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Diffusivum sui, l’altro e il concettuale

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La città di Arezzo ha tenuto a battesimo (il 18 novembre) la mostra “Diffusivum sui – l’altro e il concettuale”, presso la Fortezza medicea cittadina, per un Natale anche di cultura visiva.

Il contenitore (metà Cinquecento, per la penna dei Sangallo) si è vestito a festa, con luci e giochi, ma soprattutto arte contemporanea: una collettiva realizzata da ForKunst che include il lavoro di sette artisti, diversamente equipaggiati di strumenti concettuali, per trattare la natura di questo linguaggio in modo frastagliato e mai troppo ancillare.

Il riferimento è il glorioso concetto dei concetti: l’arte, nella sua accezione circolare, alta e profonda insieme; tra scienza e filosofia, tra matematica e retorica (o linguistica). Su tale esempio cresce il risultato spurio del lavoro di Giuseppe Amadio, Giuseppe Biasio, Salvatore Emblema, Renato Mambor, Franca Pisani, Fabrizio Tedeschi, IMK71 come traccia da seguire per essere tradotta o, più lontanamente e liberamente interpretata, in opere che sono, se non definizione, almeno considerazione dell’arte come fenomeno di alterità: sia rimando, versione, diversivo, pretesto, citazione, metamorfosi, alterazione.

È appunto un’operazione di reconductio, non tanto un’interpretazione né men che meno una traduzione, perché gli appetiti espressivi dei sette non principiano alla base dell’idea dell’arte concettuale, cioè dall’origine del fenomeno, ma sembrano più venire partoriti in giro, catturati nell’aria, lontano ma non troppo distanti dal cuore di quel linguaggio, dal suo sifone propulsivo primigenio, per essere aspirati, raggruppati, accorpati nella stesura creativa di quell’alveo, di quei paraggi espressivi codificabili come idea dell’idea.

Diffusivum sui
Diffusivum sui – l’altro e il concettuale, Fortezza medicea, Arezzo, 2023 – Courtesy Fabio Migliorati

L’arte concettuale propriamente detta – non movimento o gruppo, né fenomeno o manifesto, ma attitudine di una tendenza all’essenza di ciò che è – diventa introversione cosciente, incarnando quella tipicità ricorsiva dell’operare contemporaneo che fluisce tramite la poetica implicita di uno specchio frantumato o deformato.

Questo linguaggio, diffusivum sui, si estrinseca quasi in autonomia nel rivolgersi a se stesso, e regala la propulsione speculativa della distanza in accezioni, trasposizioni liriche, fluttuazioni allegoriche, metafore. Dalle nobili origini americane, alle scuole mitteleuropee o giapponesi, conceptual art significa guardare e guardarsi dentro, in un viaggio teoretico che permette esondazioni di senso immuni da ogni distanza svantaggiosa.

L’azione concettuale si prefigge insomma di eleggere l’arte a dato, isolandola da contaminazioni estetiche e sociologiche.

L’espressione sorge nei primi anni Sessanta, a designare l’attività di alcuni artisti intorno alla rilevanza dei processi che stanno alla base dell’opera d’arte come prodotto oggettuale; il termine compare per la prima volta in Paragraphs on conceptual art by Sol Lewitt, 1967, per N.Y. Art-forum, seppure nel 1961 Henry Flynt avesse già usato l’espressione concept art nella sua Anthology: l’analisi dell’arte virava su concetti matematici, ricorrendo a supporti di elusiva logica strutturale sedimentata sotto l’influenza della filosofia del linguaggio di Wittgenstein, Frege, Searle e altri.

Diffusivum sui
Diffusivum sui – l’altro e il concettuale, Fortezza medicea, Arezzo, 2023 – Courtesy Fabio Migliorati

Si tenderà, poi, a presentare più semplicemente l’opera in interventi a livello progettuale oppure a rimorchio di un senso indiretto, figurato, elastico, per cui l’artista traduce l’opera in azioni e/o comportamenti che ne evidenziano il procedimento mentale implicativo.

Nel catalogo Maretti Editore, di prossima pubblicazione, si legge: Arte concettuale come tautologia, come tratto di indagine del concetto “arte” che, oltre l’originaria essenza teoretica, indica una fase analitica capace di gestire ogni aspetto indiretto, meno empirico e più estrinseco della contemplazione utile alla sola definizione.

i va da un modo di fare l’opera, a un modo di vivere l’opera, a uno di essere l’opera. Arte, quindi, come sublimazione delle sue premesse: l’entità dell’opera diviene identità di ciò che la determina; arte come ruolo e posizionamento della propria definizione; arte come introspezione, azione ermeneutica inversa. Arte come tempo fra domanda e risposta.

L’attitudine concettualista non tende a collocare esteticamente il portato esistenziale, ma tratta e stratifica le componenti dell’esistere come azioni comportamentali indistinte, la cui esaltazione propone valori conoscitivi in puri procedimenti di conoscenza. E queste formulazioni universali hanno costituito la nucleica pratica artistica di Kosuth, Venet, Agnetti, poi processata da Paolini, Opalka, Dibbets, che ne estraggono varianti comportamentiste, funzionali, elastiche, globalizzanti – meno proprie o tecniche, più esteriori e poetiche.

 

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