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Rebecca Delmenico

 

I mille volti dell’Africa

 

Quando ho chiesto ad Omar Victor Diop di descriversi, ha usato tre aggettivi: appassionato, femminista, umano. Non si può che essere d’accordo quando si guarda la fulminea carriera di questo artista.

Nato a Dakar nel 1980 da una famiglia di classe media in cui il padre è commercialista, la madre un avvocato e tutti i fratelli lavorano nella finanza, anche Omar Victor Diop, fino al 2012, ha seguito le orme di una carriera “rispettabile” prima come consulente e poi nelle relazioni con gli investitori. Ma sente che gli manca qualcosa: “Non avevo una spinta e non avevo uno scopo. Poi ho comprato una macchina fotografica e ho trovato un nuovo scopo attraverso il suo obiettivo”.

Le sorprendenti fotografie dell’artista senegalese interpretano la moderna sensibilità africana in una visione che restituisce una riabilitazione della storia del continente africano, affrontando tematiche contemporanee relative a immigrazione, integrazione e alla politica globale della resistenza nera. Nel suo lavoro Diop fonde fotografia, belle arti, moda e design concentrandosi sul ritratto e sull’autoritratto, tuttavia l’artista preferisce definire le sue opere come “ritratti metaforici” in cui l’identità nera è centrale.

 

Omar Victor Diop
Omar Victor Diop, El Moro, 2014, stampa a getto d’inchiostro a pigmenti su carta Harman by Hahnemuhle, cm 90×90, © Omar Victor Diop © courtesy MAGNIN-A Gallery, Paris.

 

“Una parte di me vuole reinventare la grande tradizione africana del ritratto in studio”, dice l’artista, riferendosi a maestri che sono punti cardinali per l’artista, come Seydou Keïta o Mama Casset che, all’inizio del Novecento, hanno realizzato raffinatissimi ritratti di vita familiare ma anche del lato più glamour dell’Africa negli anni Sessanta.

Omar Victor Diop arriva a padroneggiare perfettamente il genere della ritrattistica tradizionale portando avanti la pratica parallela della fotografia di moda, citando fra le sue influenze Richard Avedon e Annie Leibovitz.

“Quello che cerco di fare”, racconta Omar Victor Diop, “è bilanciare le percezioni che le persone hanno di noi africani. L’esperienza africana è ricca, il nostro passato non è stato solo tragico, è invece pieno di individui e società stimolanti, così come il nostro presente. L’Africa non è solo la terra dei poveri, è la terra della diversità, dove si stanno verificando grandi cambiamenti. Il continente ha portato così tanto nel mondo che non si saprebbe da dove cominciare a elencare tutto. Quindi equilibrio i miei riferimenti storici con opere molto contemporanee.”

 

“Come artista il mio impegno è di riversare nei miei lavori quanta più autenticità ed esperienze vissute possibile. Non è solo un dovere, lo considero anche un privilegio”.

Omar Victor Diop

Realizza la sua prima serie, “The Future of Beauty” (2011/2012), interamente nel suo appartamento, usando una tenda come sfondo, un approccio al fai-da-te che diventerà caratteristico del processo di Omar Victor Diop. Nelle immagini, l’artista devia i beni di consumo e i rifiuti per farne abiti per le sue modelle, mettendo in discussione i comuni canoni di bellezza ed eleganza. Incoraggiato da un amico fotografo, condivide su Facebook i suoi scatti, attirando da subito l’attenzione di curatori e professionisti della fotografia, che lo incoraggiano a proseguire su quella strada.

“Sono un esempio della capacità di Internet e della rete di trasmettere la voce di un sognatore a un pubblico più ampio e globale, come è accaduto per Facebook dal 2010”, spiega. “Stavo scattando foto con un mio amico nel mio giardino, dopo l’orario d’ufficio aziendale, e sono rimasto così coinvolto che questa passione è diventata una carriera in soli dieci anni”.

