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Oliviero Toscani – L’arte di osare

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Artista situazionista colorista. E anche scrittore fantasista di efficace presa. Alla soglia degli anni Ottanta – proprio nel senso anagrafico, intendiamoci – Oliviero Toscani si festeggia con una autobiografia (Ne ho fatte di tutti i colori – Vita e fortuna di un situazionista, La Nave di Teseo) molto ben scritta, dove ne dice anche, come al solito, di tutti i colori.

Per esempio la politica, che in questa edizione di “Arte In” mettiamo a confronto con l’arte: “bella (la politica), ma da lontano”, è uno dei capitoli del libro.

 

Oliviero Toscani
Oliviero Toscani, servizio per “Elle Francia”, Relazioni sessuali fra giovani, 2014. Courtesy ©Oliviero Toscani.

 

C’è un impegno della fotografia che è anche impegno politico?

“Qualsiasi immagine ha un valore sociopolitico. Anche una cartolina ha un contenuto sociopolitico. Per esempio il golfo di Napoli, può essere il primo piano del pino marittimo e lo sfondo di Castel dell’Ovo, del mare blu e del Vesuvio, ma ci può essere anche una cartolina di Napoli che è una montagna di spazzatura in mezzo alle macerie. Entrambe hanno un contenuto sociopolitico, dico da lontano perché come individuo sono lontano dai politici”.

Eppure è anche capitato che Oliviero Toscani abbia fatto l’assessore a Salemi, ed è nota la simpatia e la collaborazione artistica con il partito Radicale, in anni più remoti.

“Si, ho fatto l’assessore alla Creatività a Salemi ma è stato un disastro. Invece è stato Marco (Pannella, ndr), il mio fratello maggiore, a essere un grande visionario. Il tempo gli sta dando ragione”.

La pandemia e la campagna di vaccinazione hanno aperto un dissidio sulla questione della libertà, alcuni artisti hanno manifestato e rappresentato ragioni opposte a quelle dominanti. Hanno ragione anche loro?

“Io sono stravaccinato. Anzi, se ci sarà la quinta faccio anche quella. È fantastico il vaccino, non capisco il contrario, gli artisti che non si vaccinano. Ma ci sono tante ragioni e sono ragioni. Però io non vedo tanto una relazione politica sulla questione No vax e No pass. Certo, Speranza ha un po’ la faccia da pompe funebri, ma mi piace con quella faccia lì. È uno dei pochi che lo vedi che è serio. Non sarebbe neanche capace di prendere in giro”.

 

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Oliviero Toscani, servizio per “Elle Francia”, Chirurgia estetica, 2005. Courtesy ©Oliviero Toscani.

 

Che senso ha l’autodefinizione di situazionista?

“Mi hanno sempre impressionato quelli che si fanno chiamare direttori creativi, direttori artistici, quelli che dicono: ‘adesso dobbiamo trovare un’idea’. Se dicono così vuol dire che non ne hanno di idee”.

Dunque ogni artista è situazionista, nel senso che assorbe e determina situazioni?

“Appunto. L’artista non cerca le idee, fa semplicemente ciò che si sente di fare, reagisce a ciò che lo circonda, al destino che lo segue e lo prevarica. Io per esempio non ho idee, vedo un problema e dal problema viene fuori un’analisi e dall’analisi una critica, e la critica è l’idea. Ho sempre lavorato così, non mi pongo neanche il problema di essere creativo. Non posso essere meglio di quello che sono, la creatività è una reazione della tua sensibilità a ciò che ti circonda. Tutto qua. Questo è situazionismo”.

In questo senso è stato dunque facile e naturale convertire la pubblicità in arte?

“Io non ho mai fatto pubblicità, non ho mai detto che un maglione è bello o che un’automobile è potente, non ho mai lavorato con agenzie di pubblicità perché mi stanno sui coglioni. Le agenzie di pubblicità sono tutto fuorché qualcosa di creativo. Sono l’ultimo posto dove un giovane deve andare a lavorare”.

 

 

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Oliviero Toscani, Campagna United Colors of Benetton, 1989. Courtesy ©Oliviero Toscani.

 

Ma allora i jeans, i maglioni, i colori Benetton?

“Ho fatto la pubblicità utilizzando i mezzi dell’arte. Mi sono chiesto: dove posso essere pubblicato nelllo stesso giorno su tutti i giornali del mondo? Ecco, facendo pubblicità”.

Un mezzo che ha giustificato il fine, insomma.

“Esatto. Ma io parlavo di razzismo, di Aids, di ecologia, di cose che mi interessavano, che mi interessano”.

