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Flavia Vago

Nome?
Francesco De Molfetta, ma essendo troppo lungo e ampolloso, sono da sempre il “Demo” per tutti.

Segni particolari?
Capelli lunghi e occhiali, quali modalità migliori per occultarsi?

Il tuo motto?
I don’t love to live but I live to love.

L’opera d’arte che ti ha fatto innamorare?
Scelta difficilissima, ma forse tra tutte direi il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, a Napoli.

E quella che ti ha deluso?
I vari Rothko al MOMA di New York.

La mostra che ti ha stupito?
Ultimamente sicuramente il grande progetto di Damien Hirst “Treasures from the Abyss”, a Venezia. Ma anche la grande antologica su Wildt.

 

Francesco De Molfetta
Francesco De Molfetta

 

L’artista che riesce sempre a emozionarti?
Luigi Ontani.

Quando hai capito che l’arte sarebbe stata la tua strada?
Quando mi sono reso conto di provare più piacere nel dipingere e pastrocchiare invece che trascorrere gli intervalli scolastici e i doposcuola con i compagni o al bar.

La sfida più difficile che hai affrontato?
Forse la preparazione delle mia personale “circense” presso la fiera di Bologna, qualche anno fa, il “Demo’s POP Circus”. Ho rischiato l’esaurimento nervoso e un’intossicazione da polimeri, visti i tempi stretti entro i quali ho dovuto portare a termine le sculture.

La lezione più importante che hai imparato?
Che bisogna saper attendere le giuste “convocazioni”. Sustine et abstine.

E quella che non riesci a imparare mai?
Che i galleristi si disamorano sempre e ti sostituiscono con nuovi idoli.

Il più grande difetto dell’arte contemporanea?
Che non è un telescopio per gli astri ma è un microscopio per le minuzie.

E il pregio?
Che è assolutamente indispensabile.

La tua opera più rappresentativa?
Forse, tra tutte, sarei costretto a dire il Fatman.

E quella alla quale sei più affezionato?
Il ritratto in bronzo dei miei cani.

La critica più tipica rivolta alle tue opere?
Che fanno ridere.

E quella che ti ha fatto più ridere?
Che l’opera distogliesse attenzione dalle conversazioni in salotto.

E quella che ti ha fatto più disperare?
È stata sicuramente un’autocritica.

La mostra che sogni di fare?
A Versailles.

Il sentimento che meglio racconta la tua arte?
La chiarezza, la pulizia, la sintesi.

La fonte della tua ispirazione?
L’inesorabile insensatezza dell’accadere.

I punti fermi della tua poetica?
Che l’etica sia l’estetica.

La tematica che proprio non ti appartiene?
Probabilmente il calcio.

 

Francesco De Molfetta, Fatman, 2009, vetroresina e resina, poliuretano, vernici da carrozzeria, cm 160x120x100.

 

Il momento del processo creativo che ti piace di più?
Sicuramente l’esecuzione, la manualità, la manifattura.

I titoli delle tue opere sono divertenti giochi di parole, qual è quello di cui vai più fiero?
“…E vissero per sempre felici e contanti”.

Il progetto futuro?
Una mostra pubblica a Milano con un’installazione di grande formato.

Il segreto per un’opera di successo?
L’inesauribilità della suggestione nella materia stessa.

E il tuo segreto d’artista?
Rimarrà tale.

 

 

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