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Flavia Vago e Alessandro Riva

Intervista all’artista spagnolo Eugenio Merino.

 

Il tuo ultimo progetto, Freedom Kick, ha scosso il mondo dell’arte mondiale: realizzato insieme al collettivo americano Indecline, è costituito da una serie di video postati in rete, nei quali gruppi di ragazzi, in diversi paesi, gioca a calcio con le teste di Putin, Bolsonaro e Trump. Ci puoi raccontare l’origine del progetto?

Il progetto è nato dal nostro incontro alla mostra “The Ends of Freedom” alla Halle 14 (Lipsia 2019), curata da Michael Artz. Gli Indecline avevano esposto il loro progetto The Emperor has no Balls, una serie di fotografie della loro performance messe in scena negli USA durante le elezioni del 2016, in cui avevano installato cinque sculture identiche di Trump nudo a San Francisco, Los Angeles, Cleveland, Seattle e New York.

Io presentavo Always Stalin, una scultura di Stalin dentro un distributore di Coca-Cola, Punching Putin, un punching ball con la testa di Putin e una scatola con la testa di Trump. Il punching ball era esposto con la possibilità di essere preso a pugni dagli spettatori. Credo che proprio da questa idea sia nata la connessione tra i nostri lavori. Tutto è stato molto fluido perché le nostre concezioni dell’arte sono molto simili. La scelta delle teste è stata fatta in coincidenza con il panorama globale dell’ascesa della politica autoritaria.

 

eugenio merino
Eugenio Merino, Freedom Kick, 2019, video, work in collaboration with Indecline. Photo by Jason Goodrich Brazil. Courtesy Indecline / Eugenio Merino.

Quali sono state le tappe del progetto, le problematiche e le ostilità da affrontare?

Sia io che gli Indecline siamo stati chiari fin dall’inizio, il progetto non poteva essere reso pubblico prima della sua esposizione, per evitare ogni possibile censura. Ma in Brasile abbiamo avuto minacce e denunce. Così come in Spagna, i gruppi ultraconservatori tendono a limitare la libertà di espressione, solo che in Brasile questi gruppi sono parte del governo e questo rende la cosa molto più pericolosa.

Infatti, il Brasile è oggi un paese dichiaratamente omofobo, xenofobo e autoritario; inoltre, Bolsonaro ha dichiarato che l’opera costituisce un reato d’odio e questo ha generato ancora più minacce. Alla fine Bolsonaro ha dovuto fare una dichiarazione pubblica, affermando che si trattava di libertà d’espressione, ma nonostante questo i nostri collaboratori hanno continuato a essere perseguitati.

 

eugenio merino
Eugenio Merino, Stairway To Heaven, 2010, materiali vari (silicone, vestiti, capelli umani, tappeto, libri). Photo by Carlos Albalá and Victor M. Fernández.

 

Il tuo lavoro appare come la quintessenza dell’arte impegnata: arte e politica si fondono, dando nuovo vigore alla potenza comunicativa dell’arte e un senso, non solo linguistico, ma anche sociale e politico. Credi che l’arte e la politica possano ancora scuotere coscienze?
Così come tutta la comunicazione pubblica, sono convinto che anche l’arte abbia un effetto importante sulla società, perché genera pensiero e resistenza ed è un modo per rompere l’incrollabilità del “realismo capitalista”. L’arte, insieme alla propaganda o alla pubblicità, plasma la mente collettiva ed è per questo motivo che l’artista ha la responsabilità del proprio lavoro.