C’è stato buon consenso tuttavia, un appoggio fiducioso, in questo approccio globale alla comunicazione attraverso il mezzo pubblicitario, a quanto pare.

“L’artista, la prima cosa che deve fare è trovare un committente intelligente perché se no non farà mai niente di buono. Del resto la qualità dei grandi artisti italiani è dipesa dall’intelligenza dei Papi. Devi avere un committente dal quale puoi imparare delle cose”.

 

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Oliviero Toscani, servizio fotografico per “Elle Francia”, Famiglie alternative, 2006. Courtesy ©Oliviero Toscani.

 

Qual è il futuro – ma anche il presente – dei giovani artisti nel rapporto con le nuove committenze?

“Oggi l’arte è un mezzo di investimento, non ha più importanza sociopolitica. Una volta era al servizio della società, adesso l’arte è esclusiva, proprietà dei ricchi, è un commercio”.

A proposito: il lavoro di artisti come Cattelan, o Banksy, qualificati come artisti impegnati socialmente e politicamente, è arte o mercato?

“Io trovo che Cattelan sia impegnato. Rispetto moltissimo quello che fa, il fatto è che ci sono artisti impegnati che però vanno a finire nelle cassette di sicurezza dei ricchi, nelle banche di Ginevra. Quando andiamo a vedere le collezioni d’arte andiamo a vedere la proprietà privata di un ricco che fa vedere le sue cose. L’arte non è più un servizio pubblico, non dovrebbe essere proprietà privata. Non ci dovrebbe essere copyright”.

La moda è fascista, si legge nel libro. Anche l’arte lo è?

“Non tutta, e nemmeno tutta la moda lo è, ma in questo momento la moda lo è in modo particolare. E anche una parte dell’arte, perché è esclusiva, elitista, è dei ricchi e dei potenti, è per il potere”.

Quanto alla fotografia, più nel dettaglio, coi social media è diventata una forma d’arte alla portata di tutti. Sembra che adesso tutti siano fotografi. E tutti divi, tutti miti.

“La fotografia è come l’automobile. Non perché hai la patente allora sei un pilota di Formula Uno, o perché hai una macchina da scrivere, allora sei uno scrittore. Ecco, per la fotografia è esattamente lo stesso. Il fatto è che il 95 per cento di ciò che conosciamo lo conosciamo perché abbiamo visto una fotografia, conosciamo i luoghi, le guerre, le facce, la gente, per le fotografie.

La pittura è fake news, è da quando esiste la fotografia che esiste la storia. Fotografare vuol dire saper guardare, saper vedere, sapere analizzare e sapere criticare ciò che vedi”.

È veritiero affermare, come è stato fatto da qualcuno, che la fotografia è all’origine dell’arte contemporanea?

“La fotografia è l’unica forma d’arte contemporanea che si può chiamare arte”.

C’è qualcosa che Oliviero Toscani avrebbe voluto fotografare e non ha mai osato farlo?

“Purtroppo è così, come scrivo nel libro: non ho osato abbastanza. Allora, dico: se non è l’artista medesimo il primo a essere imbarazzato di ciò che fa, non è un artista. Devi avere il coraggio di fare tu stesso qualcosa di cui non sei sicuro. Il vero artista vive in uno stato di insicurezza costante rispetto a ciò che fa”.

Che cosa sta preparando Oliviero Toscani, quest’anno?

“Dal primo aprile ci sarà una grande esposizione a Berlino, davanti al Parlamento, centinaia di ritratti di due metri per tre stampati su cemento. Sono “I tedeschi del XXI secolo”, così si chiama la mostra. Mi sono ispirato ad August Sandern, che aveva fotografato i tedeschi del XX secolo.

Da anni sto facendo una ricerca sulla razza umana, ho fotografato 80 mila persone in giro per il mondo, li ho guardati tutti negli occhi. In Germania sono particolari, è il paese europeo più variopinto, ho fotografato dei tedeschi che non sembrano tedeschi, operai che sembrano talebani con barbe, tatuaggi. E poi tutta l’ingegneria tedesca è fatta da turchi, da italiani del Sud”.

Questo in Germania, e poi?

“Poi voglio fare una cosa con l’Italia, scelgo le facce degli italiani, ho già cominciato”.

 

Quando, non è dato sapere ancora, ma adesso sappiamo che ci sarà una monumentale storia fotografica contemporanea degli italiani, così come sono diventati da quando hanno smesso di andare dal fotografo del paese a farsi il ritratto. Adesso le cose sono cambiate, ma c’è qualcuno che ancora se ne occupa dopo ottant’anni, non ha ancora perso lo scatto.

 

 

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