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Una nuova critica per la Crypto
IVAN QUARONInft

Se ne è parlato e scritto molto. Il nuovo hype è la Crypto Art, insomma l’arte digitale che si acquista con le criptovalute (Ethereum soprattutto) su piattaforme come SuperRare, Nifty Gateway, Rarible, Opensea, Hashmasks o Foundation.

Un’arte che esisteva già, ma era completamente, o quasi, ignorata dal sistema mercantile tradizionale in ragione della sua immaterialità.

Si tratta, infatti, di opere fatte solo di immagini, animazioni, GIF o brevi video che i collezionisti non possono usare per arredare il proprio salotto, ma che possono comunque essere esposti in gallerie virtuali come, ad esempio, quella che si trova sull’app di The Nemesis. Nel migliore dei casi è un’arte nativa digitale, realizzata con software e strumenti di elaborazione delle immagini come Photoshop o Cinema 4D, nel peggiore dei casi è arte analogica, come un quadro, una fotografia o una scultura digitalizzati e trasformati in NFT.

L’NFT (Non Fungible Token) è un sistema crittografico che consente di fornire prove di autenticità e proprietà dell’arte digitale. La portata innovativa di questo sistema consiste nel prevenire falsificazioni di ogni tipo. Un NFT potrà anche essere copiato, ma le sue informazioni, fissate nella blockchain – una sorta di registro digitale delle transazioni in criptovaluta – non possono essere alterate. L’elemento più rivoluzionario dell’ondata di Crypto Art riguarda, però, l’accorciamento della filiera di vendita che ha portato gli artisti a diretto contatto con i collezionisti, cancellando la mediazione economica e culturale rappresentata da galleristi e curatori.

Tuttavia si può, semplificando, affermare che una mediazione esiste ancora, quella delle suddette piattaforme di vendita, che però si accontentano di percentuali assai minori su ogni transazione rispetto a quelle applicate nel mercato tradizionale. In molti credono che questa rivoluzione, tagliando fuori gli elementi ingiustamente considerati parassitari e che costituivano la “catena del valore” attraverso le strategie di posizionamento e l’elaborazione critica e documentaria, abbia restituito centralità alla figura dell’artista. Mi sembra una visione piuttosto naïve, che consegna nelle mani delle piattaforme e dei collezionisti l’intero sistema di validazione della qualità artistica. Basta una rapida ricerca per capire che molte delle opere presenti in questo nuovo mercato sono nient’altro che collectibles, l’equivalente digitale delle figurine Panini o delle carte dei Pokemon. Inoltre, nella crescente marea di cryptoartisti è facile trovare musicisti, attori, personaggi dello spettacolo e influencer (o imprenditori digitali, come preferiscono farsi chiamare), il cui unico valore è la notorietà, cioè il capitale di follower guadagnato su Instagram, Twitter, TikTok o Youtube che oggi possono tradurre in merce virtuale da scambiare in Ethereum.

Questo non squalifica, però, l’intero comparto, in cui si trova un’incredibile quantità di artisti bravi o interessanti, ma rende molto difficile orientarsi al suo interno. Per trovare la bussola bisogna, infatti, familiarizzare col gergo strettamente tecnico della Crypto Art, imparare a capire come e dove trovare artisti bravi e, per coloro che hanno velleità collezionistiche, capire come acquistare un’opera NFT, una faccenda niente affatto semplice. Ora, immaginiamo di aver risolto, con un po’ di pazienza e l’aiuto di qualche amico smanettone, parte di questi ostacoli, resta il problema del criterio di giudizio. Quando un’opera di crypto art è buona? Come faccio a conoscere la ricerca di un artista e a capirne le intenzioni se tutto quel che si trova sulle piattaforme e perfino sui siti personali non sono che brevi e laconiche descrizioni?

I numerosi articoli sull’argomento spesso si limitano a sottolineare la portata rivoluzionaria di questo nuovo mercato, snocciolando cifre e record d’asta come nel caso dei 69 milioni di dollari totalizzati da Christie’s per la vendita di Everydays: The First 5000 Days di Beeple.

Manca, invece, una letteratura che sappia interpretare in termini artistici, critici, estetici, stilistici (ma anche politici e sociologici) il valore di opere che sembrano ricollegarsi più all’immaginario fantascientifico del cyberpunk o a quello di subculture della rete come Vaporwave e Retrowave, o a quello popolare di fumetti e cartoni animati, piuttosto che non alle evoluzioni della storia dell’arte. Ora, sono convinto che l’unico modo per costruire una documentazione sia che la critica e il giornalismo inizino a occuparsi non del fenomeno, ma dei singoli artisti, delle loro grammatiche, delle loro genealogie culturali, delle ricorrenze e iterazioni che caratterizzano le loro ricerche. Solo così sarà possibile tracciare una mappa e costruire una geografia di questo variegato, multicentrico universo che – ho la netta impressione – è tutto fuorché una moda passeggera o un temporaneo trend della stagione pandemica.

 

È ora di fare il salto di qualità

GIANLUCA MARZIANI

Mentre il motore del digital art market prende velocità, cresce l’esigenza che esprime qualsiasi mercato davanti a un’adesione macroscopica, ovvero, come maneggiare lo tsunami di opere digitali per filtrarle sui mercati verticali delle criptovalute?