Nella serie successiva, “The Studio of Vanities” (2012/2013), Diop ha reso protagonisti i suoi giovani amici, imprenditori, musicisti, artisti, che definisce come “i nuovi volti delle culture urbane nel continente africano”.

La sofisticata vita culturale della città e l’energia della popolazione più giovane sfidano i vecchi preconcetti di ciò che può offrire una città africana. “Sono individui creativi e ambiziosi, che lavorano per trasformare la loro visione in realtà”, dice Diop. “Si tratta di andare oltre l’esercizio puramente rappresentativo, che vuole che ogni ritratto sia l’immortalizzazione di uno stupido sorriso quando indossi il vestito della domenica. L’approccio è collaborativo, nel senso che io e il soggetto scegliamo abiti e decorazioni che rappresentano affermazioni identitarie”.

È dal 2014, con la serie “Diaspora”, che Diop ha iniziato a mettere in scena se stesso, diventando il principale protagonista visivo e l’interlocutore delle proprie immagini, interpretando più personaggi, a volte maschili ma anche femminili. Questa serie segna l’inizio di una consacrazione internazionale.

 

Omar Victor Diop, Allegoria 6, 2021, stampa a getto d’inchiostro a pigmenti su carta Canson Infinity Arches 88. © Omar Victor Diop Courtesy Galerie MAGNIN-A, Paris.

 

“L’autoritratto”, prosegue l’artista, “è un modo per me di essere coinvolto in una causa o difendere un’idea. Un autoritratto mi concede anche più flessibilità, mi permette di creare più riproduzioni di me stesso, mi piace molto questo esercizio, mi sento a mio agio”.

Le serie “Diaspora” (2014), “Liberty”(2017) e “Allegoria” (2021) sono quelle che Diop considera come le più emblematiche della sua produzione e che compongono la prima monografia dedicata all’artista, dal titolo Omar Victor Diop, pubblicata in coedizione tra la casa editrice 5 Continents Edition e la galleria parigina “Magnin-a”. L’intento dell’artista è quello di fornire una versione alternativa della storia, di eventi e protagonisti cruciali ma troppo spesso dimenticati dalla tradizione occidentale, per rileggerli alla luce della contemporaneità.

In “Diaspora”, Diop incarna diciotto personalità che hanno lasciato il segno nella diaspora africana, personaggi straordinari ma trascurati dalla narrativa occidentale. L’artista racconta la storia africana attraverso la ricostruzione di ritratti storici di figure chiave dell’arte, della politica, della teologia e del commercio che sono vissuti tra il XVI e XIX secolo.

 

Omar Victor Diop Albert Badin, 2014, stampa a getto d’inchiostro a pigmenti su Harman di carta Hahnemuhle, cm 120×80. © Omar Victor Diop. Courtesy Galerie MAGNIN-A, Paris.

 

Questo particolare periodo rivela la complessa relazione tra l’Africa e il resto del mondo, quando le forze imperialiste europee hanno saccheggiato il continente, schiavizzando la sua gente, occupando le sue terre e depredando le risorse naturali. Di conseguenza, la storia del popolo africano si estende ben oltre il continente.

Ogni ritratto è uno studio sulla bellezza, sul potere e l’orgoglio, una storia personale e una registrazione pubblica delle storie che non vengono raccontate, a favore della propaganda che intorpidisce le menti.

La diversità dei soggetti, delle loro epoche e ambienti, delle loro competenze e della loro saggezza rappresenta il genio degli africani di tutti i ceti sociali, siano essi nati nel continente o in qualsiasi parte della terra. “Pensavo di dare a questi personaggi la mia carne e il mio sangue nel tentativo di donarli e invitarli nell’attuale conversazione sulle relazioni razziali e sul contributo dell’Africa al resto del mondo”, afferma Diop.

L’artista rappresenta i protagonisti vivacizzando la scena con oggetti legati al mondo del calcio, che attenuano la carica drammatica e allo stesso tempo proiettano i protagonisti nella contemporaneità per aprire il dibattito sull’immigrazione e l’integrazione degli stranieri nella società europea. “Il calcio”, racconta ancora l’artista, “è un fenomeno globale interessante che rivela molto della società.

