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Rebecca Delmenico

Realismo pop magico per raccontare la realtà

Gli anni sono volati per quel ragazzo classe 1968 diventato uno dei maestri indiscussi della fotografia: Eugenio Recuenco con uno stile definito “pittorico” e “cinematografico” ha conquistato velocemente il pubblico internazionale per la teatralità e l’ironia dei suoi scatti che raccontano una storia spesso dai risvolti incerti.

Sì, perché l’interesse verso diversi canoni, dal classicismo al barocco passando per il sognante surrealismo e la sfrontatezza del pop, sono un mezzo per cristallizzare una narrazione aperta a diverse interpretazioni o, come dice Eugenio Recuenco, “Le mie fotografie sono un istante che riassume una storia”.

Una storia che attinge a un background ricco e suggestivo che non definisce tanto uno stile, quanto piuttosto un modo di narrare che ha nei dettagli i punti chiave per stimolare l’immaginazione, fornendo allo spettatore gli spunti per un racconto parallelo.

Un vulcano di creatività che lo ha portato a realizzare progetti davvero imponenti, come la serie “365o”, per non parlare del progetto a cui sta attualmente lavorando, “Las mil y una noches”. Non manca il legame con l’Italia, nella collaborazione con Lavazza per il calendario del 2021, dal titolo profetico “New Humanity”.

Un artista che parla della sua visione del mondo, dell’attuale crisi politica come nel progetto “El Hundimento de Trump”. Di questo e molto altro ci parla Eugenio Recuenco in questa esclusiva intervista per “Arte In”.

 

Eugenio Recuento
Eugenio Recuenco, Project: “Las Mil Y Una Noches”, Room Ilustrationes de la infancia, 2008, Ragazza nel letto.

 

Hai studiato pittura ed è evidente dall’uso che fai della luce nei tuoi scatti. Come è nata e si è sviluppata la passione per la fotografia fino farla diventare il tuo medium espressivo?

“Ho studiato Belle Arti. La mia percezione dei colori, della composizione e la mia conoscenza dell’arte in generale si sono formate in quel periodo. Il mio interesse per la moda e la fotografia però è antecedente ai miei studi, tutto è iniziato quando ero più giovane. Avevo persino avviato un laboratorio di fotografia al liceo.

In quegli anni ammiravo fotografi di fama internazionale, poi i miei interessi si sono allargati e ora si potrebbe dire che il mondo intero sia diventato la mia principale fonte di ispirazione.

Mi interessa soprattutto che il mio lavoro sia personale, e forse questo ha più a che fare con l’arte, dove bellezza e concetto si fondono. A volte mi ispiro ai grandi maestri della pittura, ma solo a livello formale. Mi piace poter usare quell’estetica, che è già “accettata”, mandare messaggi diversi, fare trasgressioni visive.

È in questo gioco di creazione di nuovi significati che affiora la cultura Pop, poiché la mia fotografia parla di me e del mio tempo. Quindi, direi che si può descrivere il mio lavoro come un realismo pop magico”.

 

Eugenio Recuenco
Eugenio Recuenco, Project: “365o”, 25 Enero, 2010-2018, Stanza con donna e quadri.

 

L’ idea di arte di Eugenio Recuenco è partecipativa, nei tuoi progetti viene coinvolto tutto il tuo team. Com’è stato lavorare con una squadra così numerosa come quella che si è avvicendato per ”365o”?

“Il tipo di fotografia che faccio richiede il lavoro di una grande squadra perché siamo noi a costruire tutto quello che poi appare nell’immagine. Mi sento come una sorta di regista che cerca di mantenere la sua idea originale durante tutto il processo.

Ma poi solitamente succedono un sacco di cose che rendono la fedeltà totale all’idea praticamente impossibile: per questo, fin dall’inizio, sono aperto a cambiamenti di rotta rispetto all’idea primaria. Affrontando problemi diversi si possono ottenere prospettive diverse. Inoltre, quando si lavora con un team così affiatato come il mio, le prospettive si moltiplicano.

Hai ribadito più volte che “l’immagine prende vita col cuore dello spettatore”. Le creazioni di Eugenio Recuenco racchiudono un’ampia gamma di suggestioni: come riesci a cristallizzare una narrazione in uno scatto? Hai già in testa quello che vuoi ottenere visivamente o è un work in progress?

“Faccio fotografie per esprimere o creare una storia o un significato. Ma nella loro seconda vita, quando diventano opere esposte, le immagini devono dialogare con lo spettatore. Io non voglio interferire in questo dialogo; credo che lo spettatore debba farle proprie. Ecco perché le mie fotografie non raccontano mai una storia chiusa, ma parlano piuttosto di icone ed eventi che lo spettatore deve reinterpretare.

