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Ezio Gribaudo – L’opera della mia vita

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Architetto, lo avrebbe chiamato Vitruvio. Pictor optimus, lo aveva chiamato De Chirico, affettuosamente affidandogli il suo stesso scettro. Editore purissimo, lo hanno chiamato centinaia di artisti dei quali ha pubblicato cataloghi (e sono stati la storia del Novecento in arte). Critico, mecenate, animatore culturale, inesauribile talent scout dei mestieri e delle vocazioni dell’arte, lo hanno definito altrettanti critici, collezionisti, galleristi, curatori che hanno, loro sì, beneficiato delle sue idee e delle sue opere nel corso di una lunghissima porzione del Novecento e del nuovo millennio.

Il grande vecchio dell’arte italiana
è il mitico Hermes, factotum degli dèi

Ezio Gribaudo, nato alle cinque del mattino del 10 gennaio 1929 in una Torino innevata, dopo quasi un secolo di celebrità indiscussa riconosciuta dai più celebri, ma non altrettanto noto e celebrato dal pubblico diffuso, non ha ancora trovato un’identità precisa nell’empireo che gli spetta. Il grande vecchio dell’arte italiana è il mitico Hermes, il factotum degli dei: coppiere, messaggero, ambasciatore, mediatore, anima del commercio. Questo è stato – e continua a essere – Gribaudo, nell’Olimpo dell’arte, a cavallo degli ultimi due secoli.

 

Ezio Gribaudo
Un’immagine dello studio di Ezio Gribaudo a Torino.

 

Il Torino Film Festival 2020 ha presentato un film, dedicato alla stupefacente vita del gran vegliardo, diretto da Alberto Bader. Il racconto della vita di Ezio Gribaudo è allettante per un narratore, perché il soggetto offre una tale vastità di suggestioni e riferimenti che dà quasi lo smarrimento della sindrome di Stendhal. È la vita stessa dell’uomo, tutta intera, lunghissima e ancora feconda, a essere opera d’arte, oggetto poliforme di contemplazione, studio e ammirazione.
Ogni dettaglio dell’ambiente in cui Gribaudo vive e lavora ancora, assistito da garzoni di bottega come un maestro del Rinascimento, narra particolari sensazionali di questa vita. Istanti di gloria fissati su carta fotografica opacizzata, frammenti di memoria che riemergono come respiri sommersi, inanellano un cursus honorum classico, moderno e contemporaneo tutto in fila.
Uno scatto lo ritrae con Picasso, in un momento imprecisato degli anni Cinquanta, mentre lui ti parla di quella volta che incontrò Pelé con Amilcare Pizzi, capocannoniere del Milan e stampatore d’arte. Ma da un ganglio remoto, nel dedalo dei ricordi, riemerge perfino la volta che prese un bagno nella piscina di Mao, insieme al grande condottiero, nuotatore provetto, com’è noto.
E non vi è incoerenza, nel vitalissimo repertorio delle esperienze vissute, nella biografia di questo highlander della ricerca culturale, della conoscenza, della bellezza e dell’arte, nemmeno nelle rievocazioni delle visite private ai coniugi Agnelli, Gianni e donna Marella, di cui violò la camera da letto, ma solo per ammirare il Suonatore di
tromba di Degas.

 

Ezio Gribaudo con la scultura Il dualismo di Pinocchio, 2017, marmo di Carrara, marmo verde delle Alpi arabescato, cm 140x80x3

Tra Giorgio De Chirico, che gli confessò di sentirsi “strumentalizzato dai mercanti”, e Alfaro Siqueiros, che gli svelò il mistero della morte di Trotskij a Cuba, tra Rita Levi Montalcini, che ispirò il “logo”, origine dei “logogrifi”, marchi di fabbrica creativa del lavoro grafico pittorico dell’artista mecenate di artisti, e Peggy Guggenheim, che incontrava a Venezia ai ricevimenti di pionieristiche biennali, e tante altre, incredibili relazioni all’apparenza casuali con le leggende della storia recente, Gribaudo ha compiuto la meravigliosa parabola della sua esistenza, tutt’altro che conclusa. Egli ha vissuto con l’arte, che ha fuso alchemicamente con le essenze della vita, come un grande sauro redivivo, di quelli che tanto hanno affascinato la sua produzione, disegnando tessiture complesse ma perfettamente sublimi, riferite poieticamente nei bellissimi logogrifi bianco monocromo stampati a sbalzo su carta preziosa.
Oggi, Ezio Gribaudo ricorda Borges, nell’aspetto venerabile di un vecchio sapiente che tuttavia pulsa di energia e carisma, non cieco come il poeta, ma acutissimo conoscitore di ciò che sta oltre ogni vista, senziente prima che vedente. L’artista che fece ronda, e gran corte, con tutti i grandi artisti del Novecento prende posizione ogni mattina nel suo studio arroccato sulla “collina”, nella casa che progettò e fece realizzare da amici fidati architetti, poco sopra la Gran Madre di Torino, vede la mole nitidamente in primo piano sulle Alpi, e progetta nuovi mondi.

 

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