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The Bank – Collezionare arte italiana

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The Bank Contemporary Art è un sogno realizzato da Antonio Menon, che ha creato una tra le più interessanti collezioni di pittura italiana contemporanea, raccolta negli spazi di un’ex filiale di banca e diventata negli anni oggetto di attività espositive di qualità. Ultima tappa, il Museo degli Eremitani di Padova con “A riveder le Stelle” (a cura di Barbara Codogno, fino al 30 gennaio), una perla tra le numerose manifestazioni culturali che celebrano i 700 anni dalla nascita di Dante, realizzata in collaborazione con The Bank e il Comune cittadino. Poco prima, in ottobre, il Palazzo delle Stelline di Milano ospitava la mostra personale di Sergio Padovani, sempre fortemente voluta da Menon.

 

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Federico Lombardo, Il gioco, 2018, olio su tela, cm 80×100.

 

Cos’è The Bank Contemporary Art, e come nasce?

The Bank è uno spazio a Bassano del Grappa, con una sua collezione permanente. In seguito ho voluto portare più vicino alle persone uno o più nuclei centrali della raccolta, attraverso mostre in spazi istituzionali. C’è la volontà di attribuire un riconoscimento pubblico agli artisti che coinvolgo, in spazi non commerciali. Da quando ho deciso di aprire al pubblico la mia raccolta, mi sono reso conto di mettermi a nudo, in un percorso di ricerca intimo. The Bank parla di me, della mia vita privata, diversa rispetto a quella quotidiana del mio lavoro di commercialista, dove la razionalità domina. È un percorso emozionale e interiore.

Per quale ragione predilige l’arte figurativa?

Perché nello sguardo dell’uomo c’è il senso della ricerca sulla vita e sul suo destino. Quando osservo un volto immagino cosa c’è dietro: qual è il pensiero nascosto? Questa avventura parte dal desiderio di promuovere l’arte che amo, quella che riesce a scuotermi. La prima mostra personale a The Bank è stata quella di Padovani, perché la sua pittura corrisponde a ciò che intendo portare avanti: la ricerca sull’uomo, su tutto ciò che custodisce dentro di sé.

Quando l’arte è muovere emozioni e stimolare domande, vuol dire che ha una funzione salvifica. Allontana dalla superficialità imperante del nostro tempo. Assaporare quel tipo di arte è anche passare attraverso il dolore e le sfide affrontate da alcuni artisti. Chi fa parte di The Bank secondo me appartiene anche a un movimento. Ho sostenuto artisti sconosciuti o dimenticati slegandomi da dinamiche economiche; all’origine c’è l’idea di rappresentare la mia visione del mondo, la passione per ciò che comunica all’uomo attraverso l’uomo. Se entri in The Bank prima di tutto vieni assalito dai volti che ti parlano.

 

The Bank
Nicola Verlato, Take the Road to Nowhere, 2012, olio su tela, 150×244.

 

Sono i volti che rappresentano un possibile movimento?

Posso dire di sentirmi parte in causa nel tentare una risposta all’interrogativo sul futuro della figurazione italiana. Le scelte sono state trasversali: da pittori che si affacciano ora al giudizio di pubblico e mercato, alle produzioni note e consolidate. Secondo me l’arte attiva intellettualmente prima che esteticamente, anzi, a volte, lontana dal Bello stimola maggiormente. Gli esponenti di The Bank sono dei visionari, ma se percorri le stanze dei Musei Eremitani e dalle opere antiche arrivi ai contemporanei, straordinariamente non avverti il distacco.

La figurazione ha sempre parlato dell’uomo ed è un’espressione sempre contemporanea. Anche l’operazione culturale di “A riveder le stelle” si rivolge ad un racconto intimo, conduce a Dante e a Giotto come uomini alle prese con i propri stati d’animo. L’attesa, la rinascita, il dolore, la felicità, la timidezza… tutti noi ogni giorno andiamo all’Inferno e torniamo in Paradiso. Il nucleo di lavori in mostra a Padova, pur essendo dedicato a un tema specifico, rispecchia The Bank per l’importanza che la figurazione riserva all’aspetto psicologico.

Vedo nella collezione di The Bank artisti che hanno riattivato il discorso anche critico sulle discipline pittoriche, è d’accordo?

Certamente, ma il fatto che si utilizzino tecniche del passato non condiziona il mio apprezzamento di un’opera pittorica, io guardo sempre prima all’emozione che alla disciplina. Che sia olio o acrilico, su rame o su specchio, mi sento molto libero in questo senso. L’importante è che sia Heimat, come recitava il titolo di una mostra di Padovani, ovvero casa: per me è quel momento unico nel quale leggo su un dipinto tutta la sensibilità e l’inquietudine di un artista vivente.

Però dire che usare la tecnica antica non porti nulla di nuovo è falso. Bisogna vedere come risulti personale e innovativa nella complessità della visione. Un esempio femminile è offerto dal lavoro di Chiara Sorgato: lei rompe dei canoni, dei limiti imposti da ciò che dovrebbe suggerire l’immagine. Attraverso la sua scomposizione infastidisce il benpensante, che si aspetta un approccio più estetizzante a nudi o velature.

 

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Lorenzo Tonda, Dioscuri – De Chirico, 2021, olio su tavola, cm 60×50.

 

Come si pone di fronte a chi ritiene doveroso, oggi, tentare una difesa della tradizione figurativa?

Quando si tratta di parlare dell’uomo all’uomo non esiste tradizione ma solo soggettività contemporanea, nella quale l’immagine funge da medium tra interiorità e mondo reale. Seguendo quel collegamento intenso e difficile, l’arte non può essere incanalata, non ci devono essere limiti, non bisogna confinare l’espressione in uno schema. Questo ha fatto male alla pittura: pensare che prendere coscienza delle proprie radici significhi copiare la tradizione. Inoltre può non essere per forza il Nuovo, a condurre al Bello. Secondo la mia idea di figurazione, la tradizione è un elemento che ciascun artista interpreta personalmente.

È libero di camminare a proprio modo, come me nella mia intima ricerca, in maniera assolutamente spregiudicata nel rapporto col passato. Mi interessa l’arte che manifesti e dunque permetta di comprendere il tumulto e la confusione interiore dell’autore; non leggo niente di estetico nel dolore che passa attraverso l’arte, anche se ci sono estetiche diverse. Se prendiamo Fantini e Padovani ad esempio, sono due artisti agli antipodi per linguaggio e contenuto. Eppure entrambi assolvono al compito di portarti lontano, nella rappresentazione del pensiero segreto.

 

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Chiara Sorgato, Travagliare, 2018, olio su tela, cm 100×140.

 

D’istinto: cosa rende memorabile una mostra?

L’emozione che ti ritorna quando non sei più dinanzi all’opera. Quando ti accorgi di aver visto qualcosa che ti ha smosso la coscienza, colpito dal punto di vista emozionale, e non solamente estetico.

 

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