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Paolo Sciortino

La parola “ritratto” è comunemente usata come sostantivo e indica la riproduzione pittorica o fotografica di qualcuno. Meno spesso la parola è usata come participio passato, e in quel caso, ancora meno frequentemente, essa diventa aggettivo: “ritratto” può voler dire “ritirato, tirato indietro”, ritroso, o nascosto insomma. O quantomeno, non visto.

Nel caso peculiare di Giandante X, al secolo (il secolo scorso) Dante Pescò, sostantivo e aggettivo collimano, e danno come risultato, non solo linguistico-grammaticale, ma più ampiamente storico e umano, la rappresentazione di un eroe misconosciuto delle arti e delle lotte politiche (anche in questo binomio, ancora una volta, un tutt’uno).

 

Giandante X
Un autoritratto di Giandante X.

 

“Un emblema di pace”, per Ernesto Treccani, pittore coevo, e amico del nostro (ci ricorda Giampiero Mughini nella prefazione al libro), che ancora – al contrario del nostro – riluce di chiarissima e specchiata fama, nella testimonianza raccolta a fil di voce, quasi un ultimo sforzo vitale, da Roberto Farina, autore del bel volume edito da Le Milieu che a metà tra saggio biografico e narrazione mitologica offre finalmente ai lettori ignari il ritratto letterario di un “eroe” (tale è il soggetto in fabula per il suo biografo) che in vita si era ritratto dalla vita medesima, pur essendone stato effervescente interprete, con vitalismo e impegno quasi feroci, nella bontà degli ideali.

 

“Circolare liberi dopo la grande lotta, ecco il bel umano sogno”.

Giandante X

 

Formidabile, come un bolide che squarcia il cielo a una velocità imprendibile da comuni occhi, la parabola esistenziale di Giandante X, ragazzo del ’99, nato a Milano e ivi deceduto nel 1984. Durante il periodo storico – e quanta storia in quel periodo! – intercorso tra i dati anagrafici della burocrazia, Dante Pescò alias Giandante X, uno pseudonimo che egli si auto-affibbiò a vent’anni e mai più se ne liberò (la prima dichiarazione ufficiale di autoproclamato anonimato perpetuo) fu pittore, scultore, architetto, illustratore, partigiano, miliziano, combattente, poeta, editore e benefattore dell’umanità.

A buon diritto si può affermare la verità di quest’ultima qualifica, almeno una volta con pertinenza, a voler considerare il paradosso per cui così spesso siano insigniti di certi meriti i malfattori, piuttosto che i benefattori.

Ma è anche vero che lui medesimo, per primo, rifuggiva dai riconoscimenti, se ne ritraeva, appunto. E per capirlo basta osservare gli autoritratti giovanili: volti sempre uguali nell’espressione, vergati a carboncino o china, che rimandano ogni volta a poche parole, a un solo messaggio fermo e deciso: “circolare liberi dopo la grande lotta, ecco il bel umano sogno”. Il motto, il Credo umanitario di Giandante X, che appare immutabile, imperterrito, inamovibile, sia quando egli stesso si ritrae (disegnandosi ed estraniandosi), sia quando è la polizia fascista a immortalarlo nelle foto segnaletiche di fronte e di profilo.

 

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Un’illustrazione politica di Giandante X per il 1° maggio.

 

Il sistema dell’arte, come spesso si torna a dire sulle pagine di questo foglio, oggi è governato da lobby finanziarie e da mercanti di stock option, non da critici sapienti, e tantomeno potenti (è chiaro: sono tanti, e per fortuna, i critici sapienti, ma potenti, quello no, a meno che non siano espressione di poteri molto più forti).

Dunque, questo libro, ponderoso e pingue di informazioni appassionate, minuziose, verificate fino allo spasimo, ricco di apparati e documentazione, è tuttavia speranza di riscatto postumo, per Giandante X, di agnizione e premiazione, da parte del mondo dell’arte, per le intuizioni sul colore, pastoso e profondo come solo certi photoeditor contemporanei saprebbero rendere, e solo grazie alle tecnologie. E sulle forme, che ancora oggi incantano per la forza espressiva e il dinamismo energico, come solo certi writer sanno realizzare, e solo grazie alla esposizione monumentale sui grandi muri urbani.

Forse, però, la ragione primaria dei ritratti (sostantivo e aggettivo insieme) stava in una profezia, e forse inconsapevole, ma radicata e radicale: bello il sogno umano, ma la realtà, quanto alla libertà, non cede a nessuna lotta. Meglio starne lontano, e lottare. E sognare.

 

 

 

 

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