Quando Raffaello Sanzio muore nella notte tra il 5 e il 6 aprile del 1520, dopo dieci giorni di malattia e febbre, si spegne il mito e incomincia la leggenda, che lo vuole agonizzante sotto la grande tela della Trasfigurazione testé realizzata per il cardinale Giulio de’ Medici – ancora fresca – praticamente in odore di santità (suona strana a molti, tra l’altro, la perfetta coincidenza dell’ora del decesso con quella di Cristo: alle 3 del mattino di venerdì santo).
Sulla causa di quella morte, però, aleggia il mistero. La febbre alta che dall’oggi al domani lo costringe a letto, lo fa massacrare di salassi e poi lo uccide, da qualcuno è interpretata come malaria, da qualcun altro – si sussurra – come conseguenza di un avvelenamento. Sarà Vasari, però, a dare il suo sigillo a quella che diventerà la spiegazione più accreditata: eccessi amorosi. Bello, ricco e famoso, in effetti l’artista non fa fatica a incontrare il gusto delle donne. Cosa che gli piace parecchio. E anche il caso ci mette lo zampino…

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