Spazio maria calderara a Milano, ex fonderia e già sede della galleria Christian Stein, presenta la collezione primavera/estate 2026 della stilista Maria Calderara.
Via Lactea nasce dalla collaborazione con l’artista giapponese Satoshi Hirose e si configura come una collezione immaginifica e sospesa, in cui il peso dei materiali sembra dissolversi per lasciare spazio alla leggerezza delle forme e dei colori.
Da diversi anni Calderara affianca artisti nella creazione di abiti e gioielli capaci di intrecciare moda, design e arti visive. Da Antonio Scaccabarozzi a Piero Manzoni, fino a Eugenio Tibaldi, la stilista realizza pezzi indossati in tutto il mondo, in cui i linguaggi e le poetiche degli artisti diventano tessuto e motivo delle collezioni.
Con Satoshi Hirose condivide una particolare sensibilità verso i temi dell’evoluzione e della trasformazione, così come un senso di leggerezza e indefinito. Come ha dichiarato la stessa Calderara, questa collaborazione ha permesso ai due di instaurare un dialogo autentico e creativo, dando vita a opere che abbracciano l’universo, l’atmosfera e il cielo. In occasione della preview, il progetto ha preso forma in un allestimento immersivo (Via Lactea, 2025), dove arte e moda si incontrano e si fondono. Un tessuto lungo trentacinque metri, dipinto su entrambe le superfici, evoca l’immagine della Via Lattea e allude al mistero delle origini dell’universo. La prosecuzione dell’installazione fino al cortile crea inoltre una connessione simbolica tra interno ed esterno, tra cielo e terra.
In questa occasione, abbiamo avuto il piacere di entrare in dialogo con Maria Calderara.
Maria Calderara È da un po’ di collezioni che, ogni volta, dialogo con un artista diverso, vivente o no. La conseguenza è che il lavoro è sempre diverso. In questo caso Satoshi è anche un amico, una persona che stimo molto per il suo lavoro; trovo che abbia una poetica incredibile. Abbiamo deciso insieme di fare questa cosa, anche perché su molti temi siamo vicini. Per esempio, Satoshi ha fatto un’opera con delle bustine di carcadè (Untitled, 2011) e io stessa, quasi trent’anni prima, in una delle prime collezioni che feci, usai le bustine di tè. É una cosa un po’ particolare, incontrarsi su un’opera fatta con le bustine di tè; ho pensato: “ma che stranezza”. Ci siamo trovati in linea con i materiali. Lui, tra l’altro, ha nella sua poetica l’idea del cosmo, e quindi della Via Lattea.
Da qui il nome della collezione?
Sì, esatto, il filo conduttore era l’idea di leggerezza, e abbiamo pensato “chiamiamola via Lattea”. Insieme abbiamo pensato di realizzare un grande nastro, con il tessuto della collezione, che corre e si snoda per tutta la sala. L’idea è che arrivi fino all’esterno.
Così, attraverso l’installazione si uniscono idealmente l’arte di Satoshi e la collezione.
Sì, esatto, in particolare alcuni pezzi. Per esempio, l’abito con le perline (Puppet dress: embroidered with assorted beads and cottonballs) richiama una delle sue tematiche: lui utilizza spesso delle sfere o dei cubi di plexiglas con all’interno fagioli o altre cose, la pallina, la pepita d’oro, etc. Il tema è quello della leggerezza e lì ci siamo proprio trovati: piace a lui come piace a me.
E poi c’è l’idea del bozzolo, che torna molto nell’arte di Satoshi.
Sì, abbiamo deciso di incentrare tutta la comunicazione su questa immagine: video e post in cui, un po’ per volta, una ragazza esce dal bozzolo. L’idea è quella di rappresentare la nascita e la rinascita.