E qui riemerge la cultura pop: lavorare con cose che sono note al pubblico per presentarle in modo diverso o proporre una visione diversa degli eventi e di noi stessi. Quando alludo a eventi passati intendo fare una proposta che si colleghi al presente. Spesso, quando evidenziamo l’assurdità delle azioni quotidiane, sembriamo ironici, ma il fatto è che noi siamo parecchio assurdi!”.

Eugenio Recuento
Eugenio Recuenco, Project: “365o”, 1 Junio, 2010-2018, Statua angelo.

“365o” è un progetto magistrale, che hai iniziato nel 2010 e terminato nel 2018, un calendario, che era nato con un senso, e hai poi acquisito un altro significato, con la pandemia. Vuoi raccontarci la storia di questo progetto tanto fantastico quanto impegnativo?

“365o è il mio primo progetto personale “grande”, contenente 369 fotografie che mostrano il mondo in cui vivo. Il progetto in sé parla della società in cui vivo e del mio ruolo come individuo all’interno di questa società. Gli eventi non sono presentati con precisione storica, ma mostrano i miti o le storie che abbiamo creato collettivamente.

È vero che dopo la pandemia il progetto ha assunto un significato diverso. Con quelle stanze collegate tra loro, è diventato una rappresentazione della reclusione in cui ci trovavamo. Quasi come se lo spettatore potesse diventare una sorta di divinità voyeur e osservare 365 mondi diversi all’interno della stessa realtà che ci stava colpendo”.

“365o” è un progetto complesso, tutte le foto sono state realizzate nel medesimo spazio per aprire diverse narrazioni. Non hai temuto che potesse diventare ripetitivo?

“Al contrario. Dopo tutto questo tempo scopro ancora nuove possibilità che lo spazio ha da offrire. Talvolta mi interessa lavorare con le illusioni spaziali, cerco di moltiplicare lo spazio. Una delle mie immagini contiene questo “trucco”: parte dell’immagine diventa tridimensionale quando la si osserva “fuori fuoco”.

Lo spazio offre tante possibilità quante ne potrebbe offrire un piccolo teatro. E alla fine, un teatro, grande o piccolo che sia, è un luogo dove si racconta una storia. Abbiamo dovuto segnare una scadenza proprio perché non volevo che diventasse una formula”.

Il progetto “Las Mil y Una Noches” mira ad essere ancora più monumentale di “365o”. Si tratterà di 1001 immagini in altrettante stanze, di cui hai cominciato a condividere alcune immagini dalla tua pagina Instagram. Ci parli del progetto, che hai detto tu stesso sarà una cosa “traboccante”, in cui parlerai del nostro tempo, una tua percezione del mondo?

“Non volevo che 365o diventasse una mera formula. Non penso di dover cambiare ciò che voglio comunicare. La varietà delle stanze mi offre diverse possibilità e modi di affrontare i temi. Ma anche la libertà di esplorare diversi modi di fotografare a seconda della stanza in cui mi trovo.

Inoltre, il modo in cui saranno esposte e la postproduzione cambiano a seconda della stanza. I problemi vengono affrontati da una prospettiva personale, ma questo significa solo che il narratore è un individuo che appartiene a una società specifica.

Ci sono stanze dove immagino un Nuovo Ordine Mondiale, in un’altra esploro la linea sottile che separa il sesso dalla pornografia, o parlo del potere delle donne, o delle nostre paure e delle nostre ansie. È importante rimarcare che sto proponendo un modo specifico di esporre tutte le opere nel loro insieme.

Una sfida per questo progetto è sicuramente trovare la persona disponibile a farlo. Sono consapevole che alcune delle mie opere sono parecchio sconvolgenti per alcune culture, questo sarà probabilmente un altro problema”.

Ami la sfida, i tuoi progetti necessitano di tempo, anche un solo scatto può richiedere mesi, sei lontano dalla frenesia di un mondo che corre veloce, il mondo frenetico dove fai qualcosa e vuoi avere riscontro immediato, il famoso like. Le tue opere non cercano la “facile lode”, rifuggi la mancanza di sforzo creativo e la sterilità che purtroppo campeggiano nella contemporaneità. Stiamo andando verso una deriva abulica della creatività o possiamo salvarci?

Il problema è, secondo me, che per un artista è molto facile autocompiacersi quando trova una formula che funziona. Lavorando a “365o” pensavamo che ci sarebbero voluti circa tre anni e siamo finiti per impiegarne otto. Ho scoperto che il tempo è una risorsa importante per chi vuole scavare a fondo nel proprio lavoro, e ora so che è bene che non abbiamo finito “365o” più rapidamente.

Il progetto mi ha portato in posti che non avrei mai potuto immaginare, posti a cui non sarei mai arrivato se non ne avessi avuto il tempo. Per me, questa è una posizione che si può applicare a tutta la vita in generale. Ovviamente è bello sapere che quello che stai facendo ha delle ripercussioni, ma non è l’obiettivo principale del mio lavoro, né lo rende più importante.

