Fotografo e docente presso il CSIA di Lugano, Carlo Rusca si muove in quel territorio complesso e sfumato in cui la fotografia diventa specchio della memoria, sospensione temporale e costruzione poetica.
Nei suoi progetti, l’architettura e gli spazi cittadini si trasformano in scenari interiori, luoghi interrotti, in attesa di eventi che non arrivano mai. Alcune sue immagini, per la loro atmosfera sospesa e silenziosa, richiamano la pittura metafisica, con piazze deserte, prospettive nette e ombre enigmatiche che evocano più domande che risposte. Al tempo stesso, la precisione quasi clinica con cui Rusca osserva certi dettagli urbani sembra dialogare con la Nuova Oggettività, dove lo sguardo documentario si carica di una tensione emotiva sottile. Ne emerge un linguaggio che oscilla tra il rigore dell’osservazione e la vertigine dell’immaginario, capace di trasfigurare Locarno o altri contesti quotidiani in archetipi universali della città contemporanea.
Con Turistica, edito da Witty Books nel 2020, Rusca elabora Locarno e dintorni come paradigmi del paesaggio urbano: dimensioni rarefatte e introspettive che trascendono il dato geografico per farsi immaginario universale.
Il suo lavoro si inserisce nella tradizione dei fotografi che hanno fatto del libro cartaceo il centro della propria ricerca, da Luigi Ghirri a Guido Guidi, passando per esperienze più recenti come quelle di Rafal Milach o Clara Chiliberti, dove il fotolibro diventa non solo supporto ma opera autonoma. Per questo Carlo Rusca dimostra un’attenzione particolare alla fisicità della carta e alla costruzione narrativa che la stampa rende possibile, ponendosi in dialogo con l’ampio panorama dell’editoria indipendente.
Accanto alla sua pratica artistica, Rusca si dedica con passione alla docenza, cercando di condividere con le nuove generazioni non solo strumenti e tecniche, ma soprattutto la capacità di guardare alle immagini con curiosità e consapevolezza.
In alcuni tuoi scatti la notte e la memoria sembrano protagoniste silenziose. Cosa rappresentano per te e come influenzano il tuo modo di fotografare?
Ho un rapporto molto speciale con la notte: è uno dei momenti in cui riesco a lavorare meglio. Più che un tema, per questo progetto si è trattato di una comfort zone. Turistica nasce proprio così, nei momenti liberi – lasciandosi la giornata alle spalle – in luoghi della mia infanzia che in fondo non sono luoghi, ma vie di passaggio in un tempo sospeso. Una sorta di attesa che ha preso corpo nel mio lavoro, che in fondo parla proprio di un posto che attende che succeda qualcosa.
La memoria invece è un tema che mi interessa molto e sul quale torno spesso, perché appartiene a quell’immateriale che – anche se solo percepito – fa parte di una ricerca che spero sempre di ritrovare nei miei scatti. In fondo, il ricordo stesso è immateriale: la rappresentazione che ne resta è solo un riflesso, una traccia che però tutti percepiamo, ed è proprio questo ad affascinarmi.
Per la stampa di Turistica hai collaborato con Witty Books. Come hai vissuto questa esperienza editoriale e cosa ti ha lasciato?
L’idea di trasformare questa ricerca in un libro si è sviluppata con il tempo, e probabilmente è stata la fortuna di Turistica, perché nel frattempo le foto hanno viaggiato off- e online, tra esposizioni e social media. Ho avuto pertanto la fortuna di essere contattato da diversi editori e di potere scegliere la linea editoriale.
La sorte ha giocato un ruolo importante in questo caso. Nonostante il periodo storico complicato (si è stampato in pieno periodo Covid), con Witty Books mi sono sentito subito a mio agio; in particolare con Federico Barbon, disegnatore grafico, è nata un’intesa molto forte, trasformata in una bella amicizia che dura ancora oggi. È stato sicuramente il regalo più grande di questa avventura editoriale.
La fotografia oggi vive soprattutto sul digitale. Che valore hanno, per te, la lentezza e la fisicità della carta? Ti interessa anche l’autoproduzione – fanzine, edizioni artigianali – o preferisci dialogare con case editrici indipendenti?
Attualmente lo scopo dei miei progetti è proprio quello di confluire in libri fotografici. Detto ciò, gli aspetti formali si sviluppano come idee in itinere: io mi concentro unicamente sull’immagine, sulla coerenza tra contenuto e forma, sul colore, e soprattutto sulla narrazione.