Nel 2019 hai realizzato con Santiago Serra un’altro progetto: nel giorno della festa nazionale spagnola, avete bruciato, nel comune di Berga, a Barcellona, una scultura raffigurante re Filippo VI. Ci racconti com’è nato?
Nel 2018 io e Santiago Sierra abbiamo deciso di realizzare El Ninot (bambola in valenciano), una figura alta 5 metri fatta per essere bruciata, come si usa nelle Fallas di Valencia, festa della città. Si tratta di un atto catartico di distruzione del passato per far posto al nuovo, un appello diretto alla distruzione del vecchio regime. L’intero processo di creazione è iniziato con un disegno 3D della figura, che è stato stampato e poi prodotto su materiali combustibili, cartone e legno. Il processo di combustione è stato studiato in modo che il cranio interno, fatto di resina ignifuga, fosse visibile alla fine del processo.
El Ninot è stato presentato ad ARCO 2019 alla galleria Prometeo di Milano. La figura era in vendita con un contratto
in cui il collezionista si impegnava a bruciare l’opera entro un anno per godere del rogo del Ninot e ricevere tutto il materiale risultante come fotografie, video, l’urna con le ceneri e il teschio. Già il giorno dell’inaugurazione di ARCO l’opera fu boicottata da tutto l’apparato statale e dalle sue istituzioni, dalla IFEMA, da ARCO, dal Ministro della Cultura e dai media. Tutti hanno cercato di screditare e disattivare l’opera. La scultura ha avuto un acquirente il giorno dell’inaugurazione, ma i consiglieri di ARCO e IFEMA sono riusciti a fermare la vendita, dicendo al compratore che era una truffa. Nel 2020 Santiago ed io abbiamo deciso di bruciare l’opera il 20 ottobre, il giorno della festa nazionale, come risposta alla partecipazione del re alla parata militare. Un’azione che è stata registrata in fotografie e un video di un’ora in cui il rogo è rallentato per generare maggior piacere nello spettatore.
Il pezzo è stato accolto male a livello istituzionale. Bisogna tener conto del fatto che la Spagna ha politici “di sinistra” che però sono rimasti fedeli alla monarchia nonostante si dichiarino repubblicani e ne hanno ripulito l’immagine dopo la sua restaurazione nel 1978. Il pubblico, però, ha apprezzato una scultura iperrealista di Felipe VI con tutti i suoi dettagli, dalla cravatta verde, VERDE in spagnolo è l’acronimo di Viva El Rey De España, al profumo usato dal re, Dark Blue di Hugo Boss.

 

Eugenio Merino, Pisando derechos, 2018, suole di scarpe incise con i diritti umani. Courtesy adn galería

 

Parlando di Freedom Kick, hai detto che il calcio “è emerso come intrattenimento ed è ora diventato un altro gigante del capitalismo”…
La citazione viene dall’editore di Football Collective e anche collaboratore del progetto, David Kennedy: “dopo decenni di colonizzazione commerciale del gioco del calcio, c’è una sensazione di sopraffazione in cui il gioco si è allontanato dalle sue radici sociali per diventare una creatura del business”.
È un commento applicabile ad altre sfere della società e della cultura. Noi tutti siamo passati da cittadini a consumatori. Freedom Kick recupera l’idea del calcio come attività costruita dalla comunità con un significato sociale, contrapponendosi all’avanzata neoliberale degli interessi commerciali e della massimizzazione del profitto. Così, il lavoro si propone come una sorta di lotta simbolica contro il potere, rappresentato chiaramente dal prendere a calci le teste dei capi di governo, ma vuole anche descrivere la lotta comune delle classi lavoratrici contro quelle dominanti.

Credi che il sistema dell’arte rischi di far fare all’arte la stessa fine del calcio?
Le industrie culturali non sono altro che processi di creazione e fabbricazione di prodotti commercializzati diffusi attraverso la rete e i media. L’arte è già uno spettacolo, quindi non sono preoccupato che sia in pericolo, ci saranno sempre artisti, curatori e galleristi che la metteranno in discussione.

Nel 2017, hai installato a Malaga una scultura iperrealistica di Picasso morto, come “riflessione critica” sul ruolo del turismo di massa.
L’idea del lavoro era quella di mettere in discussione il ruolo dell’arte e della cultura nei processi di gentrificazione e di costruzione di city branding. Rappresentava un negozio di souvenir con cartoline, opuscoli, e la principale attrazione, la lapide di Picasso. L’ultimo passo negli eccessi del turismo.

 

Aquí Murió Picasso, 2017, materiali vari (platinum silicone, polyester, capelli umani, vestiti, poliuretano, cartoline, brochures, merchandising). Alliance Française, Málaga. Courtesy adn galería.

Credi che la crisi scatenata dal Covid-19 possa paradossalmente contribuire a una fruizione dell’arte meno massificata, più riflessiva e consapevole?
La pandemia ha portato alla luce una serie di criticità che si sono accumulate dalla fine del XX secolo. Tutte sono basate su un modello economico neoliberale di crescita infinita e sfruttamento senza fine delle risorse naturali come se fossero illimitate, senza tener conto dei diritti e dei bisogni degli esseri umani. Tutto questo processo ha arricchito solo pochi, creando sempre più disuguaglianza su tutta la linea.