Nel momento in cui vai a letto capisci che ci sei solo tu e il tuo lavoro, mentre il numero di “mi piace” non dovrebbe giocare alcun ruolo nella tua analisi; in caso contrario finiresti per lavorare per il pubblico.

Purtroppo viviamo in un’epoca in cui il fallimento è malvisto. Questo genera paura e distrugge la creatività. Dobbiamo lavorare per evitare tutto questo, ma temo che ciò sia oramai impossibile in una società così rapida.

Come è stata l’esperienza di Eugenio Recuenco con i calendari Lavazza?

“Ho avuto la fortuna di collaborare con Lavazza diverse volte. L’immagine per il calendario del 2021 è stata creata in un periodo in cui c’erano molte restrizioni, il vaccino era nelle sue fasi iniziali e ci sentivamo tutti confusi e spaventati. Si pensava molto a come ci relazionavamo con gli altri e con il nostro ambiente. Nella mia immagine viene mostrato questo strano periodo, si cerca di riflettere sulle relazioni umane.

La donna sulla destra è desiderosa, guarda qualcuno che non può toccare perché c’è un vetro in mezzo. L’ombra rappresenta la speranza che i due si riuniscano presto. Sul tavolo c’è una radio che rappresenta il desiderio di comunicazione. Attraverso la finestra guarda il sole, la natura, e tiene una tazza non usa e getta. La donna a sinistra dell’immagine ha invece una tazza di plastica e il resto degli oggetti sul suo tavolo parlano di fast food e consumismo.

Non guarda nessuno e si guarda indietro rispetto a tutti gli altri, rispetto al mondo che vediamo fuori dalla finestra. L’Union Bar è una rappresentazione del nostro mondo. Dobbiamo scegliere adesso come sarà il nostro futuro.

Nei tuoi progetti il mondo femminile è protagonista. Come vivi la figura femminile nelle tue opere?

“La figura femminile è diventata protagonista nel mio lavoro. La parte maschile è già troppo presente nella mia vita quotidiana: è il mio ruolo e devo sopportarlo. Il mondo femminile, invece, è sconosciuto e affascinante per me. Mi invita a usare la mia immaginazione con libertà”.

Il progetto “El Hundimiento de Trump” è una metafora per immagini dello sfacelo della politica di Trump. Come hai sviluppato in immagine quello che volevi narrare? Le immagini sono come una sequenza e alla fine una bella ragazza con la bandierina americana, seducente come lo sono le tue donne, posa sulla testa di Trump ormai del tutto inghiottita dalle onde…

“La sequenza si apre con la testa di Trump sotto una maschera. La maschera del famoso pugile messicano El Santo, niente di meno. Nell’immagine successiva vediamo Trump come è realmente. È circondato da messaggi in bottiglia, alcuni molto critici, altri di sostegno. Questi messaggi ci sono stati inviati dai nostri follower su Instagram, ai quali abbiamo chiesto di partecipare al processo creativo.

Da allora, vediamo il suo disprezzo per l’ambiente, come mostra l’immagine con la sua testa coperta di plastica; le relazioni con Cuba e infine la sirena di Copenhagen. Una volta Trump ha twittato la seguente frase: “La Danimarca è un paese speciale e vi abitano persone meravigliose, ma dato che il primo ministro Mette Frederiksen ha dichiarato che non vuole parlare dell’acquisto della Groenlandia, rimanderò il nostro incontro”. Ed eccola lì, seduta sul suo ciuffo”.

La pandemia di Covid è stata capitale per la storia di tutta l’umanità, il virus ci ha privato di qualsiasi certezza e ancora non abbiamo idea di come andrà la storia. L’umanità secondo Eugenio Recuenco si è rivelata solidale o ha mostrato il suo lato peggiore?

”Non credo che l’umanità sia cambiata in modo significativo. Questo virus si è preso molte vite e molte certezze, eppure il mondo che speravamo di trovare dall’altra parte è lo stesso di prima, con le stesse disuguaglianze e le stesse ingiustizie. Potrebbe sembrare che questi due anni siano stati lunghissimi, ma in realtà non abbiamo subìto il trauma che per esempio porta una guerra.

Non abbiamo visto i morti, solo dei numeri. Abbiamo cercato di vivere una pandemia così “piacevole”, con così poche rovine visibili, che probabilmente non abbiamo compreso la necessità di intervenire con azioni globali, che stiano al di sopra degli interessi nazionali ed economici. A livello individuale, potrebbe esserci stato un cambiamento maggiore. Credo che ora stiamo meglio, anche se siamo stressati e irascibili.

Spero che questo cambiamento si trasferisca ai nostri leader politici, economici e religiosi, e spero che questo accada finché siamo ancora in tempo”.

 

 

 

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