Nelle stanze di Henriette, diva e musa
Vicino alla grande finestra dell’ultimo piano, affacciata sui riflessi d’oro del rio veneziano, sembra ancora di poter vedere la padrona di casa: diafana, assorta nel lavoro, Henriette con i capelli raccolti e il pennello in mano, intenta a dipingere gli stampi con i quali renderà unici i tessuti leggeri, stesi lì accanto.
Henriette, immersa nella luce e nell’odore pungente degli inchiostri, che si mischia a quello placido della laguna.
Henriette Nigrin, non solo la musa, ma la mano operosa, l’organizzatrice, il motore creativo, l’altra metà del laboratorio Fortuny.
Nella foto d’archivio che la ritrae, lavora infilata in un comodo grembiule da atelier; nulla a che vedere con i suoi sinuosi Delphos, quelle carezze di seta plissé che avvolgono le forme femminili, come l’onda di una brezza arrivata direttamente dall’antica Grecia, un soffio sul corpo capace di trasformare le donne in divinità terrene, finalmente libere di sentirsi addosso la carne e la pelle.
Eppure il Delphos, quell’abito lungo che, dalla Marchesa Casati in poi, tutte le donne hanno desiderato, era nato proprio sulla sua figura. Glielo vediamo addosso in altre fotografie, e si capisce che le sta alla perfezione, perché Henriette è bella, delicata, morbida, ma è anche emancipata, e forse per questo ha inventato un modello d’abito liberatorio e rivoluzionario, che presto è entrato nella storia della moda, rendendo immortale la fortuna del marchio Fortuny.
Che l’invenzione sia stata di Henriette ha voluto ricordarcelo Mariano Fortuny stesso, in un appunto vergato ai margini del brevetto del modello, che fu depositato come un tesoro.
Mariano Fortuny y Madrazo – pittore, figlio d’arte, scenografo, “inventore”, andaluso di nascita e veneziano d’adozione – era l’uomo di cui lei si era fatalmente innamorata, e che aveva seguito lasciandosi alle spalle un marito e Parigi.