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Francesco Boni

Il tema centrale di questo numero è il linguaggio. Quell’istinto inevitabile e vitale che, in forme ed espressioni diverse, unisce tutti gli esseri viventi. Nella nostra specie, soprattutto, si è sviluppato seguendo percorsi particolarmente articolati: dal segno primigenio, fino alle espressioni musicali, pittoriche, poetiche, letterarie o addirittura matematiche.

L’uomo è, dunque, essere comunicativo per antonomasia. Vive lo scambio delle idee come un bisogno intrinseco e qualificativo della specie. Comunicare è per noi qualcosa di innato. Indagando sul contenuto del nostro dialogo continuo con il mondo, scopriamo che essenzialmente abbiamo bisogno di parlare con noi stessi. Del nostro io, dei nostri pensieri, dei desideri, delle colpe, delle paure nascoste nel nostro inconscio e della nostra stessa fine individuale.

Ecco allora il valore dell’arte, del tratto e della pittura come mezzo primario in assoluto per realizzare questa necessità. È il gesto che ci permette di gridare al mondo “Io esisto!”, di condividere le emozioni o – almeno – provarci. Lo strumento più diffuso per comunicare è ovviamente il dialogo, anche se spesso alla parola si aggiunge il gesto, per rendere più esplicito un pensiero. Se davvero si vuole raggiungere una visione più ampia e completa, però, è assolutamente necessario conoscere e adottare il “linguaggio dell’arte”, nelle sue molteplici ed esaustive espressioni. L’arte ci fornisce un “codice”, ci rende comprensibili anche per coloro che parlano lingue diverse, provengono da culture diverse. Un dono dal valore inestimabile, specialmente oggi che ci apprestiamo a vivere (o forse già ci siamo dentro) l’era del “villaggio globalizzato”. C’è anche un rischio, in tutta questa bellezza: quello di confondere e accettare come comunicazione positiva determinate ricerche, molto di moda nelle cosiddette avanguardie, che creano in realtà linguaggi personalizzati e autoreferenziali, non decodificabili dal destinatario. In questi casi il significato può arrivare in modo ambiguo al lettore, soltanto parzialmente comprensibile, spesso univoco. Come un’ombra, a coprire la luce.

 

linguaggio
Hendrik Van Lint, 1750, particolare.

 

Alcune forme artistiche, se portate all’eccesso, si risolvono dunque in una non comunicazione. Falliscono nella loro missione principale, pur essendo perfettamente spiegabili nell’ambito di posizioni filosofiche, consequenziali a ideologie precostituite. È il caso, per esempio, delle famose “pagine bianche”, così come di molte altre forme di espressione in grado di generare veri e propri cortocircuiti concettuali, siano poetiche, pittoriche, musicali o letterarie. Un processo fortemente condizionato dal momento che stiamo vivendo, quello della dissoluzione della forma in funzione del predominio dell’elemento soggettivo, in nome della libertà individuale dell’artista.

Crediamo che ciò possa essere corretto e vero sulla base della nostra stessa formazione, rimanendo aggrappati al pensiero di Hegel. Personalmente, allo stato dei fatti, ho molti dubbi sul divenire: la sempre più massiccia educazione globale, legata a doppio filo alla frenetica evoluzione del sistema finanziario imperante, produrrà in quantità costantemente maggiore codici di lettura condivisi dalle masse, educate al pensiero collettivo. Il rischio concreto, dunque, è che ciò che era nato come uno scambio, possa trasformarsi in annullamento della coscienza.

Ciò che doveva essere evoluzione, si trasformi nel suo esatto opposto. “È meglio essere ottimisti e avere torto, piuttosto che essere pessimisti e avere ragione”, diceva Albert Einstein. E allora è giusto credere che tutto ciò non impedirà mai al grande artista di coniugare i due elementi che lo hanno da sempre reso universale nella sua opera: prima l’idea, poi la tecnica attraverso cui dare una forma al contenuto. Oggi, purtroppo, domina il principio della commercializzazione.

La tendenza forte è quella di creare una strettissima connessione tra il pensiero dell’artista e la possibilità concreta di pubblicizzazione di un prodotto, con la finalità estrema di rendere tutto tangibile.

È la strada giusta? O piuttosto un mezzo inventato dagli operatori di mercato per diffondere nel pianeta un valore mercantile, ma nella sostanza fittizio? Mi fermo qui… pensando ad Einstein!

 

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