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Alberto Mattia Martini

Natura protagonista tra presagi e sperimentazione

In questo periodo storico, forse come non mai prima, si discute di ambiente e molti governi nazionali, organizzazioni internazionali si stanno confrontando sull’annoso quesito, di come si potrebbe intervenire per attenuare gli anomali cambiamenti climatici causati dall’uomo e quindi tutelare la biodiversità.

Il Forum della democrazia, che si è svolto da poco a Strasburgo, ha appunto come tema, l’interrogativo: può la democrazia salvare l’ambiente?

Per ottenere un importante risultato, quando a partecipare al “gioco” si è in tanti, c’è bisogno di fare squadra, ossia tutti devono apportare il proprio contributo, crederci realmente, impegnarsi fino in fondo, mettersi a disposizione dell’altro, riducendo il proprio singolo interesse e remare tutti nella stessa direzione.

 

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Un Tappeto-Natura di Piero Gilardi, Orto ligure, poluretano espanso, 50×50.

 

Come spesso accade quando ci troviamo in difficoltà le risposte o comunque i suggerimenti e le indicazioni, potrebbero arrivarci da chi ha vissuto prima di noi o comunque fare riferimento a quel periodo storico, che è stato fondamentale proprio per la nascita di quella democrazia di cui sopra, purtroppo troppo spesso trascurata, se non addirittura annullata.

Il concetto di natura ha infatti origini molto remote, esattamente con i filosofi Presocratici, i quali si avvalgono del termine physis, per delineare quella natura infinita che è tutto, che occupa ogni parte dell’essere, dell’esistenza, l’insieme di ciò che esiste nell’universo, luce e vita. Questi filosofi quindi ci ricordano e ci fanno riflettere sull’idea che la natura è l’universalità, l’interezza di tutte le cose che esistono e quindi il principio, la vita, del mondo nel quale viviamo e grazie alla quale anche noi uomini esistiamo.

La sensibilità tuttavia non è una prerogativa esclusiva dei popoli antichi, e fortunatamente esistono gli artisti, che ci invitano a riflettere, ci sensibilizzano su alcuni temi, guardano con un raggio più ampio e spesso riescono anticipare i tempi, immaginando il futuro.

 

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Enrico Minguzzi, Del rumore e del silenzio, 2019, olio su resina epossidica su lino, cm 120×160.

 

Alcuni artisti più di altri hanno fatto dell’ambiente, spesso in rapporto con l’umano, il fulcro del loro lavoro; la forma primordiale e creatrice per eccellenza, quel senso di mistero, che li conduce attraverso una rappresentazione del reale-naturale e che successivamente consente loro di spingersi all’interno dell’immaginifico.

Questo è certamente il caso di Piero Gilardi, già protagonista del movimento dell’Arte Povera, da sempre sensibile a tematiche connesse al mondo naturale, nonché particolarmente impegnato in ambito sociale e politico.

L’arte di Gilardi si orienta ininterrottamente verso il concetto che si dirige all’analisi teorica e alla pratica della congiunzione “Arte Vita”, andando a volgere la sua sensibilità oltre le barriere estetiche, favorendo la creatività collettiva anche nei territori del pianeta considerati marginali e degradati.

I media e i linguaggi di cui Gilardi si avvale si identificano anche con la tecnologia, installazioni interattive multimediali e azioni performative, anche se probabilmente le sue opere più note sono i Tappeti natura, costituiti da poliuretano espanso, gommapiuma, che riproducono appunto piccoli lembi di natura.

 

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Enzo Fiore, Attesa, 2007, stampa lambda su alluminio, cm 135×110.

 

Un’analisi minuziosa e realistica del mondo naturale, che coinvolge ed attrae l’occhio del fruitore, ma al contempo ne denuncia la società industrializzata, globalizzata, sempre più “plastificata”, a discapito della primigenia essenza vitale.

La pittura di Enrico Minguzzi cammina e scorre come un equilibrista sulla fune, che divide la figurazione dall’astrazione. L’ambiente, i paesaggi, si “mescolano” e confondono volutamente con il pigmento divenendo un’unica narrazione, ai confini tra reale ed immaginifico.

