e scultrice di base a Berlino;
  • Sabiha Khankishiyeva, ceramista;
  • Agdes Baghirzade, fotografa già ben nota che dona allo stile del reportage una particolare vena estetica.

CAMERUN. Per la prima partecipazione alla Biennale di Venezia nella storia della Repubblica, il Camerun ha scelto di organizzare ben due esposizioni. La prima, dedicata alla storia artistica del paese, mostrerà al pubblico anche le opere di Angéle Etoundi Essamba e Justine Gaga.

Essamba è una fotografa nata a Douala nel 1962. Nota soprattutto per i suoi lavori in bianco e nero di stampo umanistico, l’artista sceglie spesso donne afro-discendenti come protagoniste dei suoi scatti. Indubbiamente Essamba è una delle fotografe più acclamate della sua generazione, con all’attivo oltre duecento esposizioni ed altrettante pubblicazioni su magazine internazionali.

Justine Gaga (Douala, 1974) è scultrice e video artista sempre alla ricerca di nuovi materiali e forme con cui dar vita ad opere monumentali che sollevano interrogativi sullo stato della nostra società e sulla difficoltà di convivenza.

COSTA D’AVORIO. “The Dreams of a Story” è l’evocativo titolo scelto per il padiglione del paese africano al Magazzino del Sale, in zona Zattere. Partecipano sei artisti capaci di mixare elementi culturali tradizionali a linguaggi artistici della contemporaneità in cui hanno operato. Tra questi, anche la giovane Laetitia Ky, che utilizza il suo corpo, in particolare i capelli, come vere e proprie sculture per lanciare messaggi a sostegno della libertà d’espressione femminile.

GHANA. Dopo l’acclamato debutto nell’ultima Biennale pre-pandemia, il Ghana presenta il progetto “Black Star— The Museum as Freedom” a cura della celebre filmaker, scrittrice e storica dell’arte Nana Oforiatta Ayim. Tre gli artisti scelti, tra cui la giovane Na Chainkua Reindorf, che utilizza come medium espressivo principale il tessuto.

Per l’appuntamento in Biennale l’artista ha rielaborato le maschere tradizionali delle società segrete ghanesi, un tempo accessibili solo agli uomini, creando “Mawu Nyonu”: una immaginaria compagine segreta composta da sette donne legate agli elementi naturali che le circondano.

ZIMBABWE. Fadzai Veronica Muchemwa, la curatrice del padiglione, ha dichiarato che il progetto espositivo della sua nazione riflette sui diversi ambiti della conoscenza e sui differenti modi in cui, nei secoli, la trasmissione del sapere è stata portata avanti dall’uomo.

Per farlo si è deciso di interpellare quattro artisti, tra cui Kresiah Mukwazhi, nata ad Harare nel 1992 e conosciuta in Italia grazie al lavoro della milanese Osart Gallery. L’artista indaga il ruolo femminile in una società ancora prettamente patriarcale, in cui le donne sono troppo spesso vittime di violenze di genere e pregiudizi. Le sue opere si configurano come mixed media in cui si mischiano elementi desunti dalla realtà, fotografie, indumenti e perfino accessori.

SUDAFRICA. “Into the Light”: in Biennale una riflessione sul proprio vissuto post-pandemia. Questo il focus del padiglione della Biennale curato da Amé Bell e che vede esposte le opere di tre artisti tra cui Lebohang Kganye, pluripremiata fotografa di Johannesburg capace di creare potenti narrazioni mixando mezzo fotografico e discipline quali il teatro e la letteratura.

EGITTO. “Eden like Garden”, il progetto artistico egiziano ha messo in dialogo alla Biennale tre differenti artisti, che si sono confrontati con l’intelligenza artificiale usata come mezzo di espressione. Tra questi anche Weaam El Masry, che nel corso della sua carriera ha esplorato diverse forme comunicative, passando dalla pittura alla fotografia, dall’animazione digitale alle grandi installazioni.

ISRAELE. Come la Turchia anche Israele in Biennale ha optato per un solo show di un’artista donna, Ilit Azoulay. “Queendom”, a cura di Shelley Harten, si sviluppa come un’installazione di fotomontaggi di grandi dimensioni e una componente sonora che si riversa al di fuori della struttura del padiglione. Azoulay è un’artista israeliana di origini marocchine che ama lavorare con la fotografia creando ambienti immaginari meticolosamente dettagliati.

LIBANO. Dopo cinque anni di assenza, la nazione torna alla Biennale di Venezia per la seconda volta nella sua storia presentando due artisti: Danielle Arbid (Beirut, 1970) e Ayman Baalbaki (Beirut, 1975). Danielle Arbid è una regista, artista e videomaker che ha fatto della commistione di culture e narrazioni il focus principale del suo lavoro. In particolare fonde tradizioni e storie libanesi e francesi, nazione in cui si è trasferita da ragazzina.

OMAN. Per la prima partecipazione alla Biennale della sua storia, il Sultanato dell’Oman ha scelto di affidare il progetto espositivo alla giovane storica dell’arte Aisha Stoby. Cinque artisti, appartenenti a tre generazioni diverse, presentano lavori che ricapitolano la scena artistica omanita dell’ultimo mezzo secolo. Tra questi Radhika Khimji, creativa a cavallo tra scultura ed arte tessile e la compianta Raiya Al Rawahi, artista concettuale autodidatta che lavorava principalmente con il suono, recentemente scomparsa a soli trent’anni.

 

Biennale
Laetitia Ky, Women Revolution, 2022, c-print su plexiglass, cm 75×50.

Laetitia Ky, tra femminismo e riscoperta delle radici

Protagonista del Padiglione della Costa d’Avorio alla Biennale con Frédéric Bruly Bouabré, Abdoulaye Diarrassouba (Aboudia), Armand Boua, Saint-E- tienne Yéanzi (Yeanzi) e Aron Demetz, Laetitia Ky è tra le più giovani artiste della 59esima Biennale. Nata ad Abidjan 26 anni fa si è fatta notare per la forma con cui manifesta il suo impegno sociale: utilizzando i ca- pelli come sculture fortemente simboliche. Una rivisitazione della grande tradizione di comunicazione non verbale incarnata dalle pettinature per gran parte delle popolazioni del Continente.

Uno dei temi centrali affrontati da Laetitia è la causa femminista. “Questa parola è quasi vista come un insulto da alcune persone”, ci dice l’artista. “Sono considerate pazze, estremiste e deliranti, ma è qualcosa che rivendicherò sempre con orgoglio perché niente è più rispettabile che lottare affinché le persone abbiano una vita migliore”.

“Il primo passo per portare un cambiamento”, continua “è ribellarsi contro le ingiustizie! La rivoluzione delle donne è ciò che porterà uguaglianza e ogni parte di me stessa sta partecipando a questa rivoluzione”. Non potevamo, dunque, che dedicare a lei la co- pertina di questo numero di “Arte In”, con l’opera Feminist.

Laetitia è il simbolo perfetto di una nuova generazione che lotta per ciò in cui crede, lasciando piena libertà di espressione a chi prima era condannato a rimanere in un angolo perché classificato come “minoranza”, unendosi da un capo all’altro del mondo tramite i social media (l’artista è seguita da oltre 6 milioni di utenti su Tik Tok, e da quasi 500mila su Instagram). L’augurio è che negli anni a venire ci siano più Laetitia, più Greta, più Amanda a cui ispirarsi.

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