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Hot Spot – Caring for a Burning World

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Hot Spot
Hot Spot, veduta d’installazione, photo Adriano Mura

Sono due enormi gorilla neri, animali oggi a rischio estinzione, a ricevere i visitatori sulle scalinate della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Sono le sculture di Davide Rivalta, che invitano a entrare, ma mantenendo assolutamente vigili tutti i nostri sensi. Poi, varcando la soglia, ci si trova immersi in un gioco di suggestioni poetiche, a cominciare dalla grande installazione “Hot Spot III” di Mona Hatoum, da cui prende il nome la mostra: in ferro e neon, illuminata in un rosso brillante, l’opera dell’artista libanese raffigura la Terra “in fiamme”, accesa e rovente, dilaniata dai conflitti sociali e dall’emergenza ambientale.

Non è tanto una denuncia o uno slogan, bensì un “attivismo estetico” quello proposto dalla mostra collettiva “Hot Spot – Caring For a Burning World” a cura di Gerardo Mosquera, che suggerisce l’opportunità di instaurare un nuovo rapporto con la Terra. La mostra consente di ammirare le opere di 26 artisti provenienti da tutto il mondo e appartenenti a correnti e generazioni differenti che, attraverso i propri linguaggi, raccontano un’arte capace di “curare” il pianeta.

 

Hot Spot, veduta d’installazione, photo Adriano Mura

 

Se le opere di Mona Hatoum e Pier Paolo Calzolari raccontano gli effetti estremi che il clima può raggiungere attraverso il contrasto visivo e materico, quella di Kim Juree – dove si osserva la dissoluzione di un’architettura di argilla – descrive la forza dirompente che possono manifestare gli elementi, come l’acqua. Il preoccupante innalzamento del livello del mare, lo scatenarsi sempre più frequente di inondazioni e le loro relative devastazioni sono inoltre documentati nelle fotografie di Gideon Mendel, nel video di Ange Leccia e nelle maree oscure di Allan Sekula.

 

“Hot Spot – Caring For a Burning World” vuole mostrare come anche attraverso l’arte ci si possa prendere cura del mondo, invitando a riflettere in modi molto diversi e soggettivi sui gravi problemi che lo attanagliano.

 

La sovrapproduzione di beni e l’aumento di sprechi e rifiuti sono rappresentati con eloquente eleganza da Chris Jordan, mentre nelle sculture di Davide Rivalta possiamo leggere la crescita vertiginosa della popolazione umana e il conseguente sfruttamento delle risorse ambientali, ma anche la relazione con gli altri esseri viventi che abitano la Terra e che, durante il lockdown, si sono riappropriati di spazi vitali, apparendo in maniera sorprendente lungo le vie cittadine. La crisi della biodiversità è anche al centro dei lavori di Daphne Wright e Ida Applebroog, ed emergono con sottile ironia nel piccolo roadrunner fermo al confine tra Stati Uniti e Messico ritratto da Alejandro Prieto.

Hot Spot, veduta d’installazione, photo Adriano Mura

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