Replicare le immagini su carta significa dare loro una dimensione spaziale, nonché aggiungere tutti quegli elementi che ne amplificano la narrazione rendendola più concreta. La vera difficoltà sta nel sostenere le immagini – o le sequenze – che richiedono più chiavi di lettura per essere comprese, valorizzando con interventi minimi le immagini più forti e portanti del progetto. Per questo motivo è essenziale collaborare con un grafico editoriale che comprenda bene il mio sguardo e con il quale io possa entrare in sintonia.
Sono molto appassionato di libri fotografici e li colleziono. Credo che i riferimenti visivi siano fondamentali per una buona ricerca, che a sua volta è necessaria per arrivare a un risultato finale di qualità. La carta giusta conferisce infine carattere all’intero progetto o, come in Turistica, genera una fruizione alternativa rispetto all’esperienza espositiva.
Solo con il libro è possibile instaurare un’intimità unica con chi guarda; la sua dimensione determina la giusta distanza, obbligando il lettore ad avere un appoggio o a stringere il volume a sé per vedere bene i dettagli. Si tratta di una struttura narrativa esclusiva e inimitabile dal digitale e proprio per questo la amo così tanto e, come me e per fortuna, anche un vasto pubblico di appassionati.

Sei fotografo, filmmaker e docente al CSIA di Lugano. In che modo queste tre identità dialogano tra loro?
L’insegnamento è arrivato molto presto nella mia vita ed è stato folgorante: l’ho amato fin da subito, soprattutto per lo scambio unico che si instaura con gli studenti. Oltre a ciò, per la necessità costante di aggiornarsi, studiare e scoprire nuove cose. Nella mia professione fuori da scuola, la fase di ricerca è tra quelle che mi impegnano e mi entusiasmano maggiormente. In questo senso, capita spesso che l’attività come fotografo e la pratica di insegnante si alimentino e comunichino.
Ai tuoi studenti trasmetti l’amore per un approccio riflessivo all’immagine. Qual è, secondo te, la qualità più importante che un/a giovane fotografo/a dovrebbe coltivare oggi?
Per me è molto importante che gli studenti, di fotografia o cinema, sviluppino una sana curiosità per la materia, per l’immagine e per tutto ciò che la circonda. L’interesse è alla base della ricerca e, a mio modo di pensare, anche di un buon progetto e del suo sviluppo creativo. Se anche solo in parte, oltre alla tecnica e alla forma, riesco a trasmettere curiosità, so che sto facendo qualcosa di buono.
Guardando indietro, quali incontri o momenti hanno segnato maggiormente la tua evoluzione come fotografo?
Sicuramente è stata determinante la mia infanzia con una mamma molto appassionata di arte e mostre. Poi la scuola di cinema e il cinema in generale, uno dei grandi amori della mia vita. Ricordo la prima volta che vidi Il deserto rosso di Antonioni: rimasi un’ora a pensarci prima di rivederlo subito dopo.
Un altro momento fondamentale fu la mostra di Araki, Love and Death, al Museo d’Arte di Lugano nel 2011. Fui folgorato da quella fotografia che per me era completamente nuova e rimasi così tanto tempo all’interno del museo da preoccupare i miei genitori.
Sono stati momenti che hanno segnato profondamente la mia formazione, così come tutte le persone che ho incontrato: amici, docenti e altri fotografi. Sarebbero troppi da elencare, ma è grazie alla loro empatia, passione e gentilezza che oggi faccio quello che faccio.
Dopo Turistica, quali sono i progetti futuri che senti già in gestazione? Pensi ancora ai tuoi lavori con un approdo cartaceo, o immagini pure forme diverse: installazioni, cinema, web?
Proprio a luglio ho concluso un progetto sui fenomeni UFO nel sud della Svizzera. Ci ho lavorato per tre anni, pensando fin da subito che sarebbe diventato un libro fotografico, e credo che anche le prossime idee (comprese quelle già in gestazione) continueranno in questa direzione, perché i fotolibri mi piacciono davvero tanto. Per quest’ultimo, ho pensato di dedicare alcune immagini alle diverse parti che comporranno questo tipo di pubblicazione; quindi non solo l’arco narrativo principale – magari più adatto a un’esposizione – ma pure inserti, immagini per i risguardi e piccoli particolari, che faranno la differenza.
Immagine di copertina: Turistica, edito da Witty Books nel 2020, Carlo Rusca – Courtesy l’artista
Abbonati qui ad ArteiN per poter accedere ai contenuti esclusivi!