Già nel 2012, il tuo lavoro era entrato nel mirino della censura: una scultura che raffigurava Francisco Franco “congelato” in un frigorifero, esposta ad ARCO, era stata denunciata dalla fondazione che porta il nome del dittatore (un tribunale spagnolo stabilì poi che non configurava reato). In seguito, la stessa fondazione si è scagliata contro un’altra opera, che raffigura la testa del dittatore in un punching ball. Erano lavori che miravano a denunciare le rimanenze di autoritarismo e di fascismo sotterraneo nella società spagnola?
Nel 2012 la FNFF (Fondazione Nazionale Francisco Franco) mi ha accusato di aver offeso “l’ex capo di Stato” durante ARCO. Una denuncia che fu accompagnata da una lettera dell’ex presidente dell’IFEMA (istituzione pubblico-privata che ospita ARCO) in appoggio alla FNFF. Anche il direttore della fiera ha minimizzato l’evento cercando di rendere l’opera invisibile. Sono stato denunciato di nuovo per la scultura Punching Franco che è stata esposta in “Jornadas contra Franco”, una mostra che ha avuto luogo la settimana prima del processo per denunciare la mancanza di libertà nell’arte.
Alla mostra hanno partecipato artisti come Santiago Sierra, Democracia, Alejandro Jodorowsky, Noaz o Carlos Garaicoa.
Always Franco è una scultura di Francisco Franco in uniforme militare all’interno di un distribuore di Coca Cola. È una riflessione sulla persistenza dell’ideologia di Franco nella società, nella politica e nella giustizia. Rappresenta la dittatura e il suo passaggio a una monarchia parlamentare attraverso un patto d’oblio, nascondendo le atrocità del colpo di stato e della dittatura. Oggi tutto questo è più presente che mai dopo l’arrivo sulla scena politica di VOX, un partito di ultradestra.

Credi che il potere della censura sia ancora molto forte oggi in Spagna, e in generale nel mondo?
Penso di sì. Il potere ha una tendenza naturale a censurare tutto ciò che può metterlo in discussione e quindi condizionare ciò che i cittadini devono pensare. Proprio come la propaganda. Ovviamente la censura non agisce allo stesso modo in un regime autoritario come in una democrazia. I primi ad essere manipolati sono i media, dato che non sono liberi di scrivere dei loro investitori o delle aziende che vi fanno pubblicità, quindi finiscono per tacere questioni importanti. Anche i politici sono al servizio dei poteri economici, così che la sovranità finisce per risiedere nel potere. Oggi la censura raramente è diretta, utilizza altre formule, come la censura preventiva, di tipo economico o mediatico. Silenziare e de-attivare sono le formule preferite per mantenere l’apparenza di una democrazia libera. Fortunatamente per la cultura, la censura finisce per moltiplicare il potere dell’opera d’arte.

Tu hai attaccato o ironizzato anche sui temi della religione e dell’influenza che ha sulle persone. Un lavoro del 2010 vedeva la realizzazione di una Escalera hacia el cielo (Scala verso il cielo), nella quale un imam, un prete cattolico e un rabbino erano raffigurati uno sulle spalle dell’altro. L’opera suscitò proteste a non finire. Quale era il discorso sotteso a quell’installazione? Credi che la religione, come il potere, possa diventare anche uno strumento di sopraffazione sull’uomo?
Il mio lavoro non attacca o irride la religione. Stairway to Heaven è un’opera utopica che riflette la collaborazione, il sacrificio, la coesistenza e la cooperazione tra le tre religioni monoteiste. Uno sforzo comune per raggiungere l'”unico” vero Dio.
Sulla base di questa idea, ciò che si riflette nell’opera sono le contraddizioni dei dogmi della religione
e la sua impossibilità di essere compresa nella società di oggi. Sono un ateo convinto, ma considero che ognuno può credere in ciò che vuole, purché sia qualcosa di privato e non condizioni o opprima la vita degli altri.

Puoi raccontarci qualcosa del prossimo progetto a cui stai lavorando?
In questo momento sto preparando un progetto per The Platform (Helsinki), previsto per maggio, con un testo di Adonay Bermudez, il cui tema è l’evasione fiscale, i paradisi fiscali e la lotta di classe. Contemporaneamente con Santiago Sierra stiamo preparando due proiezioni di La quema del Ninot con performance di due gruppi di musica sperimentale, a La Nave, Malaga, a maggio, e un’altra al SOMA, Città del Messico, tra aprile e fine anno. Sto anche lavorando a un progetto per un monumento alla corruzione per la Galleria ADN di Barcellona, curato da Fernándo Gómez de la Cuesta. Un progetto che vuole immortalare la corruzione della Spagna dall’inizio della democrazia spagnola nel 1978.

 

 

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