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Paolo Sciortino

I musei alla prova del cambiamento.

Il futuro? Una galleria in ogni casa

Tutto andrà bene. Niente sarà più come prima. Vale la pena di ricordare i mantra dei primi mesi dell’Era Covid (di Era si tratta, non di una pioggerella passeggera), perché oggi, a quasi due anni ormai dall’avvento di Covid, possiamo farne un sincretismo: tutto andrà bene perché niente sarà più come prima. Prendiamo l’arte e i suoi derivati, e concentriamoci su uno di essi: i musei.

Di gallerie, collezionisti e tendenze abbiamo detto già, ancora diremo. Ma loro, i sacelli della fruizione collettiva del Bene e del Bello (anche se ogni tanto è osceno e ributtante), i ricoveri pubblici dei capolavori, le teche della sapienza e dello spirito destinate all’uso pubblico, come sono cambiati? Come cambieranno? Ogni cosa umana è in trasformazione oggi, una trasformazione certamente magnifica e progressiva, ma solo se ogni cosa abbandonerà un’abitudine, uno status quo ante quem, solo se vorrà superare sé stessa e portarsi oltre le barriere del progresso. Solo facendo il salto della quaglia ogni cosa umana migliorerà, adattandosi all’antropocene culturale incipiente, già manifesto e prossimo venturo.

Tanto vale pure per i musei, oggetti e soggetti dell’inchiesta presente, emblemi contemporanei della democrazia dell’arte da appena tre secoli. Dunque neonati, per la storia dell’uomo, e affetti oggi dalle malattie dell’infanzia. I luoghi della conservazione, della ricerca, dello studio e della trasmissione dell’arte sono rimasti chiusi per una grave flenigione, che ha ammorbato e tuttavia incrosta minacciosa i nostri destini. Ma da poco si sono riaperti i battenti, rientrano visitatori ancora sparuti, timorosi, consapevoli e cauti, ma vogliosi di stare ancora in compagnia del prodigio irrinunciabile dell’arte, antica, moderna e contemporanea. 

Michal Pudelka, Chiara Ferragni agli Uffizi, 2019, servizio fotografico realizzato per “Vogue Hong Kong”. Courtesy ©Vogue Hong Kong. La foto è esposta al Mart di Rovereto nella mostra Botticelli il suo tempo. E il nostro tempo, aperta fino al 26 Settembre.

In questa rassegna parlano i protagonisti, gli operatori, i fautori e i responsabili del nuovo corso che sta prendendo la storia dell’arte pubblica, tra entusiasmi revanscisti e reticenze sanitarie, suggestioni stravaganti e innovazioni ponderate, tra realismo e virtualismo, tradizione e rivoluzione, insomma. Una rivoluzione va fatta. Altrimenti nulla sarà come dovrà essere, dal momento che nulla è più come prima.

Ci sarà spazio per una mediazione tra il fisico e il virtuale? Sarà l’ibridazione del contatto tra lo spettatore e l’arte tale mediazione? A chi scrive queste note fa piacere condividere la speranza di un mondo migliore dove humanitas sarà alleata di technè, e insieme partoriranno le nuove virtù che abiteranno la Terra in armonia. I musei si stanno attrezzando al fine. Oggi si stanno facendo prove meritorie e probe di “delocalizzazione”, di “prossimità”, di “programmazione alternativa” e di “offerta alternativa della fruizione”. 

Forse, un giorno più pacifico dei presenti giorni, avremo un museo in ogni casa. E forse davvero, non dentro un monitor, ma dentro un androne.

musei

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