In parole semplici, servirà passare dalla quantità alla qualità, gestendo la Crypto Art dentro un contesto critico e curatoriale. La crescita degli NFT scinderà il mercato mondiale in due direzioni connesse: da una parte opere tangibili che, pur muovendosi nei mercati analogici, si adatteranno al tema blockchain; dall’altra opere digitali che si limiteranno ai flussi esclusivi delle valute parallele. In questa doppia elica si sta formando il primo genoma culturale che integra solido e liquido in forma omogenea. Le piattaforme di compravendita, per aumentare il peso qualitativo, dovranno dotarsi di curatori per la selezione in entrata, ragionando sui filtri da applicare e sulla gestione per temi, contesti e caratteri specifici; si dovrà pensare ai nuovi modelli espositivi, ai nuovi sistemi di fruizione, ai custom device con cui gestire i lavori, ai necessari dialoghi con le opere solide.

Soprattutto, saranno i contenuti a generare nuove estetiche, formando non solo sguardi ma pensieri, fratture, riflessioni, antagonismi.

Il mondo digitale diventerà adulto se prenderà il meglio della filiera esistente, ragionando sull’arte come fosse un processo storico senza interruzioni, metabolizzando le avanguardie del Novecento, cercando dialoghi e non fratture con la Storia. Dalla continuità nascerà l’evoluzione della specie (post)umana.

 

Finanziarizzazione dell’arte

ANGELO CRESPI

Una premessa: l’utilizzo della blockchain permette di avere certificati di originalità delle opere d’arte inattaccabili.

Si risolve così uno dei problemi che assillano i collezionisti: i falsi. Viene inoltre certificato il prezzo dell’opera e gli eventuali rialzi o ribassi. L’utilizzo della blockchain permette poi di tokenizzare le opere d’arte, cioè dividere l’opera in un certo numero di token, ognuno dei quali è legato all’intero, ma spendibile singolarmente.

I token sono le azioni di un’azienda che si chiama opera d’arte. I token possono essere scambiati sulle piattaforme di exchange, mediante cryptocurrencies, salire e scendere, e dunque avere una vita propria e valori propri rispetto al bene a cui rimandano.

Questo meccanismo, che alcune piattaforme online già propongono ai clienti, aumenta la finanziarizzazione del mercato dell’arte, ma con più trasparenza. E quindi anche il piccolo investitore, scommettendo pochi euro su un art-token, può partecipare alla valorizzazione di un’opera multimilionaria.

Molto diversa, invece, la questione degli NFT così di moda in questi mesi. I token-non-fungibili sono azioni di un’opera d’arte digitale, talvolta essi stessi sono l’opera.

Il sottostante degli NFT, infatti, spesso non c’è o ha poco a che fare con l’arte. Essi sono la definitiva smaterializzazione e finanziarizzazione dell’arte, per un futuro in cui l’unico gesto artistico sarà la speculazione, far salire il prezzo di una robina, tipo Beeple, a 69 milioni di dollari per comprarsi qualche pixel mal confezionato.

 

Ma l’arte rimarrà materiale

ALBERTO DAMBRUOSO

È ormai noto il caso della crypto-opera di Beeple battuta da Christie’s alla sbalorditiva cifra di 69 milioni di dollari, stabilendo il terzo miglior risultato di sempre per un artista vivente. Nonostante Beeple sia diventato una star, se si leggono le sue interviste, non si potrà non rimanere stupiti dal fatto che lo stesso lamenti di possedere scarse competenze artistiche e di voler migliorare dal punto di vista tecnico.

Nulla di male, anzi è positivo che gli artisti abbiano il desiderio di fare sempre meglio, ma sentire un artista affermare di non avere la benché minima idea di che cosa sia l’Espressionismo astratto sa, almeno ai miei occhi, di tanta pressappocaggine.

C’è chi sostiene, e tra questi anche il sottoscritto, che questo tipo di “arte” basata sul nulla se non sull’economia, sarà destinata ad essere presto dimenticata, ma vi sono anche molti appassionati di arte digitale pronti a scommettere che questa sarà invece l’arte del futuro. Uno dei pionieri della Crypto art, l’irlandese Kevin Abosch, che ha venduto negli ultimi due anni opere per circa 95 milioni di dollari sul sito Opensea, sostiene che questa sia la nuova

rivoluzione dell’arte, destinata a cambiare definitivamente il modo di concepire il possesso dei beni artistici, i quali non saranno più incentrati sul possesso fisico degli stessi.

Uno che di affari nell’arte se ne intende è l’ex bad boy della Young British Art Damien Hirst che, recentemente, ha dichiarato che metterà in vendita The Currency Project, una serie composta da diecimila dipinti, ognuno dei quali accompagnato dalla sua firma NFT.

Siamo dunque arrivati alla famigerata fine dell’arte? La smaterializzazione che ne deriverebbe segnerebbe la scomparsa dell’opera d’arte quale oggetto fisico. Avrà ancora senso parlare ad esempio del colore oppure della materia per descrivere un’opera d’arte? Cosa si andrà a vedere dentro ad una galleria o in un Museo? Solo una moltitudine di monitor nei quali possiamo godere le opere di questa nuova era dell’arte immateriale?

Spero di non sbagliarmi, ma dubito che questa rivoluzione possa effettivamente realizzarsi. È dalla notte dei tempi che l’uomo ha manifestato la sua esistenza lasciando delle tracce materiali del suo passaggio su questo mondo e credo che finché l’uomo ci sarà l’arte avrà sempre bisogno di manifestarsi attraverso gli strumenti a lei propri. Non mancheranno, come d’altronde non sono mai mancate anche nel passato, le innovazioni tecniche che porteranno

alla nascita di nuove forme d’arte, ma la totale sparizione dell’arte in quanto manufatto mi sembra pura fantascienza.

 

 

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