Quando si guarda al modo in cui la royalty del calcio africano è percepita in Europa, c’è una miscela interessante di gloria e adorazione ed esclusione. Ogni tanto vengono urlati cori razzisti in campo o vengono gettate bucce di banana e l’intera idea-illusione dell’integrazione viene infranta nel modo più brutale. È uno dei paradossi che indago attraverso il mio lavoro”.

In “Liberty (2017), sottotitolato “A Universal Chronology of Black Protest”, Diop si muove con l’intento di creare una cronologia visiva delle proteste dei neri in Africa. L’artista costruisce una narrazione comune tra eventi svoltisi in tempi e luoghi diversi, accomunati tuttavia dallo stesso moto interiore: restaurare e difendere la libertà dei neri.

La serie visualizza alcuni dei momenti più decisivi e meno conosciuti di una lotta globale: dalla resistenza dei Maroon nella Giamaica del Diciottesimo secolo all’uccisione di Trayvon Martin nel 2012, che ha ispirato il movimento Black Lives Matter.

Diop si mette nei panni dei soldati senegalesi della Seconda guerra mondiale, degli studenti sudafricani e del movimento Black Panther Party per esplorare ciò che unifica e definisce queste lotte per i diritti umani e la libertà. Parlando del progetto, l’artista racconta: “Sentivo che fosse necessario sia a livello personale che globale. Molte delle ingiustizie contro cui i figli e le figlie dell’Africa hanno combattuto in tutto il mondo, sono ancora molto vive”.

 

Omar Victor Diop, Aminata, 2013, stampa a getto d’inchiostro a pigmenti su Harman di carta Hahnemuhle, cm 90×90. © Omar Victor Diop © courtesy MAGNIN-A Gallery, Paris.

 

Nonostante la drammaticità degli episodi che reinventa, il tono del progetto di Diop non è di cordoglio, ma di festa e orgoglio: il risultato è una serie di immagini che mescolano il cupo con il colorato, rendendo omaggio ai caduti e offrendo una speranza per il futuro.

Con “Allegoria”(2021), che Diop definisce come “una lettera d’amore inviata alla natura”, l’artista si focalizza sul tema dell’ambiente e sulla sua importanza nel continente africano come nel resto del mondo. Una serie che mira ad essere una favola contemporanea, una allegoria dell’apprensione dell’umanità, dolorosamente responsabile per l’attuale condizione ecologica a causa della quale alcune specie rischiano di diventare solo un ricordo sui libri.

“Il giardino simbolico che circonda la mia allegoria non ha confini ed è ugualmente in grado di fondere insieme diverse aree del pianeta ed elementi stagionali contradditori”, spiega l’artista.

“Sta allo spettatore decodificare il linguaggio allegorico e penetrare i codici, i valori e i significati incarnati da un’ape, un dodo o una canna. Come reagisci alla vista di un cervo in un ambiente portuale insieme a gabbiani, coralli e pesci? Cambiamento climatico? Un dialogo intrafaunistico? Volevo rivestire la mia allegoria di dignità religiosa, come un ritiro, a volte pacifico, come praticava San Francesco d’Assisi, che proteggeva le specie, e a volte giocoso, come Orfeo, che incarnava la natura”.

Omar Victor Diop parla della sua terra, l’Africa, e dice: “come popolo stiamo costruendo il nostro futuro unendo le nostre influenze e creando strumenti che faranno sì che questo futuro sia luminoso, e il mio contributo è la mia arte. È per questo che mi alzo dal letto ogni singolo giorno. Cerco di fare il mio lavoro trasmettendo felicità, dignità e compassione. Non sono qui per dare lezioni, sono qui per condividere prospettive e punti di vista”.

“Come artista”, conclude, “il mio impegno è di riversare nei miei lavori quanta più autenticità ed esperienze vissute possibile. Non è solo un dovere, lo considero anche un privilegio”.

 

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