La narrazione espressiva di Minguzzi prende forma dal reale, da luoghi realmente vissuti, che successivamente vengono reinterpretati e dipinti su tele di lino per mezzo del colore ad olio e della resina epossidica. Colori che divengono fluorescenti, come nell’ultima serie di opere, dove prendono forma, non solo paesaggi, ma anche nature morte “componenti di un ecosistema fantastico”.

 

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Dany Vescovi, Senza titolo, 2013, tecnica mista su lino, cm 80×60.

 

Nelle opere di Giacomo Cossio la natura è reale e non dipinta, o meglio viene “colorata” successivamente. Cossio infatti, dopo avere individuato le piante in vaso, in “cattività” o anche quella che invece vivono in libertà, interviene per mezzo di smalti all’acqua naturali e non nocivi. Colori intensi, monocromi, volutamente così identificati per sottolineare l’aspetto estremamente artificioso del cortocircuito in atto.

Una vera e propria performance apparentemente contronatura, dove, da un primo sguardo superficiale, Cossio potrebbe apparire come un violento, un devastatore senza sensibilità del mondo vegetale. Egli invece percorre proprio la direzione opposta, volendo sottolineare l’atteggiamento sempre più egoista dell’uomo contemporaneo nei confronti del naturale e in generale della vita. Un evidenziare per sottolineare e denunciare la forza generatrice della natura, che poi “sboccia” in nuova esistenza, dando forma ai germogli verdi, che riappaiono e crescono dal colore: la vita è in atto!

 

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Marco Mazzoni, September Came, 2021, matite colorate su carta, cm 40×30.

 

Il mondo vegetale organico attinge nelle opere di Fulvio Di Piazza al mistero come enigma e senso dell’ignoto, un meraviglioso mondo naturale che egemonizza il reale per poi compiere la fuga nel fantastico. I soggetti rappresentati da Di Piazza raccontano un mondo ibrido nel quale l’umano viene assorbito da un’ambiente sovrastante che a sua volta riprende le sembianze umane.

Suggestioni esotiche si confondono con reali territori occidentali ripresi dal mondo mediterraneo e appartenenti alla vita dello stesso artista. È l’Italia del sud, esattamente la Sicilia con i suoi colori, sapori, odori ad entrare con veemenza nella mente dell’artista.

L’ambiente avvolge e coinvolge ogni cosa come nel caso di Marco Mazzoni, dove i mondi vegetali e animali paiono prendere il sopravvento sull’umano. La vegetazione assorbe il viso femmineo, spesso privato dei suoi organi essenziali a causa della irresistibile intensità allucinatoria delle erbe.

Il volto ritratto si confonde e fonde in un tutt’uno con mater natura, un ambiente che l’artista scopre e ritrova prima analizzando le piante e i fiori dal vero o studiando e addentrandosi tra le pagine dei manuali di botanica, per poi, in un secondo tempo, riportarne le sensazioni su carta avvalendosi dell’utilizzo dei pastelli.

L’uomo e l’ambiente sono sempre stati per Enzo Fiore un connubio imprescindibile, uno l’emanazione dell’altro: rami, foglie, muschi, insetti, radici, terra e pietra nelle mani di Fiore si sostituiscono ai pigmenti, al colore e assumono fattezze animali o umane.

La natura si riappropria del ruolo primordiale della creazione, l’aspetto essenziale senza il quale tutto non avrebbe origine. Tra le mani alchemiche di Enzo Fiore la materia organica sprigiona tutta il proprio vigore, egli infatti diviene quello che possiamo definire: un esploratore d’identità, trasferendo e trasformando la materia ormai inanimata in nuova energia espressiva.

L’ambiente tra le mani di Dany Vescovi diviene certamente pittura, colore, gesso, ma assume anche una conformazione quasi geometrica: i fiori e le piante si scompongono e ricompongono continuamente dando la percezione di assistere, non ad un’immagine statica, bensì in movimento.

Grazie alla tecnica sopraffina e raffinata di Vescovi, la sensazione è anche quella di essere immersi in uno spazio botanico: dove la cromia delle piante, delle linee e dei cerchi, si ingrandiscono, poi diminuiscono, poi improvvisamente perdono di definizione sfocando, creando un rapporto e un dialogo che volutamente passa dall’essere prima armonico e poi disarmonico, producendo una sorta di disorientamento nell’osservatore.

 

 

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