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L’altra metà dell’arte

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Vibra ancora il cuore femminile nel contemporaneo

Fin dal tardo Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese le donne hanno iniziato la loro battaglia per l’affermazione dei diritti civili, economici, giuridici, politici e sociali. L’antagonismo uomo-donna ha radici lontane e purtroppo ha toccato anche l’arte, quel mondo dorato che dovrebbe essere al di sopra di ogni differenza, che dovrebbe avere soltanto una valenza dettata dal bello e dalla qualità del segno.

Artemisia Gentileschi, una delle prime femministe che ricordiamo in questo campo, è stata veramente riconosciuta per quello che meritava? Si dice che la sua opera superasse di gran lunga, per forza espressiva e originalità dei soggetti, quella dei suoi colleghi contemporanei che, a differenza sua, per lo più erano alla ricerca della luce caravaggesca.

Così va il mondo da tanto, da troppo tempo! Molte artiste hanno avuto il loro riscatto ma per una donna è sempre stato più difficile, deve faticare il triplo di un uomo per avere dei riconoscimenti obiettivi. Io ho avuto sempre un occhio di riguardo per le artiste italiane sperando di poter fornire loro quel vantaggio che tanto gli manca. E così anche in questa occasione mi ritrovo a formulare un pronostico per il 2022 al femminile.

“Ho pensato a tre figure contemporanee che stanno proponendo un percorso interessante e costruttivo sia a livello qualitativo che di mercato, e tre artiste italiane storiche, già affermate ma che sono nelle grazie della critica e amate e sempre ricercate dai collezionisti”.

Mi si chiede quali saranno le artiste italiane che avranno più successo, o perlomeno quelle che io consiglierei sia dal punto di vista critico che come probabile investimento. Ho pensato a tre figure contemporanee che stanno proponendo un percorso interessante e costruttivo sia a livello qualitativo che di mercato, e tre artiste italiane storiche, già affermate ma che sono nelle grazie della critica e amate e sempre ricercate dai collezionisti.

 

artiste italiane
Dadamaino, Costellazioni, 1982, china rossa su tela, cm 150×200.

 

Franca Pisani, Silvia Gaffurini, Giovanna Lacedra: pittrice-scultrice la prima, fotografa la seconda, pittrice e performer la terza. Tre anime, tre identità diverse.
Tra le artiste italiane storiche Carla Accardi, Dadamaino, Maria Lai.

Artista poliedrica, Franca Pisani affonda le sue radici nella Poesia Visiva e in una storia di intellettuale che la colloca ai primi posti dell’arte concettuale. Credo in questa artista che ha dato sempre il meglio di sé sin dagli esordi che proprio in questi giorni verranno ricordati in una grande mostra a lei dedicata Prima Guardia a Soresina, in provincia di Cremona, curata da Francesco Mutti che ha avuto l’intuizione di ricercare le origini e ripercorrere l’incredibile percorso di Franca, iniziato in un momento storico di grande fermento artistico e politico.

Erano gli Anni di Piombo, e Franca giovane ed entusiasta ospitava nel suo atelier a Firenze le più importanti firme del mondo dell’arte di quel tempo e del nostro: Miccini, Ketty La Rocca, Masi, Nannucci, Paolini, Rebecca Horn, Fisher. La sua grandezza, che oggi viene ricordata grazie a questa mostra, è stata quella di raccogliere le opere di costoro nell’Album Operotio e di aver redatto un Manifesto Concettuale: l’Album Manumissio.

L’intento era quello di diffondere tali documenti rivoluzionari nei Musei più prestigiosi, infatti oggi sono custoditi dal Museo Reina Sofia di Madrid, dal Centre Pompidou di Parigi, dalla Biblioteca Hertziana di Monaco, dalla Yale University, dal Museo d’Arte Moderna di Città del Messico, dal Reinstr Kunst di Mainz e dalla Galleria Eveeche di Ginevra.

 

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Franca Pisani, Sargasso, olio e ossidi su tela, cm 100×100.

 

Questa dettagliata evocazione storica penso sia sufficiente per credere in un artista di chiaro respiro internazionale come poche. A Chieri, invece, nel mese di dicembre 2021, il Museo del Tessile ha ospitato l’artista con una mostra di grande interesse, a dimostrazione della versatilità dell’opera dell’artista toscana: incentrata sui cappelli-scultura e sui dipinti in diverse nuances di blu, “Immaginazione blu” è un richiamo al gualdo e al fustagno e omaggio all’Aria e all’Acqua, facendo incontrare l’arte visiva con le arti applicate e con la moda, e facendo rivivere l’antica tradizione tessile locale. In questa occasione, la Pisani è stata insignita del premio Navetta d’oro alla carriera artistica.

Da non dimenticare, anche la Mostra dell’Orto Botanico di Brera a Milano, dove Pisani è stata celebrata dai Rotary milanesi con la presentazione della famosa Foresta di Pietra, tronchi d’albero, reduci dal disastro della Versiliana, avvolti da marmi pregiati incisi col segno iconico dell’artista, in nome della poesia, dell’ecologia e dell’afflato uomo-natura. Protagonista di ben tre Biennali veneziane, Franca Pisani è sicuramente una delle artiste italiane da seguire con attenzione.

 

 

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Silvia Gaffurini, Plastic Bag#1, 2017-18, carta da calco trasparente, cm 100×70.

 

Dire che Silvia Gaffurini sia una fotografa è riduttivo. Silvia usa lo strumento fotografico per dar vita a opere innovative e uniche nel suo genere. Le Plastic Bag, per esempio, sono dei sacchi appesi come abiti conservati in involucri di plastica che proteggono corpi di donna inermi e vitali nello stesso tempo. La necessità di rivelare ciò che si trova dietro a uno sguardo superficiale che si sofferma sull’apparenza dei vestiti: linee disegnate sul corpo della modella, che è la stessa artista, tracciano i contorni del fisico rappresentato per sottolinearne la forza evocativa.

Quello di Silvia Gaffurini è un invito a non fermarsi all’apparenza, ma che esorta, piuttosto, ad andare oltre per immergersi nel mondo interiore saltando l’evidenza e l’immediatezza dell’esteriorità. Gaffurini è sicuramente un’artista di spessore, attraente, che ti inchioda davanti a un’opera costringendoti a porti delle domande, tanto che non puoi rimanere indifferente. La consiglio vivamente.

 

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Giovanna Lacedra, Eat Me At, 2017, performance. Foto Valerio Brambilla.

 

Appassionata insegnante di storia dell’arte sui generis, Giovanna Lacedra è una performer di talento che ha iniziato a esprimersi sin da bambina col disegno e la pittura per poi abbracciare definitamente l’arte performativa. Ricercata, elegante, versatile e amatissima dai suoi studenti che non mancano l’occasione per dirle che quello che hanno imparato da lei rimane unico e prezioso. Eh sì, perché Giovanna in quello che fa ci mette l’anima.

Il passato, l’infanzia rubata, spesso rievocata, le forme di disagio che l’hanno portata all’anoressia che non esita di esibire nelle sue performance più audaci e di rara potenza espressiva. Capace di mettere in mostra la cruda realtà dell’io più recondito, attraverso l’uso del corpo, la capacità di rivelarsi e di darsi nella segreta speranza che il proprio dolore e pensiero diventino universali, che possano essere la voce di altri che non hanno mezzi espressivi così forti e convincenti. Colta e innamorata della plasticità delle forme dell’arte greca, ne rievoca l’essenza nelle pose statuarie assunte nelle sue straordinarie performance.

Alla domanda “che cosa è l’arte per te?”, risponde: “È nuda verità. È il volto della storia. È amplificazione. Sublimazione. Dichiarazione. È pelle. È eternità”. Un’artista originale, coraggiosa, di grande profondità: da non perdere d’occhio.

 

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Carla Accardi, Blu Rosso, 1990, acrilico su tela, cm 45×70.

 

Carla Accardi (Trapani 1924 – Roma 2014) è una delle artiste più acclamate nel mondo dell’arte. Sempre alla ribalta fin da quando, giovanissima, da Trapani arrivò a Roma con idee femministe e la voglia di rivoluzionare il mondo con l’arte. Come diceva Germano Celant, Accardi “è la prima tra le artiste italiane astrattiste ad avere un riconoscimento a livello internazionale” ed è importante perché insieme ad Afro, Scialoja, D’Orazio ha costruito un ponte tra l’arte italiana, fino ad allora molto “chiusa”, e quello che avveniva sulla scena internazionale, americana soprattutto.

Famosa per i suoi colori brillanti, Accardi sosteneva che un dipinto deve dirti qualcosa attraverso un’emozione, e direi che questa luce emotiva è stata sempre in grado di trasmetterla. Ultimamente, il Museo del Novecento a Milano le ha dedicato una grande mostra curata da Maria Grazia Messina e Anna Maria Montaldo con Giorgia Gastaldon.

La rassegna ha toccato tutti i momenti più significativi dell’opera dell’artista, raccontando il suo percorso dalle strutture degli anni Cinquanta, ai colori, alle plastiche del Sessanta, alla riduzione concettuale dei Trasparenti e dei Telai degli anni Settanta e infine al ritorno alla pittura con le grandi tele degli anni Ottanta. Artista completa, all’avanguardia, sempre ai primi posti anche nel mercato dell’arte.

In questa rassegna non poteva mancare Edoarda Emilia Maino, più conosciuta come Dadamaino (Milano 1930 – 2004), artista di grandissimo talento che ha contribuito ai movimenti dell’Avanguardia artistica milanese dagli anni Cinquanta con le sue ricerche geometriche-percettive. Famosa per i Buchi in bianco e nero, in dialogo con i lavori di Lucio Fontana sviluppò nei suoi dipinti concettuali una dimensione spazio-temporale, sintetizzando la relazione tra colore, spazio e movimento.

Nel 1980 ha partecipato alla Biennale di Venezia con il famoso lavoro L’Alfabeto della Mente. Se hai la fortuna di vedere un dipinto di Dadamaino non ti limitare a guardarlo da lontano per goderne l’identità totale, ma devi avvicinarti e scoprire un mondo di delicati trattini e lineette sottilissime che unite creano una percezione visiva di volumi e voluttuosi movimenti.

Il lavoro di Dadamaino, oltre che concettualmente raffinato e interessante, è sorprendentemente complesso da un punto di vista meramente pittorico. Artista di grande spessore, destinata a crescere sul mercato e nella presenza museale perché di immenso interesse artistico e storico, Dadamaino vede oggi le sue opere presenti nei musei più importanti al mondo, come la Tate Gallery di Londra e la Peggy Guggenheim Collection.

Unico neo, la difficoltà a reperire le opere perché rare e spesso distrutte per la disattenzione del mondo del mercato negli anni Cinquanta e Sessanta nei confronti della donna, tanto che spesso nelle sue mostre di quel periodo manca la documentazione fotografica, ma non mancano le recensioni critiche. Se avete la fortuna di trovare un’opera di questa artista, non lasciatevela sfuggire.

 

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Maria Lai, Il tempo dell’incalcolabile, M77 Gallery, 2021, veduta della mostra, Milano 2021. Foto Lorenzo Palmieri.

 

Maria Lai (Ulassai 1919 – Cardedu 2013) è un’artista sarda il cui lavoro è di grandissimo interesse dal punto di vista storico-artistico e anche di grande attualità per i temi trattati. In questo momento infatti c’è una grande attenzione a tutte quelle forme di tessitura adottate da molti artisti, anche più giovani.

Per Maria Lai la tessitura è stata un elemento di primaria importanza perchè partendo dalle tradizioni di filatura della sua terra diventa una forma di libertà, nel senso che riesce a trasformare l’artigianato, al quale forse sarebbe stata destinata, in arte. Una sua opera straordinaria è stata Legarsi alla Montagna: nel 1981 l’artista realizzò un’installazione-performance della durata di tre giorni a Ulassai, facendo partecipare tutti gli abitanti del paese e dando vita a un esperimento storico di Arte Relazionale. Gli abitanti del paese parteciparono entusiasti come a una grande festa.

Il primo giorno il filo azzurro che attraversava Ulassai, lungo 27 chilometri, fu tagliato, il secondo distribuito, il terzo legato. Tre azioni precise per legare, collegare e condividere. Famosi i suoi Telai, opere sul crinale tra pittura e scultura e ancora i Pani, sculture che ebbero grande fortuna critica, ancora una volta legate al territorio, al mito e alla tradizione.

Conoscere un’artista di tale spessore è un insegnamento di vita. Diversi musei italiani hanno celebrato i 100 anni dalla sua nascita. Questo revival fa sì che nasca un nuovo interesse nei confronti di un’artista che fino a pochi anni fa il mercato aveva colpevolmente dimenticato.

 

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