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Alberto Dambruoso

Il fenomeno dell’importanza quasi esclusivamente economica riservata alle opere d’arte nasce agli inizi degli anni Ottanta, in piena epoca neo-liberista, per affermarsi sempre di più negli ultimi tempi, nell’epoca della globalizzazione. Un fenomeno che non ha conosciuto battute d’arresto, non risentendo dei periodi di crisi economica avvicendatisi dagli anni Ottanta ad oggi, ma che anzi ha saputo sfruttare a proprio favore il periodo nero per l’economia occidentale, dal 2007 al 2015.

Basti pensare al giro d’affari maturato dalle due maggiori case d’asta al mondo nel periodo della crisi per farsi un’idea della floridezza del mercato artistico: secondo alcune fonti statistiche, dal 2004 al 2012 il mercato dell’arte avrebbe registrato un incremento del proprio giro d’affari pari al 564%, producendo vantaggi dei quali avrebbero beneficiato in particolar modo la Christie’s, che nel 2013 ha accumulato ricavi per 7,12 miliardi di dollari, e la Sotheby’s, che ha incamerato 6,3 miliardi di dollari. Anche oggi, in pieno periodo Covid, l’arte garantisce dei profitti altissimi per le opere realizzate da quegli artisti che sono stati “brandizzati” dal sistema.

crisi del sistema
Pablo Echaurren, Portare un cero a Saint Étienne, 2020.

Non è un mistero che oggi la prima domanda che la gente comune rivolge nei confronti di un’opera d’arte sia: “ma quanto costa?”, “ma vale?” e a seguire l’immancabile “sicuramente quando l’autore muore varrà di più” (che poi invece, come è noto agli addetti ai lavori, la morte dell’artista decreta anche la morte della sua opera, se nessuno si occupa più della promozione delle sue opere).

Di fatto, sembra che all’opera d’arte non venga più richiesta la sua funzionalità principale, ovvero quella di meravigliare, far pensare, incuriosire le persone, suscitare in altre parole delle emozioni, ma solamente di esprimere il suo valore commerciale. Non interessa più, in altri termini, se l’opera racchiuda al suo interno un valore estetico, anzi essa può anche essere brutta, volgare o il frutto di buotade. Questo fenomeno, che ha caratterizzato gli ultimi venti-trent’anni, lo metto in relazione alla perdita di autorevolezza delle istituzioni. Mancano i giudici che un tempo bloccavano sul nascere le aberrazioni del sistema, manca una classe di formatori che guidi i giovani nella scelta o meglio nella riscoperta dei valori autentici.

La verità è dunque che l’arte contemporanea è diventata un business in cui tutti si possono avventurare senza avere particolari conoscenze di base. Chiunque oggi può improvvisarsi artista, gallerista, mercante o collezionista, senza che a qualcun altro sia consentito mettere in discussione l’attività prescelta. Non vi sono regolamenti, bandi, specificità richieste. In una tale situazione, è facile comprendere che vince e avrà più peso colui che ha le possibilità economiche per imporre il suo status: di artista, gallerista, mercante, fino ai cosiddetti curatori (sorta di organizzato-ri/faccendieri dell’arte), appartenenti alla stessa genie e frutto degli stessi tempi.

Il progetto che sto portando avanti oramai da dieci anni in tutta Italia, mi riferisco agli incontri de I Martedì Critici da me ideati e condotti con altri colleghi storici dell’arte in diverse sedi istituzionali sparse dal nord al sud del nostro Paese, nasce dal bisogno di fare un passo indietro rispetto alla chiassosità e alla pochezza di tanta arte contemporanea. L’idea è stata appunto quella di ritornare a parlare dell’opera d’arte per le sue qualità intrinseche attraverso la viva voce di coloro che l’hanno creata, gli artisti. La parola è andata quindi all’arte stessa e non a tutti quelli che ne traggono solitamente e solamente i suoi benefici economici.

Il progetto ha visto finora la partecipazione di duecento artisti, per la maggior parte italiani, appartenenti a tutte le generazioni per battere la crisi del sistema. Artisti noti e meno noti, scelti in modo indipendente e fuori dalle logiche sistemiche. Nati in casa, in uno spazio ridotto di appena 50 mq, I Martedì Critici sono approdati nel giro di pochissimo tempo all’interno di importanti musei italiani e, in due occasioni, sono stati esportati all’estero (Istituto italiano di cultura de Il Cairo).

Nonostante i grandi palcoscenici guadagnati negli anni (Musei MAXXI, MADRE, MACRO, Pecci, Ministero Affari Esteri Farnesina), lo spirito che li anima è rimasto lo stesso delle origini: parlarsi, dinanzi a un pubblico, dando spazio al racconto, al pensiero, all’analisi, alla letture di opere, movimenti, biografie, senza tante formalità ma con la competenza, questa sì, di alcuni tra i più preparati storici e critici d’arte del nostro Paese. Un nuovo approccio all’arte contemporanea per una riscoperta dei suoi valori originari.

 

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