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Angelo Crespi

La persistenza dell’arte figurativa come resistenza

 

Oggi, in tempo di peste, l’insegnamento di Clement Greenberg, il più influente critico del secolo scorso, ci è di conforto, perché, come chiosava a margine di un lungo ragionamento sul modernismo e contro l’arte concettuale, “la pittura è l’unica arte d’avanguardia in grado di salvarci”. I pittori sono degli anacoreti che nella solitudine compongono per la nostra salvezza.

Anche gli scultori. Tutti quegli artisti che, fuori dai giochini dell’art system, fanno loro le opere loro, possono in qualche modo salvarci, mostrandoci qualcosa che ancora non sapevamo di noi o del mondo, poiché il dipingere (o il poetare) è l’atto con cui ci è permesso di svelare l’essere delle cose come neppure le cose sapevano di esistere. Heidegger assegna al pittore questo compito di verità che è addirittura ultroneo rispetto al dato estetico.

Nel delirio del contemporaneo, l’arte figurativa può dire molto

E anche Jean Clair è convito che il perseguimento della mimesis o la ricerca del bello ideale siano obbiettivi connaturati alla pittura proprio perché esigenze del tutto umane che ci costituiscono in quanto uomini.

Nel delirio del contemporaneo, la pittura e la scultura nel solco della tradizione che – si badi – non significa la ripetizione di stili e stilemi, semmai la capacità di perenne metamorfosi, possono dunque dire molto. La pittura figurativa ha incredibili potenzialità, soprattutto in opposizione all’immillarsi dell’immagine digitale resta uno strumento incredibile per rappresentare in modo vero la realtà e l’uomo, perfino il tanto vituperato senso del sacro.

Pensiamo a pittori raffinati come Nicola Samorì e Agostino Arrivabene, ma anche Roberto Ferri e Lorenzo Puglisi che, reinterpretando la pittura classica, spesso hanno lavorato in modo straordinario e senza intenti dissacratori sul sacro e sulle persistenze iconografiche della religione, perché, come spiegava Benedetto Croce “non possiamo non sentirci cristiani”, e non solo in quanto figli di quella rivoluzione etica che costrinse l’umanità a uno scatto definitivo, ma soprattutto in quanto eredi di quella straordinaria tradizione estetica.

 

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Salvatore Alessi, Hourglass, Pala D’altare, 2017, olio su tela, cm 200×180.

 

Se Sergio Padovani, cupo e visionario, una specie di Hieronymus Bosch calato nelle nebbie della pianura emiliana, grottesco eppur poetico, fantastico e terribilmente reale, si sta accreditando definitivamente, ancora tutto da scoprire è Alex Folla, campione della tecnica a risparmio, capace di spremere Caravaggio dentro l’imbuto pop della contemporaneità, in grado di mischiare sapientemente Omero e Guerre Stellari, i santi della tradizione e i calciatori di serie A, artista con gioiose aspirazioni déraciné, ma ora anima giudiziosa e maestro sopraffino della nuova Milano Painting Accademy dove si studia per davvero pittura.

Salvatore Alessi dipinge invece madonne nere come fosse Antonello da Messina, le sue migrant mothers, veli blu e fondi oro, sono nuove icone di martirio e bellezza; emigrato anch’egli dalla Sicilia a Milano, non ha ancora sfondato, anche se il mondo sottosopra che ritrae nelle sue gradi tele, piene di figure svolazzanti, alla maniera di un Correggio o di un Rubens, sono quanto di meglio si può trovare sul mercato dei nuovi figurativi.

 

nuovi classici - arte figurativa
Elisa Anfuso, Cyclocosmia IX, 2021, olio su tela, cm 140×180.

 

Elisa Anfuso, al contrario, è un’algidissima artista siciliana, che si muove tra quasi iperrealismo e surrealismo, dipingendo adolescenti immerse in pizzi e trini, soprattutto un’apoteosi di dolci pannosi e colorati, ma su tutto questa gioiosa giovinezza grava un tratto più cupo, onirico direbbe qualcuno, di un sogno che si sta trasformando in incubo, restando però sospeso: un’atmosfera che sarebbe cara a Schnitzler più che a Lewis Carroll.