Anche i materiali, da come posso vedere, sono molto vari
Sì, esatto, in questo caso, con i fili della trama e ordito tirati si vuole ricreare l’immagine della nuvola, ancora una volta della “cosa leggera”. La mia fortuna è quella di avere a Venezia, dove lavoro, delle ragazze non solo brave manualmente, ma che hanno anche una grande sensibilità artistica; i pezzi, quindi, risultano tutti diversi ma in armonia tra di loro. Una delle mie caratteristiche è quella di fare pezzi senza tempo, che non hanno una stagione. É quello che sto cercando di far capire a certi clienti. In questi abiti che noi chiamiamo Pappet dress, all’interno ci sono dei nastri che possono esse tirati, e si modifica la forma del vestito: si può fare più corto, più lungo, più asimmetrico. É uno degli abiti più venduti per via della sua vestibilità “facile”: chi lo compra sa che qui può metterci due tipi di fisico completamente diversi. A seconda del fisico, ognuno lo può indossare come più lo valorizza.
Quindi c’è un’attenzione anche all’inclusività, all’idea che un vestito possa adattarsi al corpo di tutti?
Sì, cerco sempre di pensare che la cosa più importante sia proprio far bella la donna.
Tornando al rapporto con Satoshi, pensa che due mentalità diverse come quella occidentale e orientale abbiano influito sul lavoro e sul risultato?
Lui è giapponese, ma è in Italia da ormai quaranta anni, ha studiato a Tokyo, ha fatto l’accademia e poi è venuto qui come assistente di Luciano Fabro. É innamorato dell’Italia, gli piace stare qui. Credo che più che la mentalità, a unirci sia stata proprio la sensibilità comune.
Quale messaggio vuole mandare alle donne che indosseranno gli abiti di questa collezione?
Che si possono sentire libere, tranquille, non costrette. Possono sentirsi sé stesse e conservare la leggerezza, la voglia di giocare e sperimentare, azzardare cose che magari non avrebbero pensato di mettere. Oltre all’allestimento del nastro di trentacinque metri che riempie sinuosamente lo spazio, sul pavimento sono disposti i cinque continenti (Arcipelago, 2000) e il cielo (Palmela, 1999-2002) realizzati da Hirose. Le lastre di vetro sono appoggiate su uova di marmo di colori diversi e sono i colori delle popolazioni. L’idea era quella di creare un allestimento dove al tema della leggerezza, visibile attraverso i nastri e i capi della collezione appesi al muro, si contrapponesse la pesantezza e la gravità della terra. L’effetto finale è quello di una sospensione, un po’ come i vestiti che fluttuano e la terra che rimane sotto i piedi.
Come è nato il progetto?
È nato, in realtà, un po’ per caso. L’archivio Scaccabarozzi aveva visto alcuni dei miei pezzi che, effettivamente, ricordavano alcune opere dell’artista. Allora mi è stato chiesto di creare qualcosa insieme. Abbiamo lavorato molto bene e ho pensato di proseguire su questa linea. Sono seguiti Luca Maria Patella, poi Eugenio Tibaldi, anche lui grande amico, ci siamo divertiti molto. Abbiamo fatto una cosa che avevamo in cantiere da tanto tempo: un vestito con le edicole votive abusive di Napoli. Tibaldi le aveva realizzate su carta traforata, io gli ho proposto: facciamoci un vestito! La difficoltà era quella di farle stampare e intagliare su tessuto. Abbiamo trovato una persona che lavora con i mobili, un intagliatore, che ci ha aiutati con il modello e poi Eugenio l’ha sistemato. Con Manzoni, invece, il lavoro è nato su iniziativa di Rosalia Pasqualino di Marineo (direttrice della Fondazione Piero Manzoni). Io pensavo scherzasse quando me l’ha proposto, mi sono detta: me l’avrà chiesto per gentilezza! E invece, abbiamo iniziato a collaborare partendo dall’impronta digitale dell’artista, che ho fatto riprodurre sui miei abiti attraverso la timbratura a mano. Rosalia vedeva in me e in Manzoni la stessa attenzione per i materiali. Insieme abbiamo fatto ben due collezioni!
VIA LACTEA
Maria Calderara, Satoshi Hirose
www.mariacalderara.it
@mariacalderara
Immagine di copertina: Davide Belotti, Maria Calderara, Satoshi Hirose. Ph. Lorenzo Morandi
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