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Alessandro Riva

La leggenda narra che verso la metà del Cinquecento, un artigiano, vetraio e ceramista francese, di nome Bernard Palissy, appassionato di scienze naturali, di botanica e di agricoltura, si fosse messo in testa di riprodurre una particolare tecnica di ceramica smaltata che aveva visto una volta nell’esemplare di una tazza, forse proveniente dalla Cina.

Cercò con così tanti mezzi e per così tanti anni di imitarne la levigatezza e al contempo di riprodurre, attraverso questa, la “verità” della natura, riproducendovi una flora e una fauna entrambe fantastiche ma dalla straordinaria verosimiglianza (vi riproduceva infatti serpenti, rane, crostacei, lucertole, corvi, felci, muschio, tutti presi a calco dalla natura reale), che un giorno, avendo esaurito la legna prima di raggiungere la temperatura necessaria alla tecnica di cottura che andava senza posa sperimentando, arrivò a divellere prima gli alberi del suo giardino, poi le assi del pavimento di casa, infine alcuni mobili, tra cui il tavolo sul quale lui e la sua famiglia quotidianamente desinavano, arrivando a farsi considerare mezzo pazzo dalla stessa moglie.

Palissy diventò poi celebre, al suo tempo, essendo entrato nelle grazie di nobili e di potenti, arrivando a farsi commissionare da Caterina de’ Medici una grotta nel giardino delle Tuileries, e stabilendo lì la sua bottega, di cui una trentina d’anni fa furono ritrovate le tracce nel corso degli scavi legati alla costruzione del “Grand Louvre”.

Forse anche del duo imolese Bertozzi & Casoni, al secolo Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni, si troveranno un giorno, appena fuori dal centro cittadino, tracce che ricondurranno al grande laboratorio di ceramica che questi due artisti-facitori dalla straordinaria perfezione tecnica e dalla straripante immaginazione fantastica hanno impiantato da più di trent’anni, erigendovi una sorta di monumento, insieme industriale-artigianale, dal carattere quasi famigliare (poiché loro stessi considerano sé e i loro assistenti di laboratorio “come una grande famiglia”), inesausta fucina di creatività, di ricerca, di studio, di elaborazione e di realizzazione di quel ricchissimo corpus di opere, al contempo realistiche e barocche, tragicamente verosimiglianti ai loro modelli reali eppure sorprendentemente favolose, che va a costituire il complesso, ricchissimo e articolato universo artistico che da molti anni a questa parte li ha fatti consacrare come due tra i talenti più interessanti esistenti nel panorama dell’arte contemporanea italiana ed europea.

 

Bertozzi & Casoni
Bertozzi & Casoni, Disgrazia con orchidee blu, 2012, ceramica policroma, cm. 98x81x78. Courtesy Claudio Poleschi Arte Contemporanea.

 

E non sarà un caso, forse, che proprio la scoperta di alcune ceramiche di Bernard Palissy, scovate quasi per caso un giorno nel museo della ceramica di Faenza, fornì loro, ai tempi lontani in cui frequentavano ancora la vicina scuola di ceramica – dove si conobbero e da dove iniziò il loro sodalizio artistico e professionale –, la scintilla dalla quale scaturì, in seguito, gran parte della loro produzione successiva, quell’inesausto e ricchissimo bestiario, sospeso tra immaginazione e realismo descritto fin nei più minuscoli e infinitesimali dettagli, malinconico, magnifico e struggente assemblaggio di animali, piante, fiori, farfalle, oggetti, suppellettili, stoviglie, giornali, detriti, sedimenti
di vite vissute, che, come vanitas contemporanee, sembrano volerci inesorabilmente ricordare che il tempo vola, fugge via, lontano, lasciandoci solo i sedimenti oggettuali, i detriti e gli scheletri delle nostre esistenze.

 

Bertozzi & Casoni, Barile con pappagallo, 2007, ceramica, cm 120x60x60. Courtesy Claudio Poleschi Arte Contemporanea

 

“Fin dai primi anni Ottanta, abbiamo sempre ragionato sul senso della caducità”, hanno raccontato gli artisti. Da lì, probabilmente, è arrivato l’interesse per il lavoro di Bernard Palissy, il quale realizzava i suoi calchi su piccoli animali, soprattutto anfibi e rettili, conferendo alle sue composizioni un’apparenza così reale che in quegli anni risultava quasi magica. “Il nostro interesse nasce guardando e rivisitando tutto quello che è la tradizione della storia della ceramica, e le composizioni di Palissy portavano proprio a riflettere sulla caducità e sulla finitezza della vita, temi ripresi dalla storia dall’arte nel secolo successivo con i memento mori e le vanitas”.

Ma attenzione: il lavoro di Bertozzi & Casoni, esuberante, ricco, stratificato come tutte le creazioni che aspirino veramente a rappresentare il presente in maniera completa e non superficiale, trasmette tutto, fuorché un senso di mestizia o di pessimismo. È, anzi, sottilmente gioioso, divertito, per quel senso di tragica esuberanza che può dare il venire a contatto con i grandi temi esistenziali, espressi con perizia tecnica raffinatissima e sopraffina, con una grande felicità di esecuzione e una fortissima attenzione per l’estetica e la forma.

 

Bertozzi & Casoni, Greta, ceramica policroma, 2021, cm23x30x18,5. Courtesy Claudio Poleschi Arte Contemporanea.

 

Non si può che sorridere o gioire, infatti, di fronte alle loro bizzarre storie naturali, come una surreale archeologia del mondo nel naufragio del contemporaneo: quei gorilla seduti su barili di petrolio ormai svuotati, quei fenicotteri che razzolano, come i gabbiani accasatisi nelle discariche urbane, tra piatti abbandonati e avanzi di cene e di banchetti; quelle scimmie arrampicate su cesti di frutta, e poi ancora le lucertole, i pappagallini, le lumache, gli orsi, le mandragole, tutti intenti a pascolare in un mondo in cui dell’uomo non sono rimaste che le tracce, sostituito dagli avanzi del suo superficiale e tracotante imporsi, nel mondo, sul resto delle altre specie viventi.

Ecco allora che l’arte di Bertozzi & Casoni, preziosa, levigata, perfettamente rifinita e patinata, non può però non portare alla mente i temi, oggi molto dibattuti, dell’ambientalismo, del sistematico degrado prodotto dall’uomo sul pianeta. Senza però, per questo, che si trasformi mai in banale messaggio politico, in comune, e oggi assai di moda, arte ecologicamente impegnata: “Siamo molto chiari, non è arte ecologica, anche se siamo sensibili al problema”, dichiarano infatti gli artisti. “Noi guardiamo la discarica con occhi d’artista: la scatoletta di tonno abbandonata è un oggetto ammirabile, di una grande sensibilità di colori, di variazioni di toni, dalla ruggine allo scolorimento dell’etichetta, e quindi noi la prendiamo come esempio plastico e pittorico”.

 

Gli artisti nel loro studio.

 

L’arte per l’arte, dunque, in contrapposizione all’arte impegnata, engagé, di cui oggi pullululano le cronache d’arte, esattamente come la terra e gli oceani pullulano di scarti di rifiuti plastici? Né l’uno né l’altro: arte, sì, che scandaglia le vette e gli abissi, la bellezza e il degrado, il paradiso e l’abisso.

Che, senza l’uomo, ne sa raccontare però, come pochi altri, aspirazioni, illuminazioni, cadute e vertigini.